Intervista a Goran Bregovic

Il settantaquattrenne musicista e compositore bosniaco (madre serba e padre croato), ci racconta la sua filosofia di vita, il suo rapporto con la religione, quello con la musica e la sua idea di follia.

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Signor Bregovic, a quanto pare, era un ragazzo terribile! Quando si è avvicinato alla musica è cambiato qualcosa nel suo comportamento?
Ho iniziato molto presto a occuparmi di musica e, altrettanto presto, sono diventato un musicista professionista. A diciassette anni suonavo già nei locali di striptease. A diciotto anni suonavo a Napoli, nei bar. Poi ho studiato e sarei dovuto diventare professore di filosofia (con indirizzo marxista) perché all’epoca frequentavo la facoltà di filosofia. Giunto all’ultimo anno di università, ho inciso il mio primo disco. Da allora, ringrazio ogni giorno Dio che mi ha spinto verso la musica e, così, mi ha salvato dal destino di insegnare filosofia ai ragazzi. L’ombelico del mio mondo musicale è il concerto per violino. Il violino è stato il mio primo strumento che, però, non ho mai imparato a suonare decentemente.

Vorrei parlare della sua ultima produzione discografica. Di cosa parla «The Belly Button of the World»?
Mi è stato commissionato dalla Basilica di Saint-Denis di Parigi di scrivere un concerto per violino per l’Orchestra Nazionale Francese. Così ho scritto un concerto per violino con l’idea che lo strumento suoni in tre modi principali: il modo cristiano, così come si suona la musica classica; poi il klezmer, così come è suonato dagli ebrei, che è una tecnica molto diversa; infine, quello orientale, come i musulmani suonano il violino, che è una tecnica completamente diversa rispetto alle prime due. Quindi, ho concepito, e scritto, questo concerto per tre violinisti che provengono da queste tre tradizioni musicali. I miei solisti sono uno di Tel Aviv, un altro di Tunisi e, per il tema cristiano, un violinista di Belgrado. E dietro a questo progetto c’è una storia, che è quella che mi ha guidato un po’ durante l’anno scorso, in fase di composizione. Mi sono occupato di diversi progetti come questo, cercando di mettere insieme le cose che sembrano essere così difficili da riunire, sia nell’ambito della politica, sia in quello della religione. Ma nella musica ho il privilegio di poter raccordare queste cose molto facilmente.
C’è una piccola storia che circola su Internet e racconta di una giornalista della CNN di nome Rebecca Weiss, che si trovava a Gerusalemme e ha sentito parlare di un uomo anziano: un vecchio ebreo, molto anziano, di nome Mr. Horowitz, che si recava ogni giorno al Muro del Pianto a pregare. Ci andava ogni giorno e lo faceva da tanti anni. La giornalista, quindi, decise di fare un reportage per dare questa notizia, trovandola singolare. Si recò al Muro del Pianto e attese che il signor Horowitz finisse di pregare. Si avvicinò e disse: «Signor Horowitz, lei è qui ogni giorno, da anni, davanti a questo Muro del Pianto per parlare con un Dio.». Il signor Horowitz rispose: «Sì, da sessant’anni, ogni giorno». E Rebecca Weiss replicò: «Quindi, lei parla con Dio?  Di cosa parla?». E il signor Horowitz rispose: «Gli chiedo che le guerre tra cristiani, musulmani ed ebrei finiscano, perché almeno i nostri figli possano vivere in pace». E Rebecca Weiss disse: «Ok, dopo tutti questi anni passati davanti a questo muro a parlare con un Dio, secondo lei come è andata?». Il signor Horowitz ci pensò per un attimo e poi disse: «Ho avuto l’impressione di parlare con un muro». Quindi, se c’è qualcosa da imparare da questa piccola storia, è che evidentemente Dio non ha messo in programma di insegnarci a vivere insieme, ma è qualcosa che dobbiamo imparare da soli.

