«Finally». Intervista a Domenico Santaniello

Esce per la Caligola Records l’esordio discografico da leader del contrabbassista, compositore e docente di Lauro, in provincia di Avellino, ma residente in terra veneta da tempo.

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Buongiorno Domenico e benvenuto a Musica Jazz. Partiamo subito dal tuo ultimo lavoro discografico «Finally» e, come è mia consuetudine, inizierei dal titolo. Perché hai scelto proprio Finally? Che significato assume per te?
Buongiorno Alceste. Il titolo «Finally» ha un doppio significato: è il titolo del primo brano che ho scritto, e nell’incisione discografica compare come ultima traccia; ho voluto così sottolineare, un po’ ironicamente, come – dopo aver registrato oltre trenta Cd come freelance e sideman – abbia «finalmente» deciso di registrare il mio primo disco da leader.

Qual è stata la genesi di questo lavoro? Come sono nati i brani che hai firmato personalmente?
«Finally» raccoglie composizioni scritte nel corso degli anni e che meglio mi rappresentano. Il brano che apre il disco, A Song for Vanni, è il più recente: l’ho scritto durante la pandemia. Vanni è uno di quelli che non ce l’ha fatta, è mancato da solo in ospedale, senza nemmeno la possibilità di un ultimo saluto ai suoi cari. Three è un omaggio a Thelonious Monk, in questi giorni sto preparando un arrangiamento per big band di quel brano, poiché quando l’ho scritto l’ho immaginato proprio per questo organico. Manuè, ha una struttura in 7/4 ed è formato da tre diverse idee melodiche che tornano continuamente nel corso dell’esecuzione. Ho composto JFP III in ricordo di Jaco Pastorius, poco dopo la sua prematura scomparsa. Il brano che chiude l’album e gli dà il titolo, Finally, è un valzer jazz intimista e, come dicevo, è il primo brano che ho scritto. Ho lasciato i primi pezzi che ho composto così com’erano, evitando la tentazione di rivederli, senza aggiornare le progressioni accordali di ogni brano al lessico dell’armonia odierna: ho voluto così in un certo senso rispettare l’ispirazione e il vocabolario originali di quelle composizioni.

Dicevamo, otto pezzi, di cui cinque a tua firma, un traditional, uno di Sam Jones e uno firmato da Marcello Tonolo, che è uno dei tuoi sodali in questo disco. Non intendo chiederti del brano di Tonolo, ma vorrei sapere di più sulla scelta degli altri due brani.
Suonavo Danny Boy con Stefano Battaglia, ho sempre amato questa melodia ed ho provato a farne una versione per contrabbasso solo. Seven Minds è, invece, un tributo ad un maestro del mio strumento, Sam Jones, che l’ha composto e registrato in trio nel 1974. L’ho dovuto studiare per un concorso, e inizialmente, proprio non mi piaceva, poi me ne sono innamorato, tant’è che ho deciso di registrarlo.

Quando il leader è un bassista, il campo è sempre molto libero per tutti gli altri musicisti che lo accompagnano, almeno solitamente. È stato così anche in questo caso?
È andata proprio così, ognuno dei musicisti che hanno suonato nel disco ha dato un contributo davvero importante alla riuscita del progetto. Ho accolto le loro proposte e sono molto felice di averlo fatto, perché molti di quei suggerimenti hanno arricchito la sostanza musicale dell’album.

A tal proposito, vorresti parlarci dei tuoi sodali e del motivo per cui hai inteso cooptare proprio loro in questa tua avventura musicale?
Io e Marcello Tonolo abitiamo nello stesso paese (Mirano, in provincia di Venezia, N.d.R.), e ci si trova per provare con cadenza più o meno settimanale ormai da più di dieci anni. Devo dire che io ho imparato quel poco che so proprio da questi incontri, che sono stati fondamentali per la mia formazione come musicista. Inoltre durante la pandemia il batterista Adam Pache si è stabilito a Venezia, e abbiamo cominciato a trovarci per suonare a casa mia dove ho una sala prove (il mio salotto). Con il sassofonista Alfonso Deidda da anni pensavamo di collaborare ad un progetto comune, quell’intenzione si è finalmente realizzata con la registrazione di «Finally».
Oltre alla loro indiscutibile abilità strumentale, c’è un comune denominatore che accomuna tutti i musicisti che hanno collaborato al disco: la loro grande umiltà, qualità che sempre ho ritenuto fondamentale per suonare insieme, attuando uno scambio continuo delle idee musicali e sulla capacità di ognuno di suonare per gli altri, in funzione delle loro idee. Inoltre, per me è importante stabilire un buon rapporto umano anche al di fuori del palco e dello studio con i musicisti con cui suono, e in questo caso ho percepito nei miei compagni di avventura musicale un grande affiatamento e una grande diponibilità umana.

