Intervista a Francesco Cavestri

Entropia è il titolo del nuovo singolo del ventiduenne pianista e compositore, che il 23 settembre sarà ospite del Blue Note di Milano.

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Struttura dell’iperbole. Quando incontro il pianista Francesco Cavestri – e accade spesso, date le sue molte prestigiose collaborazioni e la qualità dei concerti che riesce a mettere insieme in un tour – tutto procede in crescendo tra battute, rimandi jazzistici e – appunto – piccole amplificazioni che ci divertono moltissimo. Ormai ogni intervista sembra una festa e tutto scorre in una quarantina di minuti sorridenti, scompigliati e intensissimi.

L’occasione che ci vede ora dialoganti riguarda il singolo uscito ad aprile, dal titolo “Entropia” che vede la collaborazione assai fattiva di Willie Peyote, e un’ulteriore, importante appuntamento il 23 settembre al Blue Note di Milano. Attendendo il nuovo album, di cui sicuramente daremo notizia.

Benissimo, iniziamo allora. Ma…è colpa mia se sei così spettinato?
Ma no, sono sempre così io… tu invece, con quella lampada da youtuber sulla faccia!

Ecco, subito a insinuare…. È solo una lampadina del noto marchio svedese, che mi metto sulla scrivania per cercare di scrivere… sono cecata io, mica una giovincella come te! E comunque: che razza di bel pezzo hai comminato, ce l’ho in testa da un sacco e non se ne vuole andare mannaggia a te…
Eh, perché hai ascoltato la versione radio. In effetti è un pezzo radiofonico, non credi?

Ah, ma certo, basti pensare cosa ne ha detto il mio carissimo Marco Biondi, dj e sopraffino critico musicale (ora a Radio Capital, N.d.R.) Ecco qui:
“È un brano veramente molto interessante. Mi piace quando sento le sonorità che si contaminano, che danno un  risultato che comunica emozione, che mi fa stare bene. Mi fa davvero piacere quando si mischiano tante situazioni tra di loro: qui dentro c’è il jazz,  il rap e l’hip-hop di Willie Peyote, e c’è il pop della melodia, un ritornello molto bello e molto forte che può restare impresso nella mente, quando lo ascolti. Ha tutte le caratteristiche giuste ed è un brano molto raffinato – com’è giusto che sia – che avrà sicuramente una collocazione vincente a livello di pubblico. Trovo in questo pezzo molte buone vibrazioni.”

Ma grazie!!! Certo, ma poi c’è Willie Peyote con me, c’è l’hip-hop e c’è quel sapore jazz…

Oddio, se vogliamo parlare dei ricami sotto la voce, quelle frasi al piano così ben eseguite, complesse e orecchiabili a un tempo. Il pezzo sarà pure radiofonico, ma accidenti se accelera… E poi: dal vivo è diversa?
Io lo paragono al resto della mia discografia, è ovvio. E per quanto riguarda la versione dal vivo, c’è solo la parte finale, il mio solo di piano,  che viene allungata. Quello che penso anche tu abbia avvertito, è che ci siamo divertiti veramente un sacco. Ho utilizzato frasi di Daisy, una cantante molto brava che ha collaborato nel mio disco, in particolare nel mio tributo ai Massive Attack con Teardrop. Ha fatto quei vocalizzi che io ho preso e ho rielaborato.

Ah già, ecco qui. Lo stato dell’arte è che io ti ho fatto un’intervista per Iki Bellezza Ispiratrice, poi ti ho intervistato nuovamente insieme a Willie per il live che avete fatto insieme nella serata di Halloween – che io avevo definito Willoween – poi il Top Jazz che ti ha donato grandi soddisfazioni, la copertina di Forbes, ora di nuovo il Blue Note…
Ma veramente, che periodo incredibile! Tra l’altro, che bello Willoween…..

Grazie! Willie Peyote l’ho sentito ancora per telefono, qualche tempo fa: abbiamo parlato di questa vostra ‘celeste corrispondenza’ e ne era veramente entusiasta. Due anime musicali così diverse, e in modo tanto complesso, che si sono trovate avviluppate in una modalità tanto affine.
Non lo ringrazierò mai abbastanza per aver permesso questo incontro, che ha avuto come esito il pezzo “Entropia”, e certo ci saranno ulteriori collaborazioni future.

E comunque l’allure radiofonica di questo pezzo è innegabile, anche se vi ravviso due diversi livelli: quando lo ascolti senza considerare la tua formazione jazz, ci senti una vena leggera, abbastanza pop; poi entra il piano e dice “Urka!”
Grazie! Nasce da una collaborazione che ha visto la sua prima in Triennale, proprio a Willoween, come lo chiami tu,  ed era un inedito che io ho scritto l’estate scorsa in seguito a una collaborazione che è nata a giugno 2024, così abbiamo pensato di fare un concerto insieme per JazzMi. Io e Willie ci siamo conosciuti ad agosto del 2023, a JazzMi mi è stato proposto nel 2024 di fare una collaborazione e io ho pensato subito a lui. Il pezzo l’ho scritto dopo un viaggio in bici per l’Europa – da Bologna a Monaco di Baviera – e  il viaggio è stato talmente bello che ho trovato l’ispirazione per scrivere. Ho memo vocali di quel periodo,  che poi sono diventati quello che hai sentito in anteprima: praticamente il tema.

