FERDINANDO ROMANO «Invisible Painters»

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AUTORE

Ferdinando Romano

TITOLO DEL DISCO

«Invisible Painters»

ETICHETTA

Jam/UnJam


Di solito si dice che il lavoro arrivato per secondo, il famigerato sophomore effort, soprattutto dopo un esordio di pregio, sia il più insidioso per un artista. Le ragioni sono intuibili: occorre, per mantenere alto il livello di tensione creativa, un grado di felice consapevolezza ideativa e, nel contempo, per chi faccia della propria musica (an[1]che) una questione di «storie da raccontare», è più difficile mante[1]nere la coerenza di un arco narrativo (mentre anche il più disordinato carnet di appunti a prima lettura, se sostenuto dallo spunto dell’urgenza creativa e della personalità, può, al debutto, felicemente esplodere in positivo). Il disco di esordio di Ferdinando Romano, «Totem» (2019, Losen Records) era appunto arrivato con la forza di un bagliore illuminante, garantendo al leader (e al gruppo) una notevole visibilità: il contrabbassista, infatti, era stato votato, nel Top Jazz del 2020, come miglior nuovo talento italiano, ex aequo con Federico Calcagno, ricevendo pure il Premio SIAE 2021. È facile comprendere, dunque, come vi fosse grande attesa rispetto al nuovo disco (e al nuovo gruppo) di Romano, che si sapeva in preparazione e che esce ora – e non senza difficoltà, cosa che dovrebbe far largamente riflettere – per una nuova etichetta aretina, a un anno esatto dalla registrazione. Il gruppo è totalmente rinnovato e ridotto a un quartetto di giovanis[1]simi, tra cui lo stesso Calcagno, Elias Stemeseder ed Evita Polidoro, più, in un brano, l’ospite francese Christine Ott, di gran caratura. Tutti gli otto brani sono originali, sette provenienti dalla scrittura del leader e uno, Where Angels Fear to Tread, frutto di una improvvisazione collettiva. L’elemento di una forte componente narrativa o, quantomeno, di una altrettanto forte ispirazione di tipo extra-musicale, si conferma centrale nella poetica di Romano (ricordiamo che «Totem» si era esplicitamente ispirato al libro Il totem del lupo di Jiang Rong), che nell’album esamina, come in una sorta di concept, il tema della creazione artistica. Esso viene esplorato, come veicolo per un nuovo mondo possibile (o almeno per il suo sogno), attraverso la «figurazione delle cose invisibili» (l’espressione è quella che Leonardo da Vinci utilizzava per indicare l’arte della rappresentazione musi[1]cale, contrapposta a pittura e scultura), procedendo in equilibrio tra consapevolezza e istinto. Le matrici di ispirazione sono nume[1]rose, musicali (soprattutto Olivier Messiaen, ma non soltanto, poiché i quattro non dimenticano di vivere nel proprio tempo) ed extra-musicali; queste ultime letterarie (Arthur O’Shaughnessy, Alexander Pope) o pittoriche (Degas, Van Gogh) o, tout court, ispirazioni (e aspirazioni) di vita (Martin Luther King). L’impianto della musica è schiettamente jazzistico ma su di esso fioriscono elementi diversi: contrappunti, improvvisazione, elettronica, sintetizzatori, samples, registrazioni ambientali, musica del Novecento. I suoni digitali o elettronici sono perfettamente ca[1]lati entro un ambiente analogico e umanizzato, divenendo un fattore precipuo di arricchimento timbrico, ma anche utilizzato anche per la creazione musicale in sé. Le soluzioni compositive e di orchestrazione permettono, attraverso passaggi di grande naturalezza, la coesistenza di un sistema armonico di tipo classico con il ricorso a modi o a slittamenti tonali, attraverso un movimento continuo, che segue percorsi cromatici. L’udibile complessità ritmico-armonica è sempre felicemente risolta, sia at[1]traverso l’utilizzo di grooves potenti, che innervano costantemente la musica (decisamente spostata verso il grave), ritornando per cicli, sia attraverso la costante riemersione di lacerti melodici, che guidano l’ascoltatore in una vera e propria esplorazione continua, senza mai lasciare che si smarrisca. Non c’è alcun dubbio che i musicisti per i quali la musica è stata pensata, indipendentemente dal loro valore indiscusso, rappresentassero la scelta migliore per la sua realizzazione: questo elemento riferisce anche, ed esattamente, della capacità di esercizio della leadership, anche in termini empatici, da parte di Romano. Stemeseder sa utilizzare in parallelo il pianoforte e i sintetizzatori, con assoluta naturalezza ed estrema maestria, dominando l’aspetto elettronico e riducendolo alle dimensioni di cui si diceva; Calcagno garantisce, con il clarinetto basso, il radicamento terragno e il groove, in una propulsione continua; Polidoro è veicolo di onnipresenza libertaria, nel tempo e contro di esso. In definitiva, si tratta di un gruppo (e di una musica) come da tempo non se ne ascoltavano da queste parti, capace di una visione e di un respiro internazionali e di stare nel giusto mezzo: tra forma e libertà, ragione e istinto, tradizione e innovazione. Sarà il caso di cominciare a chiedersi non solo – e non tanto – come simili talenti si generino nel nostro sistema formativo e musicale (che pure è una domanda legittima, per certi versi ardita e che non ammette risposte scontate), ma cosa si debba iniziare a fare per sostenerli affinché continuino a splendere, come i coraggiosi sognatori che sono. E con certezza diciamo che il disco deve essere segnalato tra le migliori uscite dell’anno.
Cerini

pubblicata sul numero di giugno 2023 di Musica Jazz


DISTRIBUTORE

Universal

FORMAZIONE

Federico Calcagno (cl. b.), Elias Stemeseder (p., sintetizzatori), Ferdinando Romano (cb., sintetizzatori), Evita Polidoro (batt.); agg. Christine Ott (Ondes Martenot) in un brano.

DATA REGISTRAZIONE

Cavalicco, 29 e 30-5-22.