Giorni di Europei di Calcio, che lascia perdere… E infatti Rosario Bonaccorso – anima (e pure cuore) della manifestazione – fa partire il festival sul palco della Terrazza Giuliano a Laigueglia incitando la platea: “Italia contro chiunque, ma vince comunque il PercFest!”.
E come ogni anno si ripete la formula che non stanca mai: un girasole resta costantemente sul palco, simbolo del musicista a cui tutto è dedicato, ossia Giuseppe Naco Bonaccorso; i bravissimi Giorgio Palombino e Gilson Silveira nelle piazze della cittadina impartiscono lezioni di percussioni nel pomeriggio a un pubblico affettuoso e appassionato, ma anche a nonne sovrastate da giocattoli da spiaggia, papà in infradito e curiosi di varia natura che si ritrovano a battere le mani insieme al ritmo delle clave e a rifarsi le orecchie attraverso l’esegesi dei brani di Michel Camilo, che è pur sempre un gran sentire. Tra l’altro quest’anno inoltre abbiamo potuto apprezzare, su quel palco, anche la presenza dei batteristi Marco Volpe, Marcello Repola e Marco Bonutto. Infine, verso le 16, protagonista è stata ogni giorno la vita fantastica e la presenza musicale del grande batterista Ellade Bandini, che attraverso il suo strumento ha intessuto per i presenti un racconto sempre vivo e pulsante. In senso letterale, direi, avvalendosi talvolta anche di presenze importanti e inusitate come quella del bassista dei Labyrint Nick Mazzucconi…
Insomma: questo non sarà un testo sintetico e anzi mi piacerebbe molto poter dar conto nei dettagli di tutte le performances sul palco, ma mi limiterò all’essenziale. Che già non sarà poco…
PRIMO QUADRO
La sera dell’incipit, giovedì 20 giugno, il primo set era costruito sulla grazia e bellezza di due tra le nostre strumentiste più talentuose. L’incontro tra la pianista Francesca Tandoi e la chitarrista Eleonora Strino è stato in effetti un momento di grande armonia, sguardi splendenti, gambe sontuose che un po’ confondevano le carte e distraevano da una tecnica ineccepibile e soprattutto grande attenzione delle due musiciste a non sovrapporsi o scavalcarsi: il che rendeva tutto leggermente più nodoso, ma tra echi di Wes Montgomery, una “‘S Wonderful” molto ben eseguita – anche alla voce – da entrambe e soprattutto la perfetta esecuzione in solo di “Alfonsina Y El Mar” da parte di Strino e di una “Lush Life” eseguita da Tandoi come un respiro unico, i brani originali spiccavano brillantissimi e ben costruiti (“Matilde” di Eleonora Strino e “Bop Web” di Francesca Tandoi su tutti). Un concerto piacevolissimo, concreto ma fatto di cielo, mentre stava per arrivare il secondo set e la potenza dei due musicisti protagonisti ci ha travolti tutti e riportati alla terra: arrivano infatti sul palco il vibrafonista Pasquale Mirra e il batterista Hamid Drake e ci ipnotizzano tutti quanti per una buona ora. L’energia di Mirra e il soffio di Drake mescolano colori e suoni inaspettati e arcani; a volte sembra sia il vibrafono a scandire il tempo e non il contrario, si scambiano sorridenti i ruoli e sparigliano le carte per noi che assistiamo a quest’esecuzione quasi increduli: tutto è fluido e travolgente, cade una mazza ma chi se ne importa… la si raccoglie a tempo e si ricomincia. A un certo punto Mirra trova una sonorità quasi evanescente, in contrasto con la propria forza nell’esecuzione eppure in qualche modo complementare: tutto è piano e rarefatto e le onde del mare sembrano andare a tempo. Improvvisamente tutto ritorna torrenziale e Drake si conferma come uno dei più grandi batteristi a livello mondiale, colpisce l’hi-hat da sotto e ne scaturisce un suono quasi lontano, passa continuamente dall’astratto al concreto (per usare una metafora un po’ consunta) e per una volta anche la resa sonora di batteria e vibrafono è davvero perfetta, grazie ad Alessandro Mazzitelli. Alla fine Hamid ringrazia Eleonora Strino e Francesca Tandoi, ha parole stupende per Mirra, con cui in effetti collabora da tempo (“Pasquale è fratello di un’altra madre”) poi afferra una meraviglia di tamburo a cornice e intona un canto delicatissimo dedicato all’essere umano nell’universo, e all’ambiente: arriva Mirra, prende i sonagli tenendoli con la stessa mano con cui tiene la mazza con cui percuote i martelletti del vibrafono, così tutto suona, e suona insieme: molto emblematico della forza e coesione di questo duo. Tutti gli esseri sono connessi, dicono le parole di quella sorta di preghiera, e in effetti alla fine è così che ci sentiamo e corriamo verso il locale della jam session decisamente trasposti.