Proprio bello e così orecchiabile. E anche memorabile, per una con la mia storia sanitaria… “Non fa respirareeee…” Diventerà il mio inno!!!
(Ride di gusto) Certo! E comunque a Willie è piaciuto subito anche in questa versione embrionale, soprattutto nella sua parte armonica: ho studiato jazz, giocoforza la mia musica ha quell’impronta e a lui è piaciuta proprio perché sentiva di poter creare una sovrapposizione interessante. La parte funky che ha scritto lui è in effetti molto ispirata.

E infatti non poteva che essere lui, nel mio sentire.
Anche perché Eminem mi ha dato buca (ridiamo)…. In effetti io ho scritto il pezzo PER Willie, non è che avessi un brano da affidare a caso… l’ho scritto pensando alla collaborazione con Willie così come è accaduto per Paolo Fresu: anche quella melodia era scritta esattamente per lui. Questi grandi musicisti vedono che c’è un artista giovane, un ragazzo che propone loro un brano e però non lo sta facendo per un tornaconto o per fare ‘una marchetta’, ma piuttosto perché vuole costruire un pezzo, un progetto o un’intera sonorità intorno al loro personaggio. Mi piace molto fare questo. Quando scrivo per altri cerco sempre di pormi nella ‘loro’ dimensione.

Quindi in questo caso hai scritto qualcosa che richiamasse proprio Willie, su cui lui potesse sentirsi comodo?
Sì, e anzi quando vi fu il concerto insieme a novembre, ci eravamo sentiti per considerare che struttura e che sonorità affidare a quel momento di musica insieme, e così gli buttai lì di realizzare l’inedito insieme. Lui cercava di schermirsi:…”Ma io non sono così prolifico” e invece, quando poi gli ho mandato il pezzo, aveva scritto in un paio di giorni la sua parte. Mi sembra di averlo messo a proprio agio.

Mi pare fossero tempi ‘non sospetti’: io vi avevo sentiti a ottobre e poco dopo lui scopre di essere a Sanremo…
Sì! E oltretutto questo ha fatto accelerare i tempi, io volevo inserire il pezzo nel nuovo album.. In realtà questa cosa di Sanremo è stata veramente una coincidenza surreale.

E c’è una certa continuità di struttura tra il tuo pezzo e quello di Sanremo… Un’affinità di sonorità con Grazie ma no grazie
Questo forse rientra nel fatto che comunque Willie io lo conoscevo personalmente, ma soprattutto come artista, e quindi ho scritto il brano pensando anche a mettere lui in una condizione che fosse agevole; però ho cercato di fare incontrare anche un po’ quello che era il mio mondo musicale, armonico, ritmico, pianistico di jazz con quello che era già per lui un terreno comodo, consono. Quindi ci sta che quel brano appartenesse a un certo mood, e oltretutto a me piace collaborare con tanti artisti perché mi impone e mi sfida a cercare altre sonorità rispetto a quelle che sarebbero esclusivamente le mie: quando vado a proporre una mia composizione a un artista, non si tratta necessariamente di qualcosa che si debba sovrapporre perfettamente sul suo stile, altrimenti suona pedissequo, ma devo ogni volta cercare un punto d’incontro che unisca quello che è il mio linguaggio, la mia musicalità, la mia espressione artistica con qualcosa che sia già loro. Quindi in questo modo trovo sempre un’elevazione ulteriore della mia musica. Per questo amo così tanto questo tipo di collaborazioni: perché mi sfido costantemente a uscire dalla mia zona di comfort.

Certo, molto interessante perché esci dal tuo linguaggio abituale, ma non dimentichiamo che sei sempre quello più giovane tra le due parti…
Eh, sono del 2003.

Appunto! Cosa pensi di te in questi ultimi due anni, cosa senti dentro di te?
Ma sai che non me l’ha mai fatta nessuno questa domanda? Sempre difficile fare un bilancio.

Che strano, e comunque da due anni a questa parte tutto è stato molto pregnante, mi pare.
Dal punto di vista musicale, davvero molto oltre le mie aspettative, tante soddisfazioni. Diciamo che tra i vari sacrifici, le difficoltà che indubbiamente questo mestiere porta con sé, mi sono reso conto di una cosa meravigliosa: sono proprio immense le soddisfazioni. Esiste una creta retorica verso il mondo della musica, cioè che sia difficile, complesso… Quello del jazz, soprattutto,  vive di questa letteratura, di un mondo oscuro. Potrei forse fare il paragone del teatro rispetto al cinema. Però, al netto di tutto questo, ci sono delle esperienze di vita che ti riempiono completamente, l’ultimo anno è stato il più ricco, dal mio album Iki, dalla colonna sonora che ho pubblicato, il brano con Fresu. E un brano a vent’anni con Paolo è davvero qualcosa che non mi aspettavo, a volte mi dico da solo “Caspita però: un artista del genere che investe, che crede, che mette il suo bagaglio artistico al servizio di un giovane musicista, cedendo anche parte della sua magia, è davvero meraviglioso”. Poi c’è il Blue Note, e suonare per due volte in poco tempo in un tempio del jazz italiano non ha davvero prezzo.