Due suoi singoli sono stati pubblicati nel 2023: A Jewish Tale e A Muslim Tale. Non voglio interpretare i suoi pensieri religiosi, quindi vorrei chiederle qual è il suo punto di vista sulla religione?
Entrambi i miei genitori erano comunisti, ma in qualche modo mi è capitato di avere, già da molto tempo, un buon contatto con la religione, anche se non sono un credente-praticante, nel senso che non vado in chiesa. Ma ognuno di noi ha, almeno penso, una parte che ci dà la sensazione di qualcosa di metafisico; che ci fa capire che non siamo degli esseri semplici, che ci sono alcune parti metafisiche di noi e ci sono parti metafisiche del mondo. Quindi, ognuno di noi, in qualche modo, nutre un sentimento religioso. Non credo che ci sia qualcuno che, in qualche modo, non sia religioso in assoluto.

La sua città è Sarajevo, che è stata duramente colpita dalla guerra. Oggi il mondo è afflitto da molte guerre. Qual è la sua riflessione su tutto ciò che sta accadendo nel mondo e perché pensa che la guerra sia una costante nel mondo?
Purtroppo, siamo nel momento in cui il mondo sta aspettando una nuova ideologia che dovrebbe includere più persone rispetto a quante ne siano incluse oggi. Nel mondo ci sono troppi esclusi da tutto. Quindi, penso che le guerre siano solo una logica conseguenza. E, bisogna dirlo, purtroppo la guerra è uno stato naturale degli esseri umani: la storia ce lo insegna. Tutto ciò è terribile.

Quali sono i criteri con i quali sceglie i suoi musicisti?
Cerco di avere musicisti che siano curiosi e che siano felici quando suonano la musica. Ci sono alcuni ragazzi che sono depressi, che li spingono a essere depressi quando fanno musica. Questa gente non fa per me. Mi piace essere circondato da persone felici e cerco di scrivere musica che non porti alla depressione. Ci vuole un po’ di follia per fare musica.

Ho letto una sua dichiarazione: La musica balcanica è punk. Potrebbe spiegarcela?
Ecco, per l’appunto: quando parlo di follia nella musica, se ricorda, l’ultimo periodo in cui si è prodotta una vera follia, e non solo nella musica, è stato il periodo del punk. E il punk è morto con God Save the Queen, che è stato prodotto da un vero produttore, tra l’altro lo stesso che ha prodotto Elton John (Chris Thomas, N.d.R.). Quindi, questa parentesi è una stortura, perché il punk è stato suonato anche da persone che non sono musicisti professionisti, non erano dei professionisti. Quindi, c’era sempre una piccola stonatura nelle chitarre e nel canto, che portava un non so che di follia. Ed è quello che fanno anche gli ottoni della mia band. Solo questa particolare visione, questa stonatura, per l’appunto, ti porta a quel giusto regime di follia. Alcuni dei miei dischi vanno in questa direzione. E sono davvero grato a tutti coloro che hanno i miei lavori discografici, che cercano di trasmettere il messaggio che è così bello vivere insieme e capire gli altri. In poche parole, credo che nei Balcani, quando si parla di musica, non è mai abbastanza. Ci deve essere un pizzico di follia, se la gente vuole essere felice con la musica.

Qual è il suo obiettivo come musicista? È cambiato nel corso degli anni?
Questo obiettivo sta cambiando, ma quando ero più giovane pensavo che le ragazze preferissero i chitarristi ai meccanici, e ho iniziato a suonare la chitarra. Ma oggi cerco di lasciare dietro di me della musica di cui i miei figli non si vergogneranno un giorno. Ecco come si modificano le ambizioni nel corso del tempo, con il passare degli anni e l’avanzare dell’età.

Cosa ne pensa dell’applicazione dell’intelligenza artificiale alla musica?
Orbene, andiamo nella direzione che Karl Marx aveva predetto, ovvero che sarà la fine dell’arte, perché in un attimo tutti noi avremo il tempo di essere artisti. E non siamo lontani da questo. Tutti con un telefono possono fare film o produrre musica. Quindi, l’intelligenza artificiale, perché no? come il talento artificiale, perché no? La definizione di talento è avere capacità di sintesi. Quindi, perché non anche il talento artificiale?

Quali sono i suoi prossimi impegni e obiettivi?
Il mio progetto futuro è cercare di essere felice di quello che faccio. Mi creda, non è un’ambizione da poco alla mia età.
Alceste Ayroldi

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