Firenze Jazz Festival

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Roberto Ottaviano UK Legacy, foto di Alessandro Cinque

17 settembre, Sala Vanni: Roberto Ottaviano UK Legacy

18 settembre, Villa Strozzi: Tinissima

Alla quarta edizione il Firenze Jazz Festival – organizzato da Centro Spettacolo Network in collaborazione con Musicus Concentus e Music Pool – ha perseguito l’obiettivo programmatico di portare musica di qualità (attingendo alle migliori espressioni del jazz italiano) in alcuni luoghi suggestivi del capoluogo toscano.

La stagione creativa che caratterizzò la scena musicale inglese tra la seconda metà degli anni Sessanta e buona parte del decennio successivo merita senz’altro ulteriori riflessioni, in particolar modo per quella sorta di magica osmosi che si instaurò tra jazzisti, alfieri del British Blues e gli esponenti più illuminati del progressive. In questo senso, appare più che opportuna l’iniziativa recentemente intrapresa dal sassofonista Roberto Ottaviano con il quartetto UK Legacy, formato da Michele Campobasso (tastiere), Pierpaolo Martino (basso elettrico, un Rickenbacker d’epoca) e Pippo D’Ambrosio (batteria). Quello ospitato nell’antico refettorio della chiesa del Carmine è un progetto ancora in fieri – quindi suscettibile di ulteriori messe a punto e sviluppi – che ha il merito di mettere sullo stesso piano materiali di diversa estrazione, in osservanza di quell’abbattimento delle barriere stilistiche perseguito in quegli anni.

Roberto Ottaviano, foto di Alessandro Cinque

Del resto, jazzisti come Mike Westbrook, Keith Tippett e Mike Gibbs erano riusciti a captare e incorporare efficacemente nelle rispettive cifre stimoli ed elementi desunti dagli ambiti rock e blues. Lo dimostrano il groove generoso, il disegno accattivante e a tratti cantabile di composizioni storiche quali Love Song No. 1 (Westbrook); Black Horse (Tippett), tratta dalla pietra miliare «Dedicated To You But You Weren’t Listening»; Tanglewood 63 (Gibbs), della quale si ricorda anche una torrenziale versione dei Colosseum. Tutti terreni fertili per il fraseggio denso di blues feeling, ma sfaccettato e aguzzo al tempo stesso, del contralto di Ottaviano, che a tratti evoca Mike Osborne ed Elton Dean. Un analogo trattamento viene riservato – fatte le debite proporzioni – alla gioiosa Glad, il brano strumentale che apriva «John Barleycorn Must Die» dei Traffic.

Ovviamente la ricognizione di Ottaviano non poteva ignorare certi aspetti del cosiddetto Canterbury Movement. Ecco dunque che a una All White (da «Soft Machine Fifth») ricca di spigoli e tensioni ritmiche jazz rock esemplarmente affrontati dal soprano fanno riscontro le melodie eteree e un po’ stralunate di Robert Wyatt: Amber And The Amberines e O Caroline, il brano di apertura del primo album eponimo dei Matching Mole.

Roberto Ottaviano con il pianista Michele Campobasso, foto di Alessandro Cinque

Con «Islands» (in cui figuravano jazzisti come Tippett, il contrabbassista Harry Miller e il trombettista Mark Charig) e il successivo «Larks’ Tongues In Aspic» i King Crimson ampliarono gli orizzonti e intrapresero percorsi decisamente più sperimentali, privilegiando impianti modali e costruzioni poliritmiche, e approfondendo la ricerca timbrica. Ecco perché in questo contesto trovano piena cittadinanza – ancor prima di una Book Of Saturday esposta in forma di ballad con fin troppa fedeltà al dettato originale – Islands e soprattutto Sailor’s Tale, sviluppata su un pedale ossessivo e un up tempo penetrato da un soprano ficcante e corrosivo.

Presentato in anteprima nel teatro all’aperto retrostante la Villa Strozzi, «Zorro» è il nuovo lavoro del quartetto Tinissima, in uscita il 16 ottobre per la CamJazz. Ancora una volta il sassofonista Francesco Bearzatti, leader e autore delle composizioni, ha scelto una figura chiave per realizzare quello che si potrebbe definire un concept album, dopo i lavori dedicati a Tina Modotti, Malcolm X e Woody Guthrie. Pur nella loro varietà, i contenuti contribuiscono a una narrazione coerente. Vi si ritrovano percorsi modali, a tratti impregnati di Spanish Tinge; richiami etnici, specie laddove Bearzatti impiega il corpo superiore del clarinetto ricavandone sonorità affini a quelle di strumenti ad ancia d’area balcanica o mediorientale; vertiginosi up tempo swinganti; scansioni binarie di matrice rock, talvolta rafforzate dalle timbriche e dalle distorsioni del basso elettrico di Danilo Gallo.

Il quartetto Tinissima, foto di Alessandro Cinque

Dopo aver elaborato negli anni varie influenze mutuate da Albert Ayler, Archie Shepp e David Murray, al tenore Bearzatti ha maturato un linguaggio riccamente articolato, dotato di una vasta gamma di sfumature e di una voce riconoscibile. Il sassofonista friulano imbastisce insieme a Giovanni Falzone dense linee contrappuntistiche, corposi impasti timbrici e avvincenti intrecci tematici. Una volta di più il trombettista stupisce per l’articolazione del fraseggio, sempre nitido e logicamente concatenato, e per la padronanza assoluta di timbriche e dinamiche. Esprime queste caratteristiche mediante un fuoco creativo che condivide con Bearzatti e che lo colloca certamente tra i massimi specialisti contemporanei dello strumento: una sorta di contraltare moderno ed europeo di Kenny Dorham e Booker Little.

Francesco Bearzatti, foto di Alessandro Cinque

L’affiatatissima ritmica è il sostegno ideale per la caleidoscopica successione di eventi sonori. Danilo Gallo e Zeno De Rossi possiedono un’innata versatilità, sviluppano un’ampia gamma dinamica e prestano un’attenzione meticolosa alle timbriche. Il bassista impressiona per la grande varietà di suoni che riesce a trarre dallo strumento sfruttando al meglio le risorse della pedaliera. Il batterista palesa estrema disinvoltura in qualsiasi contesto, escogitando sempre soluzioni ingegnose e spaziando come se nulla fosse da Baby Dodds a Ed Blackwell, da Tony Williams a John Bonham.

Tinissima può essere ormai considerata una delle formazioni di punta dell’attuale scena jazzistica nazionale, forte di quattro personalità che in altri contesti sono anche responsabili di progetti propri. Per l’intensità e la compattezza dimostrate nell’acclamatissimo concerto fiorentino, probabilmente «Zorro» è destinato a rivelarsi come il miglior lavoro finora prodotto dal quartetto.

Tinissima, foto di Alessandro Cinque

 

Enzo Boddi