Claudio Fasoli – Jazz, architetture di un azzardo (Riflessioni, vita, musiche) – A cura di Marc Tibaldi

di Vittorio Albani

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Il Saggiatore, Milano 2025. Pagg 199, euro 18.

Rimandando il lettore alla approfondita recensione di Gennaro Fucile pubblicata sul numero cartaceo in edicola di Musica Jazz (maggio 2025), delineiamo in poche battute un gran bel libro firmato da Claudio Fasoli e curato da Marc Tibaldi: come dice il retrocopertina suggerito dall’editore, «fatto di fiato, ottone, madreperla, assoli e collettivi, di quell’ineffabile e potente azzardo che è il jazz» e pubblicato nella collana «La Cultura» dal sempre attento Saggiatore di Milano.

Il titolo, davvero azzeccato, traduce perfettamente il racconto di uno dei grandi rappresentanti del jazz dei nostri giorni dedicato all’arte musicale. Grazie ad uno splendido intreccio di ricordi e accurate riflessioni, il sassofonista veneziano attraversa una vita artistica completa scrivendo di teorie, oltre lo spartito, vertici e critica. Le tre citazioni sono i titoli dei capitoli dipanati nell’opera. E Fasoli, anche grazie alla straordinaria capacità didattica che lo contraddistingue, affonda le sue analisi sempre attente sull’imprevedibilità del jazz incontrando subito Wayne Shorter, sul fondamentale «silenzio» da imparare e da opporre alla bulimia, ai primi input che portano all’imitazione, all’evoluzione di quest’ultima in armonia, alla spiritualità delle meditazioni necessarie per entrare nel mondo jazzistico, al collegato rischio di uscire dalle strutture, al fluire del tempo che crea i generi, agli «inner sounds» generati dal diventare spugna per assorbire ciò che il musicista ha intorno a sé per arrivare a far nascere il proprio suono, all’intensità emotiva ed espressiva, alle «forme canzone» che aiutano a creare altro, agli accenni ai suoi inizi «classici» che spesso invitano (partendo magari da Bach e fondendo Chopin e Debussy)  a formare la propria strada.

E ancora, di come il jazz possa insegnare a entrare in altri mondi intervenendo, interpretando e personalizzando qualcosa che prima era magari soltanto una forma di intrattenimento oppure una geometrica forma classica. I giri armonici articolati sono ovviamente il frutto di un’analisi ragionata e del come sia importante che il concetto venga assimilato dagli studenti i quali, per capire, hanno la necessità di curare il proprio suono, l’interpretazione, la ritmica, l’armonia e la melodia.

«Oltre lo spartito» è fatto di tutto il resto in grado di costruire l’architettura dell’universo jazz.  Le scenografie di cui ancora oggi pochi comprendono l’importanza, ma anche il «rito» collegato alla fede e allo stile, gli abiti di lavoro (passando dallo smoking allo zoot suit) e poi l’interessante mini-enciclopedia in poco più di venti pagine che affronta gli strumenti, le ance, l’idea di «gruppo», la jam session e il «solo».

La mini-enciclopedia prosegue nella sezione «Vertici e critica», dove necessariamente il musicista-Fasoli si immerge nei mondi sonori di personaggi del calibro di Lennie Tristano, Gato Barbieri, Jan Garbarek, Arvo Pärt, György Ligeti, Wayne Shorter, Lee Konitz ma anche (per gli ovvi riferimenti al mondo della critica musicale) di Arrigo Polillo, storico direttore di Musica Jazz.

Encomio finale per la conversazione finale – straordinariamente intelligente – con il curatore del libro Marc Tibaldi, che insegna al neofita critico musicale come si dovrebbe affrontare un’intervista ragionata con un maestro. Il tutto per raccontare essenzialmente gli anni post-Perigeo, vale a dire il capitolo già affrontato in passato di una essenziale esperienza che ha visto Fasoli protagonista di quella che molti critici definiscono quale una prima vera internazionalizzazione del jazz nazionale.

Vittorio Albani

 

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