Lana Meets Jazz, Lana, dal 15 al 20 giugno 2022

di Giuseppe Segala

1094
Helga Plankensteiner e la Big Band Giovanile dell'Alto Adige Foto: Ewald Kontschieder

La forzata pausa dell’edizione 2020 per l’emergenza sanitaria, arrivata dopo due tentativi andati a vuoto, in maggio e in ottobre, non ha fermato il piccolo ma tenace festival collocato nel Burgraviato, poco a Sud di Merano. Questa bella realtà, che unisce musica e formazione didattica, mettendo in relazione un pubblico variegato per età, motivazioni, radici culturali e linguistiche, è frutto del lavoro costante e capillare sul territorio di Helga Plankensteiner e Michael Lösch, per interrompere il quale ci voleva ben altro che una pandemia. Così, lo scorso anno, la programmazione è ripresa con ancora maggiore risolutezza ed energia, trovando una nuova collocazione temporale in giugno e confermando la gratificazione di un pubblico affezionato sempre più numeroso. Nel 2022 si è giunti a toccare il traguardo del decimo anniversario, senza grandi festeggiamenti, ma con musica molto significativa.
Il periodo di programmazione e l’assistenza di una meteorologia benevola ha permesso al festival di accedere a nuovi ambienti all’aperto, nei quali si sposavano l’aspetto scenografico e quello di una buona resa acustica. Allo stesso tempo, quest’anno si è potuta riprendere la consuetudine di mettere sulla scena gli allievi della Scuola Musicale locale, cosa che nel 2021 era stata evitata a causa della stessa malaugurata emergenza sanitaria. Ma fin dal primo momento una caratteristica speciale della manifestazione, con grandi virtù, che non stiamo ad elencare nuovamente e che però si possono ben immaginare, soprattutto laddove queste opportunità non si verificano. Diciamo solo che le piccole introduzioni, di pochi minuti, affidate a piccoli organici di esecutori davvero giovani, erano deliziose. Come sempre, facevano immaginare che proprio da queste esperienze possa scaturire in futuro un rapporto autentico, professionale o no, con la musica.

Simone Zanchini e Gabriele Mirabassi. Foto di Christian Miorandi
Simone Zanchini e Gabriele Mirabassi. Foto di Christian Miorandi

Eccoci dunque al resoconto artistico. Il quale, lo si sarà capito, è solo uno tra gli ingredienti, seppure fondamentale. Clarinetto e fisarmonica hanno aperto il festival, nella cornice lussureggiante di uno splendido vivaio-giardino. Gabriele Mirabassi e Simone Zanchini, che vantano un’esperienza invidiabile nel campo dello choro brasiliano e di quelle musiche sollecitate da sincretismi tropicali e aromi latino-africani, un poco innaffiate pure di Romagna nostra e di Mediterraneo, non hanno indugiato a indossare i panni dei virtuosi, come è ben rivelato nel CD dello scorso anno, Il gatto e la volpe. L’energia straripante di tanti episodi si stemperava in momenti di sottigliezza espressiva e dinamica, soprattutto nello splendido Our Spanish Love Song di Charlie Haden e nel gustoso Valse Hot, di Sonny Rollins.
Un altro duo, assolutamente atipico, sorretto da ironia, gusto del grottesco e della dissacrazione, è stato quello messo in gioco da Matthias Schriefl e Johannes Bär nel frutteto di una adorabile azienda vinicola familiare. Polistrumentisti di rara perizia su una serie di ottoni che vanno dalla tromba alla cornetta, dal flicorno alla tuba, e specialisti pure del lungo, poderoso Alphorn, i due si muovono su un territorio che salpa dalla musica tradizionale alpina, con tanto di coretti e di jodler, per dirigersi verso improvvisazioni ardite, in cui spiccano sonorità e accenti del jazz arcaico, spunti free e addirittura guizzi di carattere boppistico. Il tutto in un sagace equilibrio instabile, in una costante invenzione di battute dove si mescolano registro alto e basso, finezze stilistiche e atmosfera circense. Tenendo alta la migliore tradizione di un nobile jazz creativo europeo.
Restiamo sul versante dell’incontro dinamico di tradizione e innovazione, per il concerto di Plankensteiner con il suo Jelly Roll, lavoro senza dubbio tra i più interessanti della sassofonista. I brani composti da Morton ricevono una lettura sfaccettata dagli arrangiamenti originali di Achille Succi (al clarinetto basso), di Lösch (al pianoforte), di Glauco Benedetti (alla tuba) e della stessa leader al sax baritono. L’attenzione a uno scorcio importante della storia musicale afroamericana si mescola feconda agli spunti modernisti. L’improvvisazione collettiva dei tre fiati di registro grave tinge di nuove suggestioni le trame intrecciate del jazz di New Orleans; i ritmi di bolero e di habanera si mescolano allo swing e allo stomp, nel pregnante contributo di Matteo Giordani alla batteria, per accompagnare gli interventi pregevolissimi dei singoli, il cui spirito astratto svela il carattere innovativo, innato e inossidabile della musica di Morton.
Jelly Roll sottolineava nelle sue chiacchierate con Alan Lomax la presenza della spanish tinge quale ingrediente fondamentale del jazz, musica di cui naturalmente era lui l’inventore.

Mauro Ottolini, Vanessa Tagliabue Yorke. Foto di Christian Miorandi

E intrisa di tinte cubane, creole, spagnole, ma con qualche sconfinamento in altre regioni, è la proposta di Mauro Ottolini con la sua Nada Mas Fuerte, il sestetto in cui spicca la vocalità duttile di Vanessa Tagliabue Yorke. Una proposta di intrattenimento alto, collocata nel contesto di un hotel prestigioso, che il trombonista veronese ha gestito con brillante verve, arrangiamenti variegati, colori accesi, con un organico strumentale stimolante, dove il suo trombone e le sue conchiglie si incrociano con fisarmonica, chitarra, contrabbasso e batteria. Un’attenzione opportuna era dedicata dalla rassegna lanense anche alla feconda scena regionale, in particolare con la presenza di due compagini la cui attività sfiora ormai la stessa età del festival: la Big Band Giovanile dell’Alto Adige, alle prese con un repertorio molto articolato dove composizioni tra l’altro di Fiorenzo Zeni, Martin Ohrwalder, Florian Bramböck erano affrontate con tanta grinta e scioltezza, e il quintetto del vibrafonista Mirko Pedrotti. Quest’ultimo, dopo tre dischi e una storia che lo ha visto premiato da concorsi nazionali come il Barga Jazz Contest, rappresenta ormai una realtà consolidata, contraddistinta dal perfetto amalgama su un repertorio originale, in cui temi e metri si incrociano in meccanismi perfettamente lubrificati, con riferimenti al rock progressive storico e al jazz metropolitano contemporaneo. Tra i brani proposti, molti erano tratti dal CD più recente, Durch, mentre alcuni più nuovi mostravano una tendenza all’apertura verso atmosfere dal respiro melodico più ampio. Una scommessa, quella del festival di Lana, che da dieci edizioni vince sul piano della qualità e della dimensione umana.
Giuseppe Segala