E’ sicuramente tra gli astri nascenti del panorama jazzistico. L’epiteto ornans che la precede è quello di «sacerdotessa del jazz psichedelico arabo», ciò in quanto combina strutture, melodie e ritmi della musica araba con l’improvvisazione del jazz e con elementi di design sonoro elettronico. Nel corso della sua carriera ha collaborato con artisti come Radiohead, Lee Scratch Perry, Natacha Atlas e Rabih Abou-Khalil, giusto per dirne qualcuno.
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Benvenuta Yazz, che bel nome! Quando hai iniziato a interessarti alla musica?
Prima di tutto, il mio vero nome è Yasmeen. La s si pronuncia come in say o seal, ma quando mi sono trasferita nel Regno Unito nessuno riusciva a pronunciare correttamente il mio nome! I miei compagni di classe e i miei insegnanti mi chiamavano Yazzmin, cosa che odiavo! Così ho fatto un compromesso e ho chiesto alle persone di chiamarmi Yazz.
Ho sempre amato la musica: il primo strumento che mi è stato dato è stato un tom di una batteria, da bambina non appena ho iniziato a camminare. A casa si ascoltava spesso musica: mia madre era appassionata di jazz, reggae, dub, hip hop e musica classica. Prima di trasferirsi in Bahrein era una ballerina classica e metteva la musica delle sue danze preferite. Quella che mi colpiva di più era La sagra della primavera di Stravinsky. Il nostro amore per la musica ci ha seguito quando ci siamo trasferiti nel Regno Unito, dove ho iniziato a suonare la tromba.
Quali elementi della musica bahreinita hanno influenzato maggiormente il tuo background musicale?
Lo spirito e l’emozione che si celano dietro le canzoni struggenti eseguite dai pescatori di perle, insieme ai canti festosi dei gruppi di percussioniste femminili che suonano ai matrimoni e alle feste. Ci sono ritmi particolari che mi sembrano molto autenticamente bahreiniti e uno dei suoni che associo davvero a questa musica è il complesso battito di mani contrappuntistico, in cui tutti sull’isola sembrano essere esperti.

Foto di Alex Bex
L’11 ottobre suonerai a Firenze nell’ambito del festival organizzato da Musicus Concentus, e questa sarà la tua unica data in Italia. È una tua scelta suonare solo a Firenze?
No, sarei felicissimo di suonare in tutta Italia! Il mio quartetto ha suonato a Bari alcuni anni fa e ho tenuto due concerti al meraviglioso festival Isole che Parlano in Sardegna, uno dei quali era un assolo sulla spiaggia di un’isola remota al largo della costa! Tuttavia, il concerto a Firenze è la mia unica data italiana al momento, anche se tornerò a suonare con Rosa Brunello il 26 ottobre a Cormons.
Chi saranno i musicisti che suoneranno con te?
A Firenze sarò accompagnato da Jonny Mansfield al vibrafono, Dave Manington al basso e Josh Blackmore alla batteria, tutti musicisti meravigliosi con cui lavoro da molti anni.
Qual è il tuo rapporto con il pubblico?
Dopo i miei concerti, il pubblico spesso mi dice cose del tipo: “Mi sono sentito trasportato in un altro mondo, perso in una trance, sotto un incantesimo”. Questo mi rende felice perché è proprio l’esperienza che spero di offrire. Parlo un po’ sul palco, ma mi piace che sia la musica a raccontare la sua storia.
Quali collaborazioni hanno influenzato maggiormente la tua visione della musica?
Le mie collaborazioni con il beatboxer naturalista Jason Singh, che suona anche nel mio progetto parallelo, Electric dreams. Mi ha davvero aperto gli occhi e le orecchie su mondi sonori completamente nuovi. Mi ha anche fatto conoscere la musica del trombettista e compositore Jon Hassell, scomparso di recente, che trovo molto stimolante.
Alceste Ayroldi