Nduduzo Makhathini a Milano, domenica 21 maggio

Il pianista sudafricano, vecchia conoscenza dei nostri lettori, torna in Italia per un concerto in solitudine nell'ambito del festival milanese Piano City

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Nduduzo Makhathini, 40 anni, pianista, da Pietermaritzburg, KwaZulu-Natal, Repubblica Sudafricana, è uno dei musicisti più impegnati, tra quelli del suo territorio, nella diffusione del messaggio artistico del suo Paese. Anche se il Sudafrica ha dato i natali in passato a musicisti importantissimi che si sono creati una solida reputazione in Occidente, Nduduzo è il primo della sua generazione a ottenere un rilevante riconoscimento al di fuori dei confini nazionali, grazie anche al suo potente concentrato di spiritualità e amore per le radici del popolo zulu.

Domenica 21 maggio, alle ore 22, Nduduzo si esibirà in un concerto di piano solo sul GAM Main Stage di via Marina, a Milano, nell’ambito dell’ultima giornata di Piano City. La nostra rivista l’ha incontrato e intervistato più volte, ed è stata la prima a far conoscere al pubblico italiano il suo messaggio musicale. Nduduzo ha finora inciso finora nove dischi e in Europa è diventato una piccola celebrità. Il suo modo di suonare il pianoforte è fortemente connesso con una spiritualità che trae ispirazione da un coacervo di influenze, in cui il jazz è il perno principale. Emana una forte empatia, possiede un sorriso luminoso e sfoggia una personalità accogliente.

Il programma di Piano City è consultabile su pianocitymilano.it

Nduduzo, bentornato in Italia. Ormai ti capita spesso di suonare dalle nostre parti…
Sì, negli ultimi tempi ho suonato in diversi luoghi. L’anno scorso al Blue Note di Milano, un mese fa a Bologna con Hamilton de Holanda. Adoro il vostro Paese e non vedo l’ora di tornare a suonare a Milano, anche se la città italiana che preferisco è Venezia.

Ci parli del tuo approccio al pianoforte? Qual è la sua relazione con la musica dei tuoi antenati, come si inserisce nel contesto della tradizione africana…
La tradizione della mia terra, l’antica conoscenza africana, offre a tutti noi l’opportunità di considerare il mondo in modo diverso. Ho pensato più volte al bagaglio di conoscenze fornito dalla cosmologia africana vista come punto di partenza per un lavoro che, se riuscisse a trovare una conclusione, potrebbe liberare l’umanità e la società moderna dai loro problemi. Sulla base di queste mie riflessioni ho iniziato a considerare le pratiche divinatorie del popolo zulu come un modo per avvicinarsi al pianoforte e all’improvvisazione attraverso quello che è noto come ngoma, che nella lingua zulu significa guarigione, ma anche Dio, rituale, canzone, o anche semplicemente l’atto del cantare. Il pianoforte diventa così un modo per rivelare l’invisibile e anche un mezzo per comunicare con altri mondi.

Per un pianista, suonare da solo è una sfida oppure una situazione di comodo?
È una pratica devozionale sottomessa a un’ontologia dell’interezza. Per quanto mi riguarda, come ti dicevo prima, il piano solo diventa un’opportunità per entrare in connessione, in relazione col mondo degli spiriti.

Sembra che la popolarità della musica sudafricana stia vivendo un buon momento. Hai la stessa percezione o è solo un’impressione di noi occidentali?
Il Sudafrica sta facendo i conti con il suo passato e con la sua storia. Ma tutto questo è molto complesso. Anche nella musica viviamo questa fase di riesame, e tutti noi musicisti sudafricani siamo fermamente convinti di ritrovarci a operare in un momento storico assai importante.

So che hai un’attività didattica che ti tiene molto impegnato. Qual è il tuo prossimo progetto?
Insegno da più di quindici anni e di recente ho avuto un incarico in una nuova università. Tra i miei progetti musicali, invece, è imminente una nuova registrazione con il mio trio.
Nicola Gaeta