Peter Erskine Quartet

Un gruppo mainstream di grandi stelle e stile inossidabile

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Roma, Casa del Jazz
30 luglio 2023

Nella rassegna romana Summer Time, Peter Erskine, grande Maestro della batteria, si è esibito con il proprio attuale quartetto, che per la prima volta quest’anno ha viaggiato in Europa, e con una certa larghezza di date, anche in Italia. Il gruppo comprende altri indiscussi fuoriclasse, schierando George Garzone al tenore, Alan Pasqua al pianoforte e Darek Oles al contrabbasso. Il quartetto è, in qualche modo, una estensione del trio ben conosciuto (che ha al proprio attivo anche un bel «Live In Italy» – Fuzzy Music, 2022 – registrato a Camogli nel 2021) ed aveva già inciso anche l’album, sempre dal vivo, «3 Nights in L.A.» (Fuzzy Music, 2019).

Pasqua, Garzone, Oles, Erskine

Tutto questo per dire che tra i quattro non manca di certo l’interplay, come si è avuto modo di sentire, trattandosi di musicisti che si frequentano da tempo (nel caso di Erskine e Pasqua, sin dai banchi di scuola). Inoltre, l’estrema versatilità è un altro degli elementi caratterizzanti del gruppo, che pur collocato entro una chiara dimensione mainstream e post bop, unisce musicisti che hanno maturato esperienze amplissime. Infatti, di Erskine possono essere ricordati sia i passaggi seminali per il jazz rock nei Weather Report e negli Steps Ahead, sia più rarefatte atmosfere europeizzanti (in Ecm è stato parte di un trio con John Taylor e Palle Danielsson); Pasqua ha a sua volta praticato il «verbo elettrico» sia con Tony Williams, sia con Allan Holsdsworth; Garzone è non soltanto uno dei custodi dell’ortodossia coltraniana, ma anche un libero improvvisatore senza remore di sorta (soprattutto col proprio trio The Fringe, purtroppo non più attivo), come pure il creatore di un sistema armonico del tutto originale e un grandissimo didatta (di lui Chris Potter ama dire che sia «il più grande tenorista vivente»); Oles è un virtuoso dello strumento, che può vantare collaborazioni con musicisti del calibro di Brad Mehldau, Bob Mintzer, Jonathan Barber e Pat Metheny.
Insomma, c’era di che essere curiosi, al minimo, e le attese non sono state affatto tradite.
La temperie prevalente del concerto è stata quella di un mainstream rispettoso di un certo grado di storicizzazione, molto attento sia a delle schiette esigenze performative e «citazionistiche» (a Garzone, come era naturale e lecito attendersi, è stata riservata una parte di assoluto spicco, che lo ha portato sovente in primissima linea, con la propria torrenziale eloquenza, apparsa una vera e propria enciclopedia sassofonistica vivente, ma sempre godibilissima), sia a garantire un lineare aspetto di fruibilità, anche sotto il profilo

Oles, Garzone, Erskine

della valorizzazione melodica (né Erskine, né Pasqua, evidentemente, dimenticano i propri trascorsi accanto a molte stelle del pop). Apprezzabile anche l’aspetto cooperativo del quartetto, nel quale ognuno dei musicisti ha potuto conferire brani propri.
La scaletta ha così messo in fila brani di Pasqua (Old School Blues, Agrodolce), Garzone (Tutti Italiani, Strolling Down On Bourbon Street), Oles (Into The Dark, Honeymoon) e dello stesso Erskine (Dave’s Blues, Twelve), oltre alla riproposizione di Nuages sulle note di Pino Daniele (che poi altro non era se non un diverso arrangiamento, con testo di Daniele, di Nuages, di Django Reinhardt, presente nell’album «Passi d’autore» alla cui registrazione presero parte sia Erskine, sia Pasqua).
Il concerto è stato vivace ed estremamente godibile, ottenendo anche una adeguata risposta da parte del folto pubblico presente. Detto della vis performativa di Garzone, non stupisce neppure che altrettanta parte sia stata riservata al leader, spettacolare senza mai strafare, secondo una cifra personale assolutamente inossidabile; meno scontato il grande ruolo giocato da Oles, rivelatosi virtuoso di livello assoluto, ma nel contempo portatore di un notevole e apprezzabilissimo senso di understatement, nonché fine compositore, e, soprattutto, quello di Pasqua, pianista di enorme inventiva, grande tocco e innata eleganza, che probabilmente meriterebbe maggiori allori.
In definitiva, una musica di grande contenuto artistico, sana e divertente, solidamente in rapporto con la tradizione, praticata con schietta gioiosità da quattro grandi musicisti perfettamente a proprio agio nel contesto. Impossibile desiderare altro.
Sandro Cerini

 

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