SECONDO QUADRO
As Madalenas convince e diverte. Altra coppia sul palco, accostata al talento esuberante del bravissimo Bruno Marcozzi alla batteria: Cristina Renzetti e la brasiliana Tati Valle risultano molto coese, dotate di chitarra (sia classica che elettrica) e cantano in modo soave ma incisivo, a volte all’unisono e a volte in controcanto. Tutto è molto calibrato, ma aperto anche all’improvvisazione più spinta; declamano piacevolmente testi e poesie, ognuna nella lingua dell’altra, e Marcozzi sottolinea – misurato, ma al tempo stesso incontenibile – arrangiamenti complessi o duetti divertenti. I ritmi non risultano esattamente accessibili, spesso infatti Renzetti e Valle battono le mani per scandire il tempo e il pubblico quasi con riflesso pavloviano prova ad aggiungersi, ma con un po’ di difficoltà. Tra pezzi di Guinga, naturalmente, e ritmi bolero, spiccano una divertentissima “O Trem Das Onze” di Adoniran Barbosa (che nella versione italiana era “Figlio Unico” interpretata da Riccardo Del Turco) e il bellissimo originale “Árvore de Família”. Il risultato è stato applaudire a lungo e avere voglia di correre nell’immediato ad ascoltare in modalità interminabile tutto il loro ultimo album “As Madalenas”, che si avvale, oltre alla ritmica di Marcozzi, anche della collaborazione di Ferruccio Spinetti al contrabbasso e Roberto Taufic alla chitarra.
Dici Roberto Taufic e te lo ritrovi sul palco protagonista della seconda parte di serata, quando arriva il momento in cui il direttore artistico diventa non solo il grande strumentista che è, ma l’emozionato narratore di una storia musicale tutta personale e particolare, ossia la presentazione del suo lavoro più recente, “Senza Far Rumore”, di cui si parlerà molto sulle prossime pagine della rivista con un intervista proprio dedicata a Bonaccorso e la recensione dettagliata del disco. Qui invece si racconterà solo della sensazione di concreta malinconia che ci ha pervasi tutti, e di un vento fortissimo che molto diceva di quell’atmosfera e ci metteva il carico. Da parecchi anni infatti Rosario terminava il festival con una musica splendida (che voleva arrivare fino a Naco) e che tutti noi salendo sul palco invitati da lui intonavamo un po’ straniati e rapiti: bene, questo brano ha trovato finalmente le parole ed è inserito nell’album come “Il Sogno”. Così è sembrato a tutti qualcosa di familiare e davvero profondo, perfetto per avventurarci in quest’operazione artistica così singolare e inaspettata. In un mondo di sperimentatori e strutture libere, godere della pacatezza sapiente di questi pezzi e della meravigliosa voce di Olivia Trummer – splendente anche al piano -, dei suoni magici di Taufic alla chitarra e dell’ottimo Fausto Beccalossi alla fisarmonica, della classe infinita di Fulvio Sigurtà alla tromba e della ritmica di Bonaccorso con uso di vocalese è stato a un tempo una vera magia e una stupenda contraddizione. Struggente, incantevole e meravigliosamente bizzarro: come trovare un quadro di Hopper all’Hangar Bicocca, se volessi paragonare la sensazione dei vari livelli di sorpresa. Ma vi aspetto comunque nei prossimi mesi sulle pagine della rivista, per approfondire.
