Myra Melford, grazie per averci concesso questa intervista anche se hai poco tempo: tra poco ti esibirai sul palco del Teatro Donizetti con il tuo Lux Quartet. Vorrei partire proprio da qui. Ci racconti un po’ la storia della band e la sua evoluzione?
Certamente! Questa band è stata pensata da me e Allison Miller, ne condividiamo la leadership e scriviamo musica appositamente per la nostra formazione. Ho suonato nella band Boom Tic Boom di Allison per anni. Una volta eravamo in tour e abbiamo incontrato John Scofield, Scott Colley, Jack DeJohnette e John Medeski. Stavamo viaggiando assieme, così ho iniziato a parlare con Scott e gli ho chiesto se fosse stato interessato a far parte di una nuova band. Quindi inizialmente abbiamo cominciato come trio, mentre successivamente si è unito a noi Dayna Stephens. La prima volta che abbiamo suonato assieme come quartetto è stata al Dizzy’s nell’inverno del 2022. Appena dopo quella data siamo andati in studio e abbiamo registrato il nostro «Tomorrowland». Da quella volta abbiamo fatto diversi tour ma viviamo tutti in posti diversi, perciò non è così facile essere sempre on the road, ma siamo stati in Italia anche l’anno scorso, più o meno in questo periodo.
Preferisci suonare in solo o in gruppo? E come cambia il tuo approccio alla musica in queste due differenti situazioni.
Mi piacciono entrambi, è divertente suonare con altre persone, è più «socievole», ovviamente: ci sono persone che interagiscono, c’è un grande scambio di stimoli ma mi piace suonare anche da sola. Non ho preferenze a riguardo.
Ho letto che sei cresciuta con una formazione da musicista classica ma hai dichiarato di ritenere quell’esperienza «non giusta». Puoi dirci di più?
È vero, in altri termini sapevo che non sarei voluta diventare una pianista di musica classica. Mi piaceva quella musica, l’ho anche apprezzata, ma sentivo che quella non fosse la mia strada, non era quello che volevo fare. Ero molto più interessata all’improvvisazione e al jazz.
Per questo il tuo primo album da leader è uscito «solo» nel 1990?
Esatto! Mi sono avvicinata al jazz solo durante gli anni del college, perciò ho avuto bisogno di più tempo per capire quello che volevo fare veramente.
È vero che hai iniziato a suonare a Chicago?
Sono cresciuta nella periferia di Chicago ma non ho mai suonato jazz in quell’epoca, ho iniziato proprio dopo aver lasciato la città per frequentare il college.
Chi erano i tuoi mentori all’epoca?
Quando ho iniziato a studiare i miei mentori gravitavano attorno a Seattle, ed in particolare erano Gary Peacock e Art Lande. In seguito mi sono trasferita sulla East Coast, dove sono andata a lezione da Jaki Byard e Don Pullen: loro sono stati i miei maestri più importanti per quanto riguarda l’approccio al pianoforte. Dopo che mi sono trasferita a New York andavo a sentire un sacco di musica e una volta mi sono imbattuta in Butch Morris, che stava dirigendo la Big Band di David Murray allo Sweet Basil. Anche lui è stato molto importante nella mia formazione. Ancora prima però, ai tempi in cui frequentavo ancora il college nello stato di Washington, avevo assistito ad un concerto di Leroy Jenkins con Amina Claudine Myers e Pheeroan akLaff. Avevo appena iniziato a prendere lezioni di bop. Quando li ho ascoltati, non ho capito per nulla la musica che stavano suonando ma ho avuto lo stesso la sensazione che quella fosse la mia strada. Così dovevo solo capire come suonare il pianoforte e che indirizzo stilistico dare alla mia musica. Non ho passato molto tempo a studiare il jazz tradizionale, e ben presto i miei interessi si sono focalizzati sull’avanguardia degli anni Sessanta. I musicisti dell’AACM sono stati fra i miei migliori mentori anche a New York. Mi riferisco a Leroy Jenkins, Joseph Jarman e Henry Threadgill.
Quindi non vi siete incrociati a Chicago ma a New York.
Sì! Credo che esista una sensibilità del midwest statunitense che è totalmente correlata con la musica di cui mi occupo, anche se li ho conosciuti di persona solo in seguito.
E Andrew Hill?
Non ho mai studiato con lui ma è stato un’importante fonte di ispirazione. Adoro la sua musica! Anche stasera suoneremo un pezzo dedicato a lui: si intitola Drift.
Qualcuno afferma che tu stia portando avanti l’eredità musicale di Cecil Taylor? Ti rivedi in questa descrizione? È stato un modello anche lui?
Cecil per me è stato sicuramente un modello molto importante. Quando ho iniziato ad interessarmi all’avanguardia di fine Cinquanta-primi Sessanta, fu lui il primo pianista che ascoltai davvero tanto. Ho avuto la possibilità di conoscerlo un po’ in New York ma non ci ho mai studiato assieme. In particolare adoro i suoi solo concerts, li ho sempre trovati molto stimolanti.
