Fano Jazz By The Sea XXXI edizione: il messaggio (forte e chiaro) della musica

di Eleonora Sole Travagli

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In una tarda mattina di fine luglio, entriamo nel quartier generale di Fano Jazz Network. Nonostante ci si trovi nel bel mezzo di un festival, l’atmosfera è rilassata: Tia, il cane di Marianna (Marianna Zaccardi, responsabile amministrazione, produzione e coordinamento), “pascola” tra gli uffici dispensando un’efficace dose di pet therapy; Adriano Pedini, patron della kermesse, con fare peripatetico, circola scalzo per sopperire alla canicola fanese. È iniziato così il nostro viaggio a Fano Jazz By The Sea, giunto quest’anno alla XXXI edizione.
Fano non è Fano senza Fano Jazz By The Sea, che si riconferma appuntamento imprescindibile. Punto di riferimento non solo musicale, ma della comunità tutta, FJBTS è in primis sinonimo di aggregazione. Dal fulcro del Green Village alle porte della Rocca Malatestiana, il verbo del festival si espande a tutta la città e oltre con numerosissime iniziative che, attraverso la musica, toccano temi quali inclusione, immigrazione ed ecologia. Oltre ai concerti del cosiddetto Main Stage, sempre preceduti dai nuovi progetti presentati sul palco del Village, e seguiti dalle intriganti sonorità di Cosmic Journey che s’inoltrano fino a notte fonda, l’articolato palinsesto propone mostre fotografiche, proiezioni, dibattiti sul cambiamento climatico e didattica con il coinvolgente Campus Musicale per bambini realizzato in collaborazione con l’Associazione Mosaico Musicale. E ancora, il palcoscenico diffuso di Live In The City anima intere strade, piazze, anfiteatri e balconi con gruppi, marching bands e concerti all’alba.

Lakecia Benjamin (foto Chiara Broccoli)

Questo senso di comunità ha rappresentato anche il leitmotiv degli ascolti che Musica Jazz ha fatto al festival. La pandemia, le guerre, la crisi climatica, la disuguaglianza di genere non sono fenomeni circoscritti ma ci riguardano globalmente. Quale causa di queste catastrofi, l’umanità tutta deve unirsi per operare un repentino cambio di rotta, e la musica diviene nuovamente arma di pace, atto politico, strumento per scuotere le coscienze. Lo è la musica della newyorkese Lakecia Benjamin, il cui live fanese ha rappresentato una vera e propria celebrazione di pace e amore universale. Sul palco la musica la attraversa. Danza, grida, rappa, si emoziona con il pubblico e suona come posseduta dallo spirito di Coltrane. Benjamin è al contempo coinvolgente, determinata e spigliata; pare non faticare minimamente a suonare il suo strumento, il sax alto, che risulta come una normale estensione del suo respiro. Anche se il suo mentore è Gary Bartz, sembra nata “a pane e Coltrane”, col sax al posto del biberon. Benjamin è musicista, compositrice e bandleader, ma anche attivista e femminista. Sul palco della Rocca Malatestiana ha presentato alcuni brani tratti dall’ultimo album «Phoenix», alternati a perle del jazz come la versione potente e corale di My Favorite Things da lei dedicata ad Alice Coltrane; Amazing Grace, in un arrangiamento intriso di soul eseguito in duo con Zaccai Curtis al piano e A Love Supreme, scelta per chiudere la performance e ribadire l’importanza di diffondere messaggi di amore e speranza, dato che – fa notare Benjamin – le brutte notizie sono sempre dietro l’angolo.

Seun Kuti (foto Chiara Broccoli)

Musica come atto politico, che promuove il cambiamento, è anche quella di Seun Kuti che sul palco fanese ha esordito in lingua inglese, così: “Non parlo italiano, scusate, ma una lingua coloniale è già abbastanza”. Seun è figlio di Fela Kuti, rivoluzionario, musicista e attivista nigeriano nonché inventore dell’Afrobeat, della cui vita Fano Jazz ci ha regalato un prezioso approfondimento attraverso la proiezione del documentario Music Is The Weapon, sapientemente introdotto dal giornalista e speaker radiofonico Marcello Lorrai.
Seun Kuti si è presentato con gli Egypt 80, ultima band con cui ha suonato il padre, e anche se la matrice musicale resta inevitabilmente quella dell’Afrobeat, Seun la attualizza con brani originali alternati a must di Fela, una potente voce, una presenza scenica prorompente ed una conduction che fonde danza e direzione.

Manou Gallo (foto Chiara Broccoli)

Fela Kuti torna anche nel repertorio della bassista Manou Gallo, cui è stato affidato il compito di portare a termine questa XXXI edizione di Fano Jazz By The Sea nella suggestiva Golena del Furlo. Un’autentica Woodstock dell’appennino marchigiano: così si rivela ai nostri occhi la Golena colma di pubblico, situata nell’entroterra dell’omonima Riserva Naturale, a circa quaranta chilometri da Fano. Un luogo magico che in questa serata fonde musica, natura e prelibatezze locali. Gallo, già con le Zap Mama e nominata Miglior artista africana della Diaspora ai Trofei Musicali TAMANI/Mali, chiude il cerchio in bellezza a suon di ipnotico e trascinante groove.

Maria Sole De Pascali (foto Chiara Broccoli)

Infine, una menzione particolare va al flauto solo della musicista Maria Sole De Pascali, protagonista tra gli altri di “Exodus Stage. Gli echi della migrazione”, ulteriore quadro nel quadro di Fano Jazz By The Sea dedicato al tema dei migranti. Nell’atmosfera rarefatta della Pinacoteca di San Domenico, De Pascali accompagna le melodie con suoni vocali e la percussione dello strumento. Mani e voce, quindi, si trasformano in un naturale prolungamento del flauto, il cui suono pare, talvolta, quello di uno strumento a corde. Svariate anche le tipologie di flauto utilizzate che caratterizzano la ricerca della musicista. Grazie a questo originale e delicato approccio, il fluire delle note rievoca ora il canto di una sirena, ora una ninna nanna sussurrata da una balia in una fredda notte d’inverno. Questo insieme costