Al secolo Hanna Maria Raniszewska, nata a Danzica trentacinque anni orsono. Dagli studi accademici in ambito classico è arrivata alla sperimentazione dell’improvvisazione, che l’ha portata nell’olimpo dei compositori di musica per film. Hani Rani è una di quelle artiste che è riuscita ad abbattere, con disinvoltura, le barriere tra i generi musicali.
**************************************************************
Hania, hai studiato pianoforte classico e hai sviluppato il tipico approccio classico alla musica. Cosa ti ha affascinato del linguaggio jazzistico?
La prima volta che mi sono imbattuta nella musica jazz è stato a scuola, quando avevo circa tredici o quattordici anni; in realtà la mia città natale – Danzica – è molto famosa in Polonia per la musica jazz, quindi ci sono molti bei posti dove ascoltare jazz dal vivo e ci sono anche molti giovani che lo suonano. Quindi, non è stato molto difficile imbattersi nel jazz. Ricordo che avevamo un paio di amici e suonavamo anche in una large ensemble, o andavamo insieme ad ascoltare le jam session. Io ero piuttosto timida, quindi non partecipavo molto perché suonavo la musica classica ma, a un certo punto, penso che anche il solo ascolto di questa musica mi abbia ispirato molto.
Come procedi in fase di composizione? Quale criterio segui, classico o jazz?
Non lo so, non lo faccio: non seguo un criterio. Credo che il mio modo di comporre al momento sia davvero intuitivo e non seguo alcun percorso in particolare; credo che dipenda davvero dal progetto e da ciò che mi interessa in un certo momento, da cosa sono ossessionata, da cosa sto ascoltando; oppure se sto lavorando a una colonna sonora o a un brano classico contemporaneo, o se sto lavorando al mio album che, in questo momento, è più orientato verso la musica elettronica pop e verso la musica strumentale contemporanea. Credo che ciò derivi dal fatto che sono stata coinvolta per molti anni nella musica classica, al momento ciò che mi ispira di più è fare musica in modo molto intuitivo e non pianificare molto. Ciò che mi interessa, piuttosto, è pensare in modo creativo e sperimentare, provare cose nuove, un po’ fuori dagli schemi, quindi credo che non ci sia una direzione specifica.
Parliamo del tuo ultimo album «On Giacometti».
«On Giacometti» è, in realtà, la colonna sonora di un documentario sul pittore svizzero Alberto Giacometti e, in seguito, una volta terminato il progetto, la mia etichetta Gondwana Records mi ha proposto di pubblicarlo come album a sé stante, anche se io ero piuttosto scettica, perché non sapevo se avesse senso, ma in realtà la gente sembra amare questo disco e ne sono molto felice. Circa due anni fa, mi è stato chiesto dalla regista svizzera Susanna Fantun di unirmi al suo progetto e di comporre la colonna sonora per il suo film su Alberto Giacometti e la sua famiglia. Ho subito detto di sì, perché ammiro questo artista ed è stata una decisione molto facile da prendere. Per questo progetto ho anche deciso di trasferirmi per un paio di mesi sulle montagne svizzere e ho allestito lì un piccolo studio, molto semplice ma molto carino e ho lavorato lì per tre mesi. E’ stato un momento di grande ispirazione per la mia creatività. Un luogo che mi ha profondamente ispirato, perché lì ho composto molta musica, tra cui la colonna sonora del film ma anche canzoni per il mio nuovo album. Forse perché ero in montagna, al centro della natura, in un posto remoto e isolato, che l’ispirazione e la creatività hanno galoppato…
Ci parleresti invece di «Ghosts»? Come è nata l’idea di questo disco e perché questo titolo?
