Intervista a Chilly Gonzales

di Paolo Romano

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L’artista canadese sarà a Milano, al teatro lirico Giorgio Gaber, martedì 6 dicembre

Si può partire dall’immagine ostentatamente stereotipa del pianista stravagante che suona in vestaglia e ciabatte, si può attraversare la sua biografia finendo dentro il Guiness dei primati dove s’è imposto per il concerto per piano solo più lungo della storia (27 ore e trenta minuti), lo si può ricordare per le sue incursioni nella musica elettronica dei Daft Punk oppure per i suoi concerti cameristici, qualcuno lo descrive come abile rapper qualcun altro come epigono della musica romantica e tardoromantica, sulla rotta Schubert-Ravel-Debussy.
Si può partire da diverse latitudini, insomma, per descrivere la vulcanica attività musicale di Chilly Gonzales (Jason Beck, al secolo), impossibile da imbrigliare in etichette, ma allo stesso tempo convinto della funzione di esse, per orientare il pubblico. Musicista fino all’ultima cellula, il canadese che ha scelto di vivere in Europa sarà a Milano, al Teatro Lirico Giorgio Gaber, il 6 dicembre, con la promessa di far passare un martedì infrasettimanale decisamente diverso alla sua platea. Abituato a cambiare continuamente le formazioni dei suoi live, stavolta si presenterà con un trio d’archi d’eccezione: Taylor Savvy al contrabbasso, Stella Le Page al violoncello e Yannick Hiwatt, astro luminoso del jazz di marca olandese classe ’88, col suo violino a sette corde.

Musica Jazz lo ha incontrato per fare il punto sulla sua biografia artistica e non solo (l’intervista completa sarà disponibile sul numero di gennaio 2023), pochi giorni prima di salire sul palco. Alla domanda su come abbia scelto i musicisti per questa performance non ha dubbi: “Sai, la mia creatività cresce quando mi trovo con nuovi musicisti, ma la ricerca non è mai diretta ad un dio del proprio strumento: io cerco prima le persone e se mi trovo bene, se sono gli interlocutori giusti, diventa più semplice costruire insieme la musica. Ti faccio un esempio:”, prosegue Gonzales, “Taylor Savvy l’ho incontrato durante i miei studi di jazz, ci siamo frequentati per i tre o quattro anni che eravamo alla McGill University di Montreal. Lui era più grande di me e aveva uno spiccato interesse per i compositori con forte personalità, tipo Sun Ra o Charles Mingus, che ho conosciuto meglio anche grazie a lui. Ci siamo continuati a sentire e poi, quando s’è trattato di suonare insieme, è stato come ritrovare un fratello. Taylor è un musicista che mi costringe continuamente a sfide alla pari, per così dire, mi porta in territori per me inusuali e non comodi al cento per cento, ma questa è la sfida interessante: trovare qualcuno che mi accenda il fuoco sotto il sedere!”.

A Milano si avrà l’occasione di ascoltare alcuni brani ancora non registrati insieme alle sue hit più note, a partire dalla sorprendente rilettura delle canzoni di Natale, finite nel 2020 in un album, “A Very Chilly Christmas”, decisamente fuori corso rispetto alle aduse strenne consolatorie pubblicate con rituale pedanteria. “Per me il Natale”, dice Gonzo, “è un periodo di emozioni fortemente contrastanti e trovo che spesso sembri un sorriso forzato. Suonare le canzoni in una tonalità minore rende questa ricorrenza più autentica e realistica”, con l’effetto di far smarrire l’ascoltatore entrato dalla porta degli Wham e catapultato in un’atmosfera molto più propria del Winterreise di Schubert. Quel che è certo è che la dimensione performativa, col suo mix intricato di intrattenimento e arte, sarà assicurata anche per l’unica data italiana di quest’anno oramai agli sgoccioli.
Paolo Romano