GIOVANNI GUIDI «A New Day»

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AUTORE

Giovanni Guidi

TITOLO DEL DISCO

«A New Day»

ETICHETTA

ECM

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Verso l’ignoto senza paura. Sono passati undici anni dall’esordio di Giovanni Guidi su ECM («City of Broken Dreams»). E ne sono trascorsi nove dal debutto del trio con Thomas Morgan e João Lobo per l’etichetta di Manfred Eicher («This Is the Day»). Se dunque oggi il pianista sceglie di tornare in azione con i suoi ormai fedeli compagni di viaggio, lo fa però prendendosi un rischio: alterare l’intesa telepatica e l’equilibrio raggiunti con l’amico americano e con quello portoghese, uscendo dal bozzolo della comfort zone e inserendo tra loro due un terzo incomodo, James Brandon Lewis. Sulla carta il mondo del sassofonista di Buffalo e quello del musicista di Foligno parevano quanto mai distanti, anche se le prove generali di dialogo avevano trovato sostanza in un album del 2021 targato Cam Jazz, «Ojos de Gato». Ma qui le dinamiche e il mood sono del tutto diversi rispetto a quanto si ascolta nell’omaggio a Gato Barbieri. E quello di Guidi suona piuttosto come un invito al collega statunitense a entrare nel suo universo poetico: un mondo pensoso, fatto di silenzi e di pause, di respiri e di abbozzi melodici accennati, ripresi e poi abbandonati. Ma, come accade nelle relazioni che contano davvero, alla fine è la pratica dell’ascolto reciproco e del venirsi incontro a prendere il sopravvento. Assistere ai concerti di Lewis e parlare in varie occasioni con lui – ha spiegato il pianista – «mi ha portato a credere che il dialogo di gruppo potesse svilupparsi verso approcci più astratti, aperti e improvvisati. In un certo senso è stata una scommessa, visto che proveniamo da percorsi molto diversi. Ma le sessioni di questo lavoro ci ha dato ragione: il trio è stato spinto in nuovi territori, mentre James – a mio avviso – ha trovato un modo unico e interessante di entrare in contatto con noi». È il leader a firmare quattro delle sette composizioni del disco, che parte con Cantos Del Ocells, tradizionale catalano noto anche nella storica versione di Joan Baez. Ma in que[1]sto pezzo, come pure nell’unico standard inserito in scaletta, My Funny Valentine, la melodia viene solo sfiorata, allusa e circumnavigata. Il resto è giocato sull’improvvisazione, sugli impulsi di azione e reazione e sugli scambi di idee, un po’ come accadeva in certi dischi di Paul Bley, non a caso tra i punti di riferimento di Giovanni. Solo nei minuti finali di Wonderland la melodia viene enunciata senza inibizioni e fatta respirare e l’emozione finalmente decanta, libera di distendersi in pienezza. E così il sassofonista, sostenuto dagli arpeggi pianistici di Guidi, fa volare il suo strumento esprimendosi con tutto il lirismo di cui è capace.
Ivo Franchi

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