Già, l’idea di «Ghosts» ha iniziato a prendere forma nel corso del tempo e ha avuto una forma più chiara proprio durante la mia permanenza tra le montagne svizzere. Tutto è iniziato perché il posto era abbandonato e, così dicevano, infestato dai fantasmi; il mio piccolo studio si trovava in un vecchio sanatorio nella valle. Non c’era molta gente quindi: in pratica, passavi la maggior parte della giornata solo con te stesso, con i tuoi pensieri, con la tua musica e con la natura, naturalmente. E lentamente credo che abbia assorbito tutto ciò che accadeva in questo spazio vuoto: assorbivo tutti i rumori, tutte le stranezze. Non so, forse ho avuto qualche tipo di apparizione e ho pensato ai fantasmi, ho pensato che in realtà questo argomento sarebbe stato interessante per me come artista. Il titolo deriva dal luogo, in realtà come un luogo un po’ spettrale. Ho composto della musica che, secondo me, proviene da questo luogo. Quando creo musica, cerco sempre di seguire ciò che il luogo mi suggerisce e di cogliere il momento.
Hania, perché la morte è uno dei temi di questo disco?
E’ una bella domanda. Forse solo perché mi spaventa e perché in qualche modo la sto sperimentando anch’io. Forse è qualcosa che voglio affrontare. Penso che la musica e l’arte siano un ambiente perfetto per affrontare le cose difficili e per riflettere su qualcosa, che probabilmente è un po’ inquietante e, ovviamente, i fantasmi sono un punto d’incontro perfetto, sono sempre in bilico tra la vita e la morte, mentre noi siamo creature estremamente vive. D’altra parte, credo che alla fine ci sia sempre la morte e tutti dobbiamo affrontarla, la maggior parte di noi da soli. Ho voluto interpretare tutto ciò con le mie parole e i miei sentimenti.
Wikipedia annovera la tua musica così: classica, dance/elettronica. Sei d’accordo con questa classificazione?
Penso che sia molto difficile dire davvero che tipo di musica sto facendo in questo momento storico. Spero che qualcuno possa definirla come musica contemporanea, musica attuale, musica che riflette sulla realtà attuale perché questo è il tempo in cui viviamo tutti. Capisco anche che abbiamo bisogno di etichettare le cose, che abbiamo bisogno di mettere in ordine le cose; capisco che abbiamo bisogno di incasellare le cose all’interno di paradigmi ben delineati, perché abbiamo bisogno di mettere tutto in ordine. Quindi, penso che sia una cosa molto naturale per le persone, perché altrimenti saremmo solo in confusione. Condivido tutto ciò e, così, non sto più combattendo con questo tipo di classificazioni, anche se penso che sarebbe bene a volte riflettere su come effettivamente la gente ti percepisce, come la gente ti vede, perché potrebbe essere un po’ diverso da quello che pensi di te stesso. Penso che sia anche un bene ascoltare una voce critica che proviene dall’esterno e che, magari, possa parlare come se fosse la tua voce critica, che ti spinga a fare un piccolo check-up su te stessa
Hai anche composto le colonne sonore di serie Tv come The Lost Flowers of Alice Hart, Venice. Come procedi quando lavori su commissione?
Sono molto riconoscente per questi due progetti cinematografici e per poter comporre musica per serie TV e spettacoli televisivi. Anche quando compongo le colonne sonore per il teatro cerco sempre di prenderlo come un progetto molto individuale: non cerco di comporre qualcosa che sia simile ai miei album o a qualcosa che è stato fatto in precedenza. Cerco sempre di seguire la visione del regista o la visione di chi ha avuto un’idea per il film e mi piace avere una responsabilità per l’intera visione, perché di solito, quando lavoro al mio progetto da solista, devo proporre l’intera idea, l’immagine generale e tutti i dettagli, ed è piuttosto faticoso; inoltre, alcune volte, non si hanno mai abbastanza idee. Sai, è difficile trovare idee e, soprattutto, quando sei un artista solista sei un po’ limitato nella tua immaginazione e io adoro mescolare le mie idee con i pensieri e le prospettive di altre persone, soprattutto quando si tratta di lavorare con artisti visivi e persone che esprimono le loro idee attraverso le immagini, attraverso i filmati.

Alcuni dei tuoi brani sono stati remixati. In questo caso sei tu a dare l’autorizzazione finale? Collaborate nella fase di remix (o rework)?