Ora volevo avere un tuo parere sulla situazione del jazz femminile. Com’era un tempo e come è oggi? È cambiato qualcosa?
All’inizio non ci pensavo proprio, mi dicevo: «Questo è ciò che voglio fare e lo farò!». Mi ci sono voluti molti anni per rendermi conto che nell’ambiente c’erano davvero molte meno donne di quanto avessi pensato. Penso che le cose stiano cambiando ora: nella nuova generazione di musicisti ci sono molte più «quote rosa» rispetto a quando ho iniziato io. Ma allo stesso tempo non è facile per noi, la maggioranza è ancora composta da uomini e ho la sensazione che qualche volta le donne non abbiano le stesse opportunità rispetto ai colleghi maschi. Molta gente in diverse parti del mondo si sta adoperando per correggere questa tendenza, perciò penso che in generale le cose stiano migliorando, ma il sessismo nel jazz esiste ancora, così come in molti altri ambiti.
A tal proposito parlaci del tuo Fire & Water Quintet, un quintetto formato esclusivamente da esecutrici femminili. Suonerete ancora assieme? State pensando ad un nuovo disco?
Per ora ne sono usciti due ma il terzo è in uscita quest’anno. Sto scrivendo nuova musica per questo ensemble e la presenteremo per la prima volta dal vivo a New York il 25 giugno. Per quanto riguarda il disco uscirà ancora una volta per la Rogue Art o a fine anno o a inizio 2026. Abbiamo già in programma un tour per ottobre 2026 e il nuovo disco sarà già disponibile.
Il repertorio che presentate è tutto opera tua o anche le altre musiciste contribuiscono con loro composizioni?
Sono tutte musiciste fantastiche ma il repertorio è composto interamente da mie composizioni: Tuttavia concedo molta libertà a ognuna di loro, tenendo in considerazione le loro caratteristiche.
Quando componi nuova musica hai già in mente più o meno quale sarà la percentuale di musica scritta e di musica improvvisata?
Ti direi che il 70% in genere è musica improvvisata. Per qualsiasi cosa che eseguiamo esiste una notazione scritta ma quando ascolti un brano, di solito la parte improvvisata supera ampiamente la parte scritta
Utilizzi una scrittura tradizionale o qualcosa che si avvicina di più alle partiture di Braxton?
In generale uso la notazione classica, ma a volte è ispirata da quadri, perciò condivido con gli altri musicisti le foto delle opere d’arte dalle quali traggo ispirazione. Alcuni tuttavia continuano a preferire avere indicazioni precise sulla musica da eseguire, quindi dipende veramente da chi sono gli altri musicisti.
C’è un musicista col quale avresti voluto suonare?
Un tempo questo pensiero mi assillava. Al giorno d’oggi, anche se avrei voluto lo stesso suonarci ad ogni costo, non vedo più la faccenda come qualcosa di fondamentale.
Quindi ce l’avevi! Ma immagino che non possa o non voglia svelarci il suo nome
Ma no, posso dirtelo: era Ornette Coleman!
Hai ancora sogni da realizzare con il tuo lavoro?
Assolutamente! Per esempio vorrei davvero imparare a suonare il pianoforte! Voglio continuare a esercitarmi, ho alcune idee in mente e mi sono ripromessa di esplorarle anche se non ne ho ancora avuto il tempo. Inoltre c’è ancora un sacco di musica che voglio scrivere per persone e contesti differenti, perciò spero di continuare il più possibile.
Ci sono altri progetti futuri che ti attendono?
Ho un album appena uscito per la Intakt con lo Splash Trio, una nuova formazione completata da Michael Formanek al basso e Ches Smith alla batteria, coi quali sarò in tour a maggio di quest’anno e credo a luglio del 2026. Al momento mi sto anche concentrando su un progetto in piano solo con l’ausilio di installazioni e musica pre-registrata. Ma anche registrazioni che ho raccolto durante i miei viaggi in giro per il mondo cercando le opere d’arte di Cy Twombly. Sarà un omaggio alla sua figura per piano solo e mixed media.
Come nel caso della vostra esibizione dello scorso anno presso la Fondazione Nicola Del Roscio a Roma.
Sì, quella volta ero con lo Splash Trio mentre d’ora in avanti porterò avanti questo progetto in solitudine. Sto lavorando con un regista, e saremo a Roma quest’estate presso l’archivio di Twombly.
Vorrei chiudere quest’intervista con una domanda non facile. Cos’è per te il bello? Lo ricerchi nella tua musica?
Trovo la bellezza in molte cose diverse, ma la trovo anche nelle dissonanze, nei rumori, nell’energia elevata e nell’energia pacifica. Il bello è in tante cose, ma mi piace quando è qualcosa di tagliente. Per me è bellissimo anche quando c’è un po’ di oscurità. Non dev’essere per forza tutto sweet.