KEITH JARRETT GARY PEACOCK PAUL MOTIAN «The Old Country: More From the Deer Head Inn»

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AUTORE

Keith Jarrett – Gary Peacock – Paul Motian

TITOLO DEL DISCO

«The Old Country: More From the Deer Head Inn»

ETICHETTA

ECM

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Non è così frequente che il mate riale extra di un live, pubblicato per lo più a ben trent’anni di distanza da quello che oggi scopriamo essere il primo volume, si riveli più riuscito dell’album di partenza. E, come tutti i grandi dischi (non ci facciamo problemi a definirlo tale anche se, quando ci leggerete, l’album sarà entrato in commercio appena da una decina di giorni), questo ine dito di un trio altrettanto inedito suscita più domande di quante risposte possa o voglia offrire. Senza ovviamente mettere bocca nelle legittime scelte di un artista e della sua casa discografica, è inevitabile chiedersi perché ci sia voluto così tanto a mettere questa musica a disposizione di tutti. Per quanto Jarrett, nelle poche righe che nel 1994 corredavano «At the Deer Head Inn» e che sono riportate anche in questo seguito, considerasse quella serata di raccolta fondi per lo sto rico club della Pennsylvania poco più di una jam session, riconosceva comunque la forza trainante di ciò che il trio aveva suonato nell’occasione («I think that you can hear in this tape what jazz is all about»). Vero è che tale frase aveva a suo tempo lasciato perplesso chi, come il sottoscritto, aveva acquistato l’album finendo poi per archiviarlo come un Jarrett sì interessante ma tutto sommato minore. In quegli anni lo Standards Trio era in piena attività, riempiva teatri e arene di tutto il mondo e pubblicava un album dopo l’altro, e allo stesso tempo il pianista stava ritornando ai concerti in solitudine. Insomma, il Jarrett «che conta» sembrava a tutti trovarsi altrove, non certo tra le note di quell’umida serata d’ini zio autunno in quel borgo di 600 persone sui monti Appalachi. Chiaramente Jarrett la sapeva più lunga di noi che non c’eravamo, ma che ci fosse ben altro lo capia mo soltanto adesso con l’uscita di questi otto brani (sette standard e un pezzo di Monk, mentre il vec chio disco ne includeva anche uno di Jaki Byard) che, come si diceva, gettano il tutto sotto una luce nuo va. C’è da domandarsi quanta di questa «luce nuova» venga accesa dalla presenza di Motian al posto di Jack DeJohnette, ma lungi da noi l’idea di mettere a confronto due grandi maestri. Fatto sta che in questo disco, lontano per una volta dall’aura sacrale del grande evento, Jarrett suona «diverso» dal solito, è paradossalmente più «tradizionale», più mainstream, per il valore che può avere nel suo caso questa de finizione. Certo, Peacock e Motian avevano iniziato a lavorare assieme già nel 1964 e avrebbero continua to fino al 1999, oscillando tra Bill Evans e Paul Bley, ed è innegabile che la loro comunicazione fosse ormai telepatica, però è impossibile non accorgersi di come il ritrovare il batterista dopo ben sedici anni smuova in Jarrett qualcosa di poco definibile a parole ma perfetta mente avvertibile all’orecchio anche dell’ascoltatore meno smaliziato. La tentazione di considerare questo gruppo una variante del suo più famoso corrispettivo è forte, anche perché il repertorio pesca tra brani spesso eseguiti dallo Standards Trio e di cui esiste ampia documentazione discografica (oltre al prediletto Everything I Love, che Jarrett si portava dietro fin dal suo primissimo album del 1967), ma è più divertente immaginare di essere capitati in una sorta di realtà parallela e lasciarsi travolgere, senza tanti pensieri, dalla musica. Non sarà forse qui il vero significato del jazz, ma di sicuro ci va molto vicino.
Luca Conti

DISTRIBUTORE

Ducale

FORMAZIONE

Keith Jarrett (p.), Gary Peacock (cb.), Paul Motian (batt.). Delaware Water

DATA REGISTRAZIONE

Gap, 16-9-92.

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