AUTORE
J.J. Johnson & Kai Winding
TITOLO DEL DISCO
«Stonebone»
ETICHETTA
CTI
Mai uscito negli Stati Uniti ma soltanto nel 1970 in Giappone non si sa per quale motivo, questo rarissimo album – che col passar del tempo ha raggiunto portentose quotazioni tra i collezionisti – ha dovuto aspettare oltre cinquant’anni per ottenere una ristampa nel resto del mondo: anch’essa però soltanto in lp e, oltretutto, in occasione del Record Store Day del 2020, quindi andata fulmineamente fuori catalogo. Per fortuna, diversi mesi fa è arrivata l’edizione digitale, che permette una buona volta a tutti di godere di un disco tanto affascinante quanto ancora largamente sconosciuto. L’album nasconde in effetti i suoi bravi misteri, e proprio per questo è stato negli anni oggetto di numerose speculazioni sul come e sul perché sia caduto e rimasto nel dimenticatoio, e su chi sia stato realmente l’artefice ultimo di questa impresa, stante che tutto sembra fuorché una produzione di Creed Taylor, il quale proprio in quei giorni stava lasciando la A&M – della quale la CTI era una sussidiaria – per mettersi in proprio, e quindi si presume che avesse impegni burocratici ben più pressanti del rin[1]chiudersi tre giorni da Van Gelder. Tra le varie ipotesi, la più interessante e per molti versi condivisibile è quella che fa figurare come uomo ombra dell’operazione nientemeno che Quincy Jones, vecchissimo amico e collaboratore non solo di Taylor fin dai tempi della ABC-Paramount e di «This Is How I Feel About Jazz» del 1956, ma anche di quasi tutti i musicisti che figurano nel disco (fatta forse eccezione per Ross Tompkins che, all’epoca, era il pianista del gruppo di Winding, ed è quindi un evidente suggerimento del trombonista). Tra l’altro, cosa da non trascurare, da qualche mese anche Jones aveva iniziato a incidere per la CTI/A&M (Johnson e Winding ne avevano invece già realizzati altri due, («Israel» e «Betwixt & Between»), e nel suo primo lavoro per l’etichetta, il ben noto «Walking in Space», sono giustappunto presenti, con ampio spa[1]zio a disposizione, proprio Johnson e Winding, oltre a Bob James e Grady Tate che figurano anche qui. La citazione di «Walking in Space» non è casuale perché, pur essendo ormai da tempo di stanza a Los Angeles, Jones se n’era andato a incidere il disco a New York, e la prossimità delle date di registrazione dei due album può benissimo la[1]sciar pensare, se non a un suo coinvolgimento diretto, quantomeno a una certa influenza sull’accaduto. L’aria che tira nel disco, in effetti, è più quella di una blowing session di lusso che di una seduta meticolosamente arrangiata, a differenza dei due precedenti CTI di Jay & Kai (anche se in «Israel», per dire, fa inaspettatamente capolino una delle più belle versioni mai ascoltate del celebre brano di Johnny Carisi, con un Ron Carter memorabile). George Benson e Grady Tate forniscono una prestazione eccezionale. Vi sono due lunghi brani, Dontcha Hear Me Callin’ to Ya? – sorta di variante soul-jazz di Impressions scritta da Rudy Stevenson, fedele chitarrista di Nina Simone – e Mojo di Johnson, e due di dimensioni più contenute, l’enigmatico Musings sempre a nome di Johnson (probabilmente il titolo alternativo di una Ballad in C Minor risulta ancora inedita, assieme a diverse altre esecuzioni), e quella che dovrebbe essere la prima versione assoluta di Recollections di Joe Zawinul, ben prima che il brano finisse tra le grinfie di Miles Davis per essere rimaneggiato e inciso (ma pubblicato solo moltissimi anni dopo) nelle sedute poi raccolte su «Big Fun». Ecco, già sarebbe interessante scoprire come il brano di Zawinul sia finito in questo contesto. Da dove salta fuori? Chi lo avrà portato? Non è che nello studio si aggirava magari lo stesso pianista austriaco? (Secondo la discografia CTI di Doug Payne, la formazione non è nota per intero.) Nella versione di Davis, il brano è una sorta di ripensamento di In a Silent Way neanche troppo celato, mentre qui prende ben presto direzioni completamente diverse. E forse era così che lo aveva inteso lo stesso Zawinul. Insomma, di carne al fuoco ce n’è tanta e se ne vorrebbe sapere di più. La nostra sensazione è che il disco fosse rimasto nel limbo (e intanto pubblicato in Giappone per recuperare almeno le spese) perché sostanzialmente non completo, con la convinzione di poterci ancora lavorare più avanti; ma nel frattempo Taylor se n’era andato per ripartire da zero con «Red Clay» di Freddie Hubbard e il jazz alla A&M avrebbe preso altre strade. L’ennesimo enigma che avvolge questo album finalmente tornato alla luce.
Conti
recensione pubblicata sul numero di marzo 2024 della rivista Musica Jazz
DISTRIBUTORE
Universal
FORMAZIONE
Formaz. complessiva e conosciuta: J.J. Johnson, Kai Winding (trne), Herbie Hancock, Bob James, Ross Tompkins (tast.), George Benson (chit.), Ron Carter (cb., b. el.), Grady Tate (batt.).
DATA REGISTRAZIONE
Englewood Cliffs, 23-25-9-69.