Domenico, parliamo un po’ di te. Come è avvenuto il tuo primo contatto con la musica e quando hai capito che questa sarebbe diventata la tua professione?
Questa te la devo proprio raccontare. Io sono nato a Lauro, un paesino in Campania sotto a una montagna dove ci devi proprio andare, non ci passi per caso. A quei tempi, io avevo tredici o quattordici anni e strimpellavo la chitarra. Ma, perlopiù, trascorrevo tutto il mio tempo libero giocando a calcio e, quando pioveva, al bigliardo al bar da Teodoro. Fu proprio in uno di questi pomeriggi piovosi che dei miei conoscenti, poi diventati i miei migliori amici, vennero a cercarmi al bar: me lo ricordo come se fosse oggi. Mi chiesero senza molti preamboli: «Vorresti suonare nel nostro complesso? Però il chitarrista già c’è, tu dovresti suonare il basso elettrico.». Io risposi subito che accettavo con entusiasmo; risposi d’istinto, senza nemmeno pensarci sopra. Contattai l’unico bassista elettrico che conoscevo nel paese, Sabatino Moschiano, che mi portò a lezione da un grandissimo musicista, Franco Cantelmo. Della musica jazz mi affascinava tutto, ma ricordo in particolare la libertà che provai la prima volta che mi lasciai andare in un walking bass improvvisato su un blues: ero agli inizi e fino ad allora non avevo mai improvvisato nulla. Eravamo a casa di Dino, il batterista del gruppo, e quella volta smisi di leggere e iniziai ad improvvisare in modo organizzato: fu una sensazione bellissima che mi segnò e mi diede un’ulteriore motivazione per dedicarmi interamente alla musica che mi aveva così durevolmente affascinato.

Domenico Santaniello

Quali artisti, album o performance jazz hanno catturato la tua immaginazione all’inizio?
Ho ascoltato molto le registrazioni live del Bill Evans Trio al Village Vanguard con Scott LaFaro e Paul Motian. Quei magnifici musicisti e la loro arte, insieme a tutta la musica di Charlie Haden, hanno sicuramente inciso nella mia formazione.

Come descriveresti il tuo rapporto con il contrabbasso? Utilizzi ancora il basso elettrico?
Lo studio della musica e dello strumento rappresenta per me una crescita personale che sicuramente mi ha reso una persona migliore. Il contrabbasso è solo un mezzo con il quale mi esprimo musicalmente, ma la ricerca, lo studio dell’armonia, il controllo dell’ansia e quindi del tempo e del ritmo nell’esecuzione, la conoscenza di se stessi in rapporto alla musica, incidono in modo decisivo sull’energia, la coerenza e la chiarezza improvvisativa, sul suono e sulle altre modalità di suonare il contrabbasso.
Il basso elettrico, che in passato ho studiato in modo approfondito, non lo utilizzo mai nell’ambito della musica jazz, poiché credo che lo strumento ideale per tale musica sia il contrabbasso.

Puoi parlarci di un’opera, un evento o un’esibizione nella tua carriera a cui sei particolarmente legato, perché la senti speciale?
Da Lauro, ogni settimana, dopo le prove con i miei amici, si andava ad ascoltare jazz alla Antica Birreria Kronenbourg a Napoli, dove, insieme ad Antonio Golino e Franco Coppola, c’era quasi sempre Pietro Condorelli alla chitarra, il quale, anni dopo, mi ha voluto nel suo quintetto. È stata davvero una bella soddisfazione!

Tu svolgi anche attività didattica. Qual è il livello di preparazione culturale-musicale degli studenti oggigiorno?
Insegnando Musica d’Insieme Jazz ho modo di conoscere tutti gli studenti di Jazz del conservatorio di Lecce dove lavoro. Il livello è alto, al biennio ho allievi che sono dei professionisti. Poiché gli studenti di contrabbasso sono sempre pochi, spesso sono io a suonare il contrabbasso nei gruppi che formo e mi diverto davvero molto, anche perché i giovani hanno una grande motivazione e una solida preparazione. Ritengo che, una volta diplomati, questi allievi dovrebbero avere le stesse opportunità di impiego dei loro colleghi che studiano musica classica. Si dovrebbe – a livello regionale – formare delle big band stabili alle quali possano partecipare coloro i quali si siano diplomati nei corsi jazz dei conservatori; ciò attraverso dei concorsi pubblici. Andrebbe creato un nuovo circuito lavorativo che possa permettere di mantenersi anche ai giovani musicisti jazz. Credo che l’assenza di qualsiasi intervento statale in questo ambito costituisca una vera ingiustizia per un’intera generazione di musicisti volonterosi e preparati.

Domenico Santaniello

Per te, ci sono delle regole nell’improvvisazione? Se sì, che tipo di regole sono?
Un buon assolo non è solo il frutto dell’abilità del solista, ma tutti i musicisti con cui egli suona concorrono, in modi diversi, alla riuscita delle singole realizzazioni improvvisative. In conservatorio, durante le mie lezioni, insisto molto su questo aspetto. Bisogna suonare sempre solo quello che serve alla musica in quel momento, non cadere mai in invidualismi. Esistono musicisti: non batteristi, contrabbassisti, etc…Ognuno deve dire quello che riesce a dire nel rispetto del ruolo che ha in quel momento all’interno del gruppo. Ma per fare questo, oltre alle conoscenze musicali e all’abilità strumentale, è necessario avere aver un buon equilibrio personale e dimostrare sempre rispetto e attenzione per gli altri musicisti con i quali si sta suonando.

Qual è il tuo rapporto con le tecnologie?
Sono molto tecnologico nella vita, ma non amo utilizzare la tecnologia nella musica. Sono all’antica, un buon suono di contrabbasso, un buon accordo di pianoforte, accompagnati da un batterista che abbia gusto e musicalità, è tutto quello di cui ho bisogno.

Cosa è scritto nell’agenda di Domenico Santaniello?
In questo periodo sto promuovendo «Finally». A settembre uscirà, sempre per l’etichetta Caligola, la registrazione di un altro lavoro cui tengo molto «Sillabari Mood», nel quale suono anche il violoncello. Ho iniziato ad arrangiare musica per big band e devo dire che mi appassiona molto; il prossimo disco potrei registrarlo proprio con questo organico …vedremo!
Alceste Ayroldi

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