Intervista ad Abel Selaocoe

Il poliedrico violoncellista, cantante e compositore sudafricano si esibirà martedì 25 novembre (ore 20.30) per la Società del Quartetto presso la Sala Verdi del conservatorio di Milano. Di seguito un breve estratto dell’intervista che sarà pubblicata prossimamente sulla rivista Musica Jazz.

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Sei cresciuto a Sebokeng, in Sudafrica: in che modo il tuo ambiente iniziale ha plasmato il musicista che sei diventato?
Sebokeng ha plasmato la mia anima e la mia visione. Lì, la musica non è un lusso o un hobby; è una funzione sociale. È una parte integrante della vita quotidiana: si canta alle feste, ai funerali, per strada. La musica è un rito di connessione. Ho imparato che l’arte è per tutti e che il suono è un modo per entrare in contatto con la comunità e con gli antenati. Questo senso profondo che la musica deve essere utile e relazionale è il fondamento di tutto ciò che faccio.

Il tuo lavoro fonde perfettamente la tecnica classica con gli idiomi africani e l’improvvisazione. Come sei arrivato a questa fusione?
Non è stata una fusione intenzionale: è stata una necessità. Quando sono andato in Inghilterra per studiare, ho abbracciato la maestria e la disciplina della tradizione classica. Ma non potevo mettere a tacere la musica che risuonava in me da Sebokeng. Ho capito che non dovevo scegliere e, quindi, posso dire che la fusione è arrivata dal bisogno di essere completamente me stesso. Ho dovuto dare voce al mio violoncello con i ritmi e le armonie che risuonavano con la mia storia, usando la tecnica classica come linguaggio per esprimere la mia vera identità culturale.

Cosa deve aspettarsi il pubblico che ti vedrà in scena a Milano per la Società del Quartetto?
Un programma che unisce capolavori classici, canti tradizionali e mie composizioni, e dà al pubblico il permesso di ascoltare senza applicare etichette di genere, semplicemente lasciandosi trasportare da un unico, grande, flusso sonoro.

Abel Selaocoe

Qual è il tuo rapporto con l’improvvisazione?
L’improvvisazione è la libertà e l’onestà del momento. È il luogo dove la musica accade davvero, dove non c’è più distinzione tra compositore, esecutore e pubblico. È un modo per onorare la tradizione orale della musica africana, dove ogni esecuzione è unica. Per me improvvisare è come parlare fluentemente un linguaggio. Più sono onesto con me stesso e con l’attimo, più l’improvvisazione sarà potente e connessa.

Le tue performance sono molto fisiche ed emotivamente coinvolgenti. Che sensazione si prova a esibirsi dal tuo punto di vista?
È un’esperienza totalizzante, a volte quasi trascendente. Non è solo un concerto, è un rituale. Sento il suono passare attraverso di me, il mio corpo diventa un canale per la musica. Sono consapevole del sudore, del respiro, del battito del cuore, e uso tutto questo. È un momento di completa onestà in cui mi concedo completamente al pubblico. È estenuante, ma incredibilmente rigenerante perché mi sento connesso a qualcosa di molto più grande di me.
Alceste Ayroldi

 

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