Ferdinando, parlaci un po’ di «Invisible Painters»: quale visione lo ispira?
«”Invisible Painters” è frutto di un lavoro di ricerca in cui ho esplorato nuovi concetti, sia dal punto di vista compositivo che sonoro: in questo disco, oltre agli strumenti acustici, ho usato sintetizzatori, campioni e registrazioni ambientali, ampliando la palette sonora a disposizione. I synth e alcuni software in certi momenti sono stati anche il punto di partenza per la scrittura: elaborando sequenze o improvvisando partendo dal suono si sono generate idee che poi sono state il cardine di alcune sezioni dei brani»
E da un punto di vista compositivo?
«Per questo altro aspetto ho fatto ampio uso del contrappunto, lavorando su più linee che si sovrappongono, sia melodicamente (facendo convivere più tonalità o più serie di note) che ritmicamente (polimetricamente e poliritmicamente). Su “Invisible Painters” la dicotomia scrittura/improvvisazione è molto pronunciata. Ho lavorato molto sulla scrittura e sullo sviluppo di tutte le parti e sulla forma, ma allo stesso tempo questi elementi li ho usati anche per creare il materiale di riferimento per le improvvisazioni. Elementi che creano degli spunti, che permettono di esulare da patterns e cliché, uscendo anche dall’armonia funzionale».
Quale idea sostiene il disco?
«Da un punto di vista ideale l’immagine dei «Pittori invisibili» rappresenta il gesto della creazione artistica, l’impulso inconscio e istintivo che genera, la mano e il pennello invisibili con cui l’artista crea estemporaneamente. È proprio in questo equilibrio tra consapevolezza e istinto, composizione ed estemporaneità a cui facevo riferimento prima che nasce la musica di questo nuovo gruppo. Mi ha ispirato molto la lettura di un libro di Stephen Nachmanovitch che si intitola Free Play: Improvisation In Life And Art, molto stimolante e suggestivo».
E il gruppo?
«Quando scrivevo la musica di questo disco, a un certo punto ho avuto molto chiaro in mente che Elias, Federico ed Evita fossero i musicisti perfetti per rappresentare le idee che stavo esplorando. Quando scelgo le persone con cui suonare le mie composizioni (questo vale anche per “Totem”, ovviamente) mi affido molto all’istinto, a quella sensazione di sintonia musicale e umana che scatta in modo particolare con alcune persone; questa sensazione con loro c’è stata da subito. Oltre ad essere musicisti fantastici sono persone molto profonde e stimolanti. Infine, Christine Ott, anche se ha contribuito solo su un brano, è stata veramente preziosa, sovraincidendo con le Ondes Martenot alcune linee e aggiungendo bellissime linee improvvisate».
Per ora abbiamo un solo brano in anteprima, e poi?
«Uscirà subito il cd. Per la realizzazione del disco è stato fondamentale il supporto di Jam/UnJam che ha creduto nel progetto. È una nuovissima label che nasce dalla passione di Bernardo Mattioni, professionista nel mondo della discografia e del management da tanti anni. La label è stata fondata ad Arezzo e ha voluto esordire proprio con un artista come me, cresciuto in questa città. La volontà di Jam/UnJam è quella di creare un nuovo spazio discografico per un certo tipo di musica, jazz, sperimentale e non solo, nel panorama musicale e nel mercato italiano».
Sandro Cerini