Intervista a Theon Cross: sonorità afrobeat e visione panafricana

di Giulia Focardi

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Theon Cross

Il New York Times parla di lui come “un talento prodigioso”, il The Guardian esalta la sua “esuberante inventiva”, Pitchfork lo incorona addirittura come “figura chiave della vitale scena jazz londinese”: Theon Cross, classe 1993, è stato capace di costruirsi negli ultimi anni, anche grazie alla militanza con Shabaka Hutchings e i suoi Sons Of Kemet, fama e credibilità grazie al suo originale apporto artistico e alla sua versatilità musicale. Complice anche il suo strumento, il bassotuba, inconsueto nello scenario jazzistico contemporaneo; Cross, infatti, grazie al suo approccio allo strumento, riesce a espanderne le possibilità sonore e reinventarne completamente il ruolo, rendendolo elemento cruciale della scena jazz contemporanea.
Il musicista britannico sarà in Italia a Firenze, sul palco della Sala Vanni, venerdì 6 maggio per uno dei concerti più attesti della stagione di Tradizione in Movimento, che nel 2022 spegne 30 candeline (la rassegna è organizzata dal Musicus Concentus, associazione fondata con l’intento di costituire un centro stabile di attività musicale a Firenze e in Toscana, che quest’anno compie 50 anni); insieme a lui ci saranno Nikos Ziarkas (chitarra), Chelsea Carmichael (sax) e Patrick Boyle (batteria).
Lo abbiamo raggiunto durante la sua tournee europea per intervistarlo e parlare di lui delle sue origini, la sua musica, il suo ultimo album “Intra-I” e molto altro.

Theon, sei così giovane eppure sei già una star nel panorama jazzistico europeo e non solo: parlaci delle tue scelte, perché hai deciso di suonare la tuba?
Prima di tutto ti ringrazio, apprezzo molto questi complimenti. Credo che la scelta del mio strumento sia stata guidata più dal destino che da una decisione consapevole. All’età di otto anni, quando ero alle elementari, i miei genitori hanno segretamente iscritto me e mio fratello alle lezioni di ottoni; all’epoca il mio insegnante di ottoni distribuiva diversi bocchini ad ogni studente e diceva che il bocchino con il quale ottenevi il miglior suono sarebbe stato lo strumento che ti avrebbe insegnato. Nel mio caso è stato il corno tenore, che è essenzialmente una piccola tuba. In sintesi, man mano che crescevo sono passato a ottoni più grandi e all’età di quattordici anni ho iniziato a suonare la tuba e mi sono innamorato del suo suono e delle sue capacità come strumento basso.

Quali sono le tue influenze artistiche e le tue radici?
Culturalmente sono un britannico afrocaraibico. Sono nato a Londra da madre di Santa Lucia e padre giamaicano. Questo mi ha portato ad ascoltare, da sempre, ed essere esposto a una discreta quantità di musica caraibica come Soca, Reggae, Dancehall Zouk ecc. Direi anche che sono influenzato dai suoni locali di Londra come grime, garage jungle, drill. Cerco di impersonare e interpretare le energie e le sensibilità di tutto il mio background all’interno della mia ricerca musicale. Sono anche un amante e uno studente di jazz e credo di essere in linea con quelle radici musicali, cerco di assimilarle e portare rispetto a tutti quei maestri che sono venuti prima come Miles Davis, Sonny Rollins, Wayne Shorter e molti altri.

Puoi spiegarci meglio cosa intendi per ADM – “Afro-Diaspora Music”?
Spesso mi viene chiesto che genere di musica compongo. E per me la comunanza di influenze a cui attingo e faccio riferimento per creare il mio lavoro è la musica che viene dalla diaspora africana. Che sia afroamericana, afrocaraibica o musica dal continente, l’esperienza delle persone è ciò che alimenta e dà corpo alla mia musica. Penso che guardare da una più ampia visione panafricana sia il modo in cui mi piacerebbe categorizzare ciò che faccio e ciò che mi influenza e mi ispira.

Il tuo ultimo album “Intra-I” è incentrato sull’idea di scoperta di sé e sul viaggio interiore. Come hai lavorato? Cosa ti ha ispirato e ha ispirato la tua musica?
L’album è nato durante il periodo di lockdown a causa del Covid, in cui ho avuto una grande quantità di tempo per riflettere su me stesso. Mi sono posto molte domande come; chi sono io?; cosa rappresento?; quanto la mia genealogia influenza ciò che sono? ecc. “Intra-I” che letteralmente significa “dentro di me” è l’esplorazione sonora per cercare di trovare una migliore versione di me stesso, comprendermi meglio e rispondere a tutte queste domande e molte altre ancora. A livello fisico, inoltre, l’uso della tuba come suono principale rispetto all’intera gamma dei suoni del disco, ha portato, oltre che ad un viaggio concettuale interiore, a un’esplorazione effettiva di come utilizzare le infinite capacità del mio strumento”.

Hai collaborato e collabori con molti importanti musicisti: cosa cerchi di solito quando inizi una nuova collaborazione artistica?
Penso che una delle cose che tutti ci sforziamo di fare come artisti, come musicisti, è suonare rispettando noi stessi; quindi, penso che i musicisti che restano se stessi, riuscendo a disinguersi, quando suonano il proprio strumento è una cosa incredibile che rende grande ogni collaborazione.

Il concerto alla Sala Vanni di Firenze è la tua unica data italiana in maggio: qual è il tuo rapporto con l’Italia?
Vero, la data di Firenze è la mia unica data italiana a maggio. Sarò nuovamente in Italia per il mio progetto in solo “Intra-I” per Novara Jazz, l’11 giugno, sarà una prima nazionale. Nell’ultimo decennio ho suonato spesso in Italia con la mia band e anche con i Sons of Kemet & Jon Batiste nel 2014. Sento che il pubblico italiano è sempre attento e apprezza la mia e la nostra musica in modo significativo. È sempre un piacere suonare in Italia. È anche la patria di alcuni dei migliori musicisti che ho ascoltato fino ad ora.

Raccontami qualcosa di più rispetto alla tua idea del live: cosa porti sul palco in termini di sensazioni e umanità?
Essere in grado di viaggiare per il mondo suonando la musica che ho scritto e composto è un grande privilegio che non do mai per scontato. Credo che essere invitato ad esibirsi a chilometri di distanza da casa mia significhi che c’è qualcosa di unico o distintivo nella mia voce che la gente vuole sentire. Così, mentalmente, prima di suonare mi ricordo questo e dico a me stesso e alla band di essere noi stessi e di divertirci e goderci ciò che stiamo facendo, perché è un momento per cui essere grati. È uno scambio reciproco di energie positive tra l’artista e il pubblico, è un movimento in entrambe le direzioni.

Hai nuove idee e progetti per il futuro?
Sì, recentemente ho registrato una eccellente registrazione dal vivo, con la mia band, che ho ascoltato molto e penso che meriti di essere pubblicata come un album dal vivo. Spero che verrà pubblicato prima delle fine dell’anno. Dopodiché comincerò a lavorare per il prossimo album in studio.
Giulia Focardi