Parma Frontiere, nozze d’argento. Intervista a Roberto Bonati

Il direttore artistico del festival Roberto Bonati ci illustra questa importante edizione della rassegna ducale.

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Roberto Bonati

Venticinquesima edizione di Frontiere nell’anno di Parma capitale della cultura, anno per altri versi particolarmente travagliato. Come vi siete mossi?
Anzitutto, pur non essendo solito farlo, credo che valga la pena di fare qualche ringraziamento, anzitutto alla Fondazione Monte, che ci tenne a suo tempo a battesimo per volontà dell’avvocato Gaibazzi, ma anche la Fondazione CariParma, che quest’anno ci ha dato un segnale importante aumentandoci il contributo, e l’assessore Guerra, che ha mostrato di tenerci particolarmente a sostenere realtà produttive artistiche molto importanti che esistono a Parma, una risorsa che troppo spesso non viene adeguatamente rimarcata. E ringrazio anche la dottoressa Canova e Simone Verde per averci concesso lo spazio del Complesso Monumentale della Pilotta, uno spazio antico che deve vivere al passo con l’oggi e spero vivamente col domani. Ci venne rappresentata un’opera di Monteverdi, e qui mi lego all’apertura di Frontiere 2020, il progetto orchestrale di Gianluigi Trovesi, il quale fra l’altro una volta mi ha raccontato di aver suonato in una chiesa di Venezia, accorgendosi alla fine che dietro di lui c’era la tomba appunto di Monteverdi. “Se l’avessi vista prima non avrei suonato”, mi ha detto. Questo per dire che avvertiamo una grande responsabilità per l’utilizzo di questi spazi. Il dettato è trarre dal passato per proiettare nel futuro, in particolare quest’anno, che si porta dietro questa doppia ricorrenza, ma che è anche un anno di grande dolore e incertezza, pesante proprio per quei musicisti che devono vivere di attività live e sono stati quindi messi a dura prova. Ci vorrebbero delle tutele che attualmente non ci sono. Anche per questo siamo voluti partire già con tre concerti estivi alla Casa della Musica, proprio per dare un segnale di ripartenza.

Roberto Bonati

Entriamo un po’ più nel dettaglio del programma che coprirà i mesi di ottobre e, per buona parte, novembre.
La prima decisione è stata quella di invitare solo musicisti italiani, sia alla luce dello stato di disagio che ho appena descritto, sia per limitare gli spostamenti, vista l’incertezza della situazione internazionale. Non si è trattato del resto di un ripiego, perché abbiamo sempre avuto un’attenzione molto forte per i musicisti italiani. Del resto, nel rispetto del nome della rassegna, le frontiere le abbiamo come sempre oltrepassate ben volentieri: le frontiere dei linguaggi musicali, ovviamente, una sorta di terra di nessuno in cui possono accadere cose che magari prima non c’erano. La partenza sarà appunto col progetto di rilettura dell’opera di Trovesi, che però rispetto all’origine della cosa non avrà al suo centro una banda bensì un’orchestra d’archi, con l’aggiunta delle percussioni di Fulvio Maras. La sera dopo ci sarò io a dirigere l’orchestra di Parma Frontiere, riunita per l’occasione dopo cinque anni, in uno Stabat Mater che volevo comporre da tanti anni e che finalmente vede la luce.

Locandina edizione 2020 ParmaJazz Frontiere

Non è una novità, ma il cartellone a seguire è molto costruito attorno al pianoforte.
Sì, in effetti già il terzo concerto vedrà all’opera il trio di Stefano Battaglia, che tutti conosciamo, e più avanti ci sarà Fabrizio Ottaviucci, pianista di area contemporanea, che proporrà un programma che abbiamo deciso insieme, con dentro musiche di Terry Riley e altri minimalisti americani, sempre in tema di frontiere. Più avanti ci sarà poi un piano solo di Enrico Pieranunzi, che eseguirà un programma misto, com’è ormai suo costume, da Scarlatti al blues, da jazz standards a composizioni sue.

Un momento importante credo sia l’esibizione di Federico Calcagno, che ha da poco sfornato alla testa di un quintetto internazionale l’ottimo “Liquid Identities” e a cui avete assegnato il Premio Gaslini 2020.
Infatti. Si tratta di un giovanissimo clarinettista milanese che però vive fra Copenaghen e Parigi. La stessa sera suonerà anche il chitarrista Francesco Fiorenzani, all’interno del progetto, comprensivo di fondo, chiamato Young Generation. C’è poi il consueto concerto Una stanza per Caterina, dedicato a Caterina Dallara, in cui è sempre prevista almeno una presenza femminile. Quest’anno ci sarà così il solo di Anais Drago, incredibile giovane violinista che io ho scoperto l’estate scorsa. E incredibile è anche il clarinettista Marco Colonna, che come Anais Drago si esibirà all’Ape Museo. Ci sono poi delle presentazioni di libri in collaborazione con Feltrinelli e delle conferenze di Luca Perciballi, più atri eventi, come Cartoons, ormai tradizionale appuntamento per i giovanissimi, e altro ancora.

Roberto Bonati

Pensierino della sera?
Tutto il nostro lavoro è fatto per la città e per il pubblico, per cui invito i cittadini di Parma a sostenerci con la loro presenza. Aleggia sul nostro festival questa ombra della presunta difficoltà, l’impegno intellettuale, poco in linea rispetto a tanti altri festival jazz. Non siamo in linea, è vero, perché cerchiamo una profondità e un’originalità, che credo chi viene ai nostri appuntamenti apprezzi, anche perché abbiamo sempre cercato di difendere e diffondere il rito della socialità del concerto. Credo sia una cosa molto importante.
Alberto Bazzurro