Fondamentalmente trovo che questo tipo di fase sia estremamente stimolante e sento sempre di imparare molto; imparo quasi una nuova lingua, quindi sono molto contenta di poterlo fare. Dipende davvero da chi sta remixando il brano e, in realtà, non do molto spesso il permesso di fare re-work; anche io stessa non faccio più re-work, perché penso che sia un compito molto difficile e devi davvero avere una buona idea, solo così puoi fare qualcosa che sia valido. Ovviamente, ci sono stati un paio di gruppi e artisti dei quali ammiro il loro modo di remixare la mia musica, riarrangiando e riorchestrando. Era così brillante il risultato, che è stata una gioia pura, ma di solito è un lavoro molto individuale e non lo interrompo. Non interferisco mai, e lascio libertà perché penso che questo sia anche lo scopo delle rielaborazioni: renderle il più possibile nuove e individuali e vedere come si sentono le altre persone.
Sei giovane, ma hai già molti dischi all’attivo. Pensi che sia una prerogativa del terzo millennio che un musicista debba registrare dischi per non essere dimenticato?
La tua è un’ottima domanda. Penso di essere già abbastanza preparata quando penso al mio passato, a quello che ho fatto, ai tour e tanto altro. All’inizio sei così entusiasta di tutto e sei così piena di energia e, spesso, non vai in tournée; quindi hai molto più tempo e sei davvero felice di provare ciò che fai. Quindi, c’è anche la possibilità che tu componga molto di più ed è tutto più immediato, ovviamente, quello che sta succedendo al momento, è che hai bisogno di tutto il tempo per produrre e pubblicare musica. In realtà, probabilmente, è sempre stato così, anche in passato. Così, penso, che anche se non si tratta solo di condividere musica e pubblicarla sulle piattaforme, è necessario comporre musica per sopravvivere, perché bisogna guadagnare dei soldi e forse non c’è altro modo. Credo che, quando si seguono le biografie dei grandi artisti, di qualsiasi tipo di arte visiva o cinematografica o altro, la maggior parte di loro ha avuto bisogno di produrre un sacco di cose: dipinti, sculture. Forse con i film è diverso, ma la maggior parte dei registi che non producono parecchi film non sono molto famosi; oppure, nel frattempo, lavorano a progetti più piccoli. Penso che forse lavorare e stare nel processo di creazione sia il cuore della nostra pratica quotidiana, ed è così che si trovano le risposte, si trovano le idee e si sperimenta. La cosa che forse mi infastidisce è che le cose devono essere così brevi, devono essere fatte molto velocemente. E questo mi infastidisce, perché la musica sta diventando molto spesso troppo commerciale e presuntuosa. I musicisti sono molto sollecitati. E’ questo che noto da qualche tempo a questa parte. Credo di essere anche io in difficoltà come tutti gli altri; penso che tutti gli artisti in realtà stiano lottando un po’ e stiano pensando al futuro. Come hai detto tu, anche io penso a quanti dischi dovrei pubblicare e a cosa dovrei fare e sì, nella mia carriera ho incontrato molti artisti e mi sembra che tutti ci stiano pensando e che tutti siano un po’ spaventati, soprattutto quando il momento d’oro è alle spalle. Sai, alla fine ritengo che sia una cosa molto naturale non voler essere dimenticati.
Quali sono i tuoi prossimi impegni e obiettivi?
Ho ancora un paio di cose molto complesse da realizzare, ma anche molto eccitanti. E le voglio realizzarle nel migliore dei modi. Quindi abbiamo appena annunciato una parte molto speciale del mio Ghost Tour, che sarà anche l’ultima parte del tour. Mi esibirò in una delle sedi più belle e prestigiose d’Europa e porterò lì un ensemble completo. Chi mi conosce sa che di solito mi esibisco da sola. Poi, ho appena terminato la colonna sonora di un film e inizierò a lavorare alla colonna sonora di un altro. E’ un progetto entusiasmante, forse anche uno dei più importanti per me fino ad ora. E, ancora, l’anno scorso ho composto un concerto per pianoforte e questa cosa mi piacerebbe molto registrarla: siamo in fase di preparazione. E stiamo anche preparando l’intero piano di registrazione di questo album di classica contemporanea molto diverso da «Ghost» e da tutto ciò che ho composto nel frattempo. Ci sono molti e, secondo me, bellissimi progetti in cantiere, ma che richiedono una pianificazione molto ponderata.
Alceste Ayroldi