TERZO QUADRO
Dove piove molto forte, gli abiti ti si appiccicano addosso ma non riesci ad alzarti dalla poltrona e provi a ballare da seduta per scaldarti. Cose che io non potrei mai fare (e che non racconterò mai allo pneumologo), ma il jazz salva sempre la vita e mi infonde coraggio. E poi, come poter abbandonare se sul palco compare Sandy Patton? Che voce, che magnifico registro basso, e che colori… Prendo pochissimi appunti – e come avrei potuto? – ma mi resta ancora mentre scrivo la sensazione di aver ascoltato un concerto caldissimo e accogliente, e quella “Whispers Not” costruita proprio su un sussurro non la dimenticherò facilmente. La voce di Patton è inattaccabile dal tempo, lei interpreta splendidamente pezzi bop e Jobim, Cedar Walton e una “The One and Only Love” sommessa e profondissima; poi arriva “Nica’s Dream” di Horace Silver – pezzo piuttosto complesso e rarissimo in un repertorio – e mi lascio coinvolgere cantandola tutta insieme a lei. In effetti non è brano così esplorato dalle cantanti, e forse ne comprendo il motivo… Con lei il giovane Gregor Storf al sax, Lothar Kraft al piano, Aldo Zunino al contrabbasso e Marcello Repola alla batteria.
Mentre la pioggia peggiora il proprio flusso, arriva sul palco un trio che potrei senza paura di smentita definire ‘sensazionale’. A Bonaccorso quest’anno è venuta voglia di suonare molto all’interno del suo festival, e in quest’occasione ha chiamato due veri ‘fuoriclasse’, mi si perdoni la banalità: Dado Moroni al piano e l’ineffabile Tullio De Piscopo alla batteria. Il trio è sfavillante e le gocce scivolano via cacciate da un concerto abbreviato proprio solo dalle condizioni metereologiche. L’incipit è da urlo e il tema di Joe Amoruso e Pino Daniele (a cui la serata è dedicata) scalda i musicisti e il pubblico. Poi arriva Tullio, che si alza spesso dallo strumento, gira per il palco, incita il pubblico: grida “Vi piace il blues?” e l’animalone da palcoscenico si rivela in tutto il suo potenziale. Inizia “Bluesology” e noi sempre più ammirati (e bagnati); poi vengono intonate le note di “Quando” e il ricordo di Pino ci infiamma. Moroni presenta un suo brano dedicato a Bird, “Charlie’s Moment” davvero stupendo, e si torna a una “Je So Pazzo” che alterna il blues dell’originale con una versione più jazzata. Anche nei brani successivi De Piscopo apre la gamma di tutte le ritmiche esistenti in natura e si contiene solamente nel brano del bis, virato in un arrangiamento davvero elegantissimo, con una “Could It Be Magic” inaspettata e perfettamente eseguita.
ULTIMO QUADRO
Che appartiene ad altri, avendo io avuto conseguenze di salute dalla pioggia della sera prima…
Parla per me Rosario Bonaccorso: “Quartetto di Fulvio Sigurtà e Stefano Onorati (con Gabriele Evangelista al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria, n.d.a.), concerto stupendo davvero! Danilo Rea in solo, una sublime prima parte con una delle sue carrellate di note tra opera, pop, jazz: pubblico impazzito e nella seconda parte in trio con me e Ellade Bandini sembrava di stare in cielo e ci siamo divertiti come pazzi. L’ultimo brano “Il Sogno” l’abbiamo cantato insieme al pubblico, e con questo nuovo testo c’erano addirittura alcune persone che piangevano. Incredibile ma dolcissimo.”
Sintetica non sono stata, lo so, ma come si fa. Questa è una delle rassegne italiane che amo di più, e certo non perché mi invitano in prima fila. La sento vibrante, sincera e si tratta di uno dei pochissimi casi in cui puoi incontrare i musicisti per le strade, fermarli e passare qualche minuto con loro in un’atmosfera rilassata e piena di senso. In quei giorni mi capitava persino di scrivere ‘percfetto’ al posto di perfetto, e questo dà la misura di quanto ami questa rassegna. L’anno prossimo al limite recensisco un concerto alla volta, promesso…
Lorenza Cattadori