Come ti sei sentito su quel palco, la prima volta?
Mamma mia, pazzesco. Una serata sold out, davvero incredibile, e non c’era nemmeno un ospite, era tutta gente venuta lì per ascoltare me e il mio trio!!! Poi in realtà ho vissuto una grande leggerezza, devo dire: avendo cominciato la mia carriera suonando sul palco non ho sentito forte la pressione di quel particolare palco… ho iniziato quindicenne suonando al  Bravo Café di Bologna, dove ora non abito più, ma è la città in cui sono nato; ci torno spesso e trovo sia ancora un meraviglioso ambiente in cui trovare situazioni interessanti di musica. E comunque, tornando al discorso, il palco è davvero una situazione che mi piace e in cui mi sento a casa. Su un palco come il Blue Note poi…Questa seconda volta, martedì 23 settembre, sarà ancora più emozionante con un artista meraviglioso al mio fianco che sarà veramente una grande sorpresa per tutto il pubblico presente.

E poi c’è stato il Top Jazz!
Riconfermato quest’anno, sono così felice…

Anch’io! Scusa, ma ho proprio voglia di farti una domanda, anche se potresti giudicarla  incompleta, ingenua o sciocca: quando mi arrivano certi programmi di festival particolarmente  votati a far conoscere le nuovissime generazioni di musicisti, la Vecchia Cronista di Jazz si sente ancor più decrepita, perché non conosce un-solo-nome-uno… Poi va a documentarsi, certo, ma l’impatto sul momento è estremamente depressivo, credimi. D’altra parte noto che, nonostante la tua giovane età, non sei nel novero di questa sorta di new jazz. Ti sei mai chiesto come mai?
Mah, probabilmente perché io sono molto più sperimentale discograficamente che dal vivo, sul palco io mi concentro quasi esclusivamente sul pianoforte; quando sono con il trio propongo delle esecuzioni molto acustiche dove la parte pianistica prevale. Ciò che produco nei miei album,  ossia sequenze strumentali che ho realizzato in studio, me le preparo in live e le faccio partire e ci suono insieme. Ogni tanto quelle le uso, mi porto un synth che uso in un paio di brani. Uso poca elettronica, rispetto all’uso abbastanza massiccio di cui mi servo nelle mie produzioni. Forse è per quello. La mia dimensione live è più da jazz club, nonostante il mio modo di suonare non sia ‘tradizionale’ in senso pieno. A me dal vivo piace essere il più confortevole possibile, e la mia zona di comfort è il pianoforte, lo strumento con cui sono cresciuto, a cui mi affianco sin da bambino, attraverso il quale posso esprimermi nella maniera più aperta possibile.

Dal vivo, più McCoy che Cecil Taylor, mi par di capire.
Esatto! Mettici anche Herbie Hancock, o Robert Glasper che nelle loro produzioni usano tante programmazioni elettroniche, programmatori midi e invece dal vivo prediligono l’acustico e l’analogico. Mi sento più vicino a questo stilema, il digitale lo uso molto quando sperimento la mia musica.

Viste tutte queste collaborazioni, ti piacerebbe fare molti concerti con questi artisti oppure li percepisci un po’ come un viatico per sperimentare?
Mi piacerebbe molto seguire questi artisti nei loro percorsi specifici. La collaborazione anche dal vivo è certamente una strada che desidero percorrere, che mi piacerebbe approfondire e in fondo si tratta di un bel sogno da perseguire. In questo senso ho in serbo una serie di sorprese, davvero.

Farai come le dive del pop, che fanno un album con diecimila featuring?
Mah, non è escluso! (ridiamo). Ogni brano con un ospite assolutamente no, perché in questo modo si perderebbe la personalità, diventerebbe un ‘pastone’ dove si faticherebbe a individuare chi sia il fulcro del lavoro. L’incontro è arricchente quando è spontaneo e non discusso a tavolino. Però mi piacerebbe, sull’album nuovo su cui sto lavorando, avere due o tre ospiti. Willie c’è già. A me piace, mi piaccio quando scrivo per gli ospiti, mi piace quello che riesco a tirare fuori quando penso alla scrittura per altri.

Chi suona nel brano Entropia?
Riccardo Riva al contrabbasso e Gianluca Pellerito alla batteria.

Ci sono molte sonorità in quel lavoro! Mille ricami, un tappeto magnifico… Ascoltato a basso volume è bellissimo, in cuffia è un florilegio di invenzioni.
La parte di Willie si svuota, ma ci sono dei pad che ho messo…è un brano che ha al proprio interno tutte quelle sonorità che mi piacerebbe approfondire, ed è un brano che ha molto chiara la direzione che voglio intraprendere. Possiamo in ogni caso sentirci quando esce il nuovo album!
Lorenza Maria Cattadori

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