Buongiorno Paolo, parliamo subito di «Lema» e, dicci subito del titolo: quale significato ha?
Lema in Spagnolo è l’equivalente di Motto, o Slogan. È un termine usato anche per indicare la sintesi del contenuto di un testo più ampio, quella che, ad esempio, si riporta come retro di copertina di un libro; oppure per indicare l’estratto di una poesia che coglie il climax di un testo. In sardo Lema è un elemento che racchiude. Un esempio che potrei farti sono le assi di metallo laterali di un torchio. Nel mio caso Lema diventa la sintesi, espressa per frasi musicali, progressioni armoniche, riff e pattern, del mio linguaggio, che definisce un campo di azione delimitato da due elementi ed è l’autoritratto di me oggi, calato nel presente.
A chi o cosa è dedicato questo disco?
È una vera e propria autobiografia, racconta una pagina intima, che ho voluto condividere in un album in cui pulsa con forza il concetto universale della transizione esistente tra perdita, partenza e rinascita. In pochi mesi ho dovuto salutare diverse figure chiave della mia sfera affettiva e professionale, tra cui il mio grafico di fiducia Ale Sordi (autore di gran parte dei progetti dei miei dischi dal 2000) e Raffaele Musio (tecnico del suono di riferimento da «Sale Quanto Basta» a «22.22 Free Radiohead»). Poi è arrivata la dipartita di mia madre. Questo album è una dedica diretta a lei. Non vuole essere un progetto luttuoso, al contrario esprime, con determinazione, la rinascita necessaria e la convivenza con la trasformazione spirituale e materica. «Lema» racconta la mutazione necessaria che si vive in quello spazio inesplorato, in cui si compie il passaggio tra la dimensione dei vivi e la transizione verso il mondo dei defunti. Questa dualità è rappresentata con una doppia copertina: da un lato abbiamo un totem di granito intarsiato dal maestrale e dalla salsedine, profilo di una gallinella, con la sua staticità e la sua dirompente sinuosità (foto di Nanni Angeli), una roccia modellata dal tempo che sembra riprodurre la configurazione delle pleiadi; dall’altra il magma che richiama al raffreddamento della lava, la trasformazione che porta alla definizione di un paesaggio inesplorato e alla mutazione degli elementi, un quadro che nell’edizione limitata in serigrafia, riporta al mondo sommerso (foto di Emanuela Porceddu). L’album si snoda nel viaggio tra queste due fasi, espresse perfettamente dall’apporto fotografico. La cultura minoica di Creta, considerava il mare quale luogo di transito e, nello specifico, quando il sole si rifletteva sulla superficie del mare, si pensava che fosse la strada da percorrere per raggiungere l’aldilà. «Lema» è preparazione e cura; è una forma musicale per salutare con il sorriso le persone care; è un viaggio verso una nuova alba che esprime la rinascita; è un ponte per mantenere il contatto senza la rimozione e portare dentro un disco questa densa e poetica terra di transizione.
Hai utilizzato una nuova chitarra. Ce ne vorresti parlare e, soprattutto, quanto ha influenzato il tuo modo di creare questo disco?
Avere uno strumento nuovo tra le mani porta sempre a degli stimoli nuovi e a immaginare nuove rotte da esplorare. A distanza di ventidue anni dal modello ideato su richiesta di Pat Metheny, ho trovato dei nuovi collaboratori straordinari, che hanno saputo cogliere le mie pulsioni per evolvere lo strumento. La chitarra è stata costruita a Cremona nella Liuteria Micheluttis. Carlos è stata la persona perfetta per definire uno strumento a cavallo tra chitarra e violoncello. Abbiamo studiato nei dettagli le mie esigenze e siamo passati da 18 a 25 corde. Inoltre abbiamo realizzato diversi prototipi per simulare il suono del sitar, della kora ed introdotto altre variazioni. Oran Guitar (Andrea Orrù) ha portato alla ridefinizione del sistema dei martelletti e ad un upgrade di altre parti strutturali dello strumento, compresi ulteriori prototipi. Mi rende particolarmente felice che la chitarra sarda preparata, per la prima volta nei suoi 30 anni di storia, venga modificata e ripensata in Sardegna.
Non ti chiedo a chi ti ispiri come chitarrista, né come compositore. Invece, a chi fai riferimento come cantante?
Mi sono sempre sentito un cantadore (un cantore) e non un cantante. Ma ammetto che in questo disco utilizzo la voce come un elemento dinamico, per completare la struttura compositiva disegnata con lo strumento. In un certo senso è meno «sarda» dei precedenti lavori discografici. Detto questo mi ispiro a Mario Scanu, Björk, Enrique Morente, le voci femminili del flamenco (tanto le antiche, quanto le giovani che stanno ridisegnando i confini di quest’arte popolare).

foto di Nanni Angeli
Immagino che sarai impegnato in tour per presentare questo nuovo lavoro. Hai già delle date che vorresti condividere con noi?
Ci saranno diverse concerti estivi (in cui ancora ci sarà anche spazio per il trittico Nijarade) ma il corpus del tour italiano sarà a fine gennaio e toccherà le principali città tra Nord e Sud Italia.
Alceste Ayroldi