«Kind of…». Intervista ad Antonio Faraò

Nuovo disco, questa volta in piano solo, per il noto compositore e pianista.

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Benvenuto Antonio. «Kind of…», come proseguiamo questo inizio di frase?
«Kind of…» è semplicemente legato al fatto che ho ascoltato un brano del disco «Kind of Blue» di Miles Davis, che mi ha ispirato soprattutto per la composizione omonima che dà il titolo all’album. Può voler dire tante cose.

Quando hai concepito l’idea di registrare un album solo piano, e perché hai sentito che questo fosse il momento giusto?
E’ da diverso tempo che ho questo progetto nel cassetto. Poi, per diverse ragioni, ho avuto delle opportunità in passato, che però non sono andate in porto. Insomma, «Kind of…» è rimasto nel cassetto per quarantacinque anni. Finalmente, grazie anche a Frederic Rouvier, socio della Notes Around Ag, che è anche un’etichetta discografica indipendente, ho potuto realizzare questo mio primo disco in piano solo.

Otto brani a tua firma e quattro standard. Le tue composizioni sono state da te create appositamente per questo lavoro?
No, ho ripreso alcuni brani da dischi precedenti, come per esempio il brano Gospello presente nell’album «Encore». Pina, invece, è dedicato a mia sorella che è venuta a mancare tre anni fa. Insomma, alcune composizioni sono state scritte appositamente per questo album, altre, invece, erano già registrate in dischi precedenti, brani che suono regolarmente quando mi esibisco in piano solo.

Invece, con quale criterio hai scelto i quattro standard e come hai agito in sede di arrangiamento?
Gli standard sono stati scelti in base al fatto che li suono spesso, specialmente un brano come ‘Round Midnight che è una prova del nove per ogni pianista. Ho arrangiato soprattutto armonicamente gli standard, non dal punto di vista del tema. Ho cercato di far dialogare le due mani, perché quando sei in da solo con il tuo pianoforte devi crearti una sorta di orchestra tutta tua. Quindi, questa è la via che ho seguito. In questa situazione non devi far sentire la mancanza di basso e batteria, per cui devi creare un modo di suonare personale.

Hai pensato a modelli di riferimento tra i pianisti solisti che ti hanno ispirato per questo progetto?
Sì, ci sono diversi modelli come Herbie Hancock, McCoy Tyner, Oscar Peterson, Bud Powell. Ma non solo pianisti, mi ispirano anche altri jazzisti incredibili come Wayne Shorter, John Coltrane, Miles Davis e tanti altri ancora. Cerco di trovare un mio modo di suonare considerando le diverse influenze. L’importante è non copiare mai i propri modelli di riferimento, ma assimilare appunto il loro modo di suonare per poi ricercare la propria personalità.

Nella transizione dal contesto collaborativo (trio, quartetto) al solo piano, quali sono le maggiori sfide che hai incontrato (ritmo interno, assenza di battito esterno, autonomia armonica)?
Il piano solo è veramente una grande sfida sotto tanti punti di vista: dalle linee di basso alle decime, fino ad arrivare al discorso ritmico. Cerco sempre di seguire la mia idea di suonare in e out sia ritmicamente che armonicamente. In questo senso i maestri sono Miles Davis, Herbie Hancock, Wayne Shorter, John Coltrane. Non mi piace suonare necessariamente all’interno della battuta, quindi il fatto di spostarmi armonicamente e ritmicamente mi dà più libertà di esprimermi quando suono. Questo stesso concetto lo ritengo fondamentale anche quando suono con il mio trio.

Ci sono momenti o passaggi nel disco in cui ti sei dovuto «abbandonare» all’intuizione più che a un progetto prestabilito?
Quando compongo definisco la struttura e la melodia di un brano, ma mentre suono cerco sempre di creare una certa libertà, non stabilisco nulla prima. Mi avventuro, suono in modo spontaneo. Questo aspetto per me è fondamentale, altrimenti diventa tutto pensato a tavolino. E la mancanza di spontaneità si percepisce, si sente. A mio avviso non funziona artisticamente. Preferisco sempre rischiare quando affronto un brano.

Guardando la tua carriera — dalle prime esperienze, da cosa studi, le collaborazioni, come senti che sei arrivato in questo punto? Cosa del tuo passato musicale ha accresciuto le tue capacità da pianista solista?
Io continuo a studiare tutti i giorni, perché per me fare il musicista è una missione. Chiaramente un bagaglio di esperienza di quarantacinque anni mi ha formato anche nell’ambito del piano solo; in questi anni ho comunque sempre affrontato questo contesto. Il progetto discografico era rimasto nel cassetto, ma ad ogni modo l’ho portato avanti con dei concerti. Tornando all’importanza di studiare, sto male psicologicamente anche se non studio soltanto un giorno. Devo farlo anche per affrontare bene la vita quotidiana.

Antonio Faraò
Foto di Marco Glaviano

Cosa speri che l’ascoltatore porti con sé dopo l’ascolto del disco?
Spero che arrivi un messaggio dritto al cuore. Quando suono non mi risparmio, cerco sempre di creare situazioni attraverso cui mi emoziono per poi emozionare anche il pubblico. «Kind Of…», come tutti i miei progetti, parte dal cuore.

Hai già pensato a un formato concerto per questo repertorio solo piano? Ci saranno date in Italia o all’estero?
Il repertorio sarà più o meno quello del disco. Poi magari posso aggiungerci un altro standard, perché a me piace suonarli e ritengo sia importante integrarli anche in un repertorio originale. L’anno prossimo presenterò «Kind Of…» in un festival jazz a Basilea. Oltre a questo ci saranno altre date probabilmente più per il 2026.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Di recente a Parigi ho registrato un disco con Stéphane Belmondo alla tromba, Thomas Bramerie al contrabbasso e Benjamin Henocq alla batteria, in un quartetto a nome mio e di Belmondo. Il disco, probabilmente verso febbraio o marzo del 2026, uscirà sempre per Notes Around AG. Conosco e collaboro con Stéphane Belmondo da diversi anni, ma non avevamo mai realizzato un progetto discografico insieme. Proprio con questo quartetto abbiamo tenuto dei concerti che hanno riscosso un grande successo, per cui abbiamo poi deciso di registrare questo nuovo album. Ho in mente di registrare «Eklektik 2», anche questo in cantiere e probabilmente un disco con un’orchestra sinfonica, progetto che ho in testa da un po’ di anni. Questo perché sono molto ispirato da John Williams e altri grandi compositori anche classici, ovviamente. Ritornando ad «Eklektik », suonerò a Umbria Jazz dal 31 dicembre al 3 gennaio, cosa che mi rende particolarmente felice. Al momento questo è ciò che bolle in pentola, sperando in altre sorprese. Inoltre, in Francia, l’anno prossimo mi consegneranno un premio da parte del Ministero della Cultura.
Alceste Ayroldi

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