Se il Novecento artistico fu messo a soqquadro da Marcel Duchamp, l’orchestra fondata nel 2006 e capitanata dal contrabbassista svizzero Vincent Bertholet, sembra voler seguire, accidentalmente, le orme del suo eponimo. E già, solo accidentalmente in quanto, la denominazione dell’ensemble è nata per gioco…Inizialmente era un sestetto il cui nome intendeva omaggiare le orchestre africane, l’arte dada, dalla quale mutuano – consapevolmente o meno – il senso di libertà dagli schemi, convenzioni ed etichette. Insomma, musicalmente parlando, come recita il loro sito, ne viene fuori una scintillante : «amalgama di folk, kraut-rock, post punk, e ritmi africani» e, aggiungiamo, una bella spruzzata di improvvisazione.
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Buongiorno e benvenuto a Musica Jazz. Come e quando è nata la tua orchestra?
Ciao! Abbiamo iniziato nel novembre 2006 al Cave 12 di Ginevra.
Quali erano le intenzioni iniziali e, cosa ancora più importante, sono state rispettate?
Per questo spettacolo ho ricevuto carta bianca dal locale per realizzare ciò che ho sempre desiderato fare, e in quel momento il mio vecchio sogno era quello di avere una grande band che mescolasse tutte le mie diverse influenze, con musicisti provenienti da background diversi. Sì, è andata anche oltre le aspettative, e continuo a seguire questa linea.
Cercando notizie sulla vostra orchestra, il genere musicale attribuito da Google appare chiaro: indie francese. È davvero questo il vostro genere?
Non ci riconosciamo affatto in questo genere. Innanzitutto siamo una band svizzera. E immagino che Google non abbia ascoltato la nostra musica. In realtà, preferiremmo non essere classificati in un genere.
Il vostro omaggio alle orchestre africane è già evidente, non solo nella vostra musica, ma anche nel nome Tout Puissant, che ricorda importanti ensemble del continente africano. Qual è il vostro rapporto con l’Africa?
Il nome è una sorta di omaggio alla musica africana in generale, proveniente da tutto il continente, che ha avuto un’enorme influenza quando ho fondato la band, ma in realtà non abbiamo alcun rapporto con l’Africa. Due musicisti della band hanno un padre africano, ma non è questo il motivo per cui suonano con noi. Sono con noi solo perché sono grandi musicisti. Non sono sicuro che oggi avremmo scelto quel nome. La questione dell’appropriazione culturale è più importante oggi, il che è molto positivo, ma nel 2006 non ci ho mai pensato quando ho scelto questo nome.
Qual è il tuo rapporto con l’improvvisazione e il jazz?
Studiavo jazz e improvvisazione quando ho fondato gli Optmd. Poco prima di iniziare, ho partecipato a un workshop con la bassista improvvisatrice francese Joëlle Léandre. Ha avuto un’enorme influenza su di me per quanto riguarda la gestione di un gruppo di persone, il modo in cui si cerca di eliminare ogni gerarchia in una band, il modo in cui si cerca di dare spazio a tutti i membri. La musica jazz mi ha insegnato la composizione con le basi dell’armonia che ho imparato.
Suonerete a Firenze il 14 settembre. Ricordo che in passato avete già conquistato la fiducia del pubblico italiano. Cosa deve aspettarsi il pubblico di Firenze? È questa la vostra unica data in Italia a settembre?
Abbiamo cinque concerti in Italia a settembre, il pubblico può aspettarsi che suoneremo principalmente brani dal nostro ultimo album, alcuni vecchi e forse uno o due nuovi.
Ovviamente non posso dimenticare di chiederti del tuo legame con Marcel Duchamp…
Fondamentalmente era uno scherzo; quando si forma una band non si pensa di suonare così a lungo. Suonavamo solo in locali alternativi, squat, e l’abbiamo scelto solo perché fa rima con puissant. E poi, naturalmente, è un artista che ha fatto esplodere tutte le convenzioni artistiche, con un’enorme influenza sull’arte contemporanea. Ma è uno scherzo, in primo luogo.
Quali sono i tuoi riferimenti storici e stilistici? Quali artisti, approcci, album o performance caratterizzati da un uso prominente dell’improvvisazione hanno catturato la tua immaginazione all’inizio?
Ascolto molti generi musicali diversi: jazz, punk, improvvisazione pura, musica tradizionale, pop, hip hop… L’idea di formare una grande band mi è venuta da un gruppo inglese chiamato Homelife, di Manchester, che ha pubblicato alcuni album con la Ninja Tunes all’inizio degli anni 2000. Anche la band olandese The Ex ha avuto un’influenza enorme, e ancora di più Dog Face Hermans, la precedente band di Andy Moor, uno dei chitarristi dei The Ex. Wilf Plum, il batterista dei DFH, ha suonato con noi per undici anni. Sono queste le band che hanno davvero cambiato la mia percezione della musica, suonando una sorta di “punk”, ma molto orientato ad altri generi musicali, come il free jazz, la musica africana, le canzoni folk tradizionali…
Come procedi nella fase di composizione?
Originariamente iniziavo la composizione con il mio contrabbasso e i looper, cercando di trovare una sorta di trance con groove molto semplici, aggiungendoci sopra melodie semplici. Poi, quando abbiamo iniziato a essere in tanti (eravamo solo in sei durante i primi dieci anni), ho iniziato con delle linee di basso e, poi, ho aggiunto degli strumenti midi con una tastiera. L’ultimo album, «Ventre Unique», l’ho composto così. Per il prossimo, cercherò di usare solo un sintetizzatore analogico monofonico e una drum machine molto semplice.
In che modo ritieni che il tuo senso di identità influenzi la tua creatività?
Ovviamente sono influenzato da tutto ciò che mi circonda. Cerco di essere il più trasparente, il più equo, il più onesto possibile nella mia musica. La mia musica è ciò che sono, spero. Non cerco mai di comporre qualcosa pensando a qualcuno, o cercando di fare questo o quello pensando che possa piacere a un vasto pubblico. Faccio musica prima di tutto per me stesso. Ed è fantastico quando la condivido con altri musicisti, con un pubblico entusiasta.
Quali sono i tuoi obiettivi?
Continuare a suonare per i prossimi 20 anni.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo questo tour in Italia faremo un tour di quattro settimane in Germania, nei Paesi Baltici, in Svezia e in Danimarca. Poi dovremmo provare a lavorare al nostro settimo album nel 2026. E forse anche avere una band totalmente acustica, per eventi speciali senza elettricità, saremo 18 musicisti per questo progetto (abbiamo 2 furgoni con 9 posti ciascuno).
Alceste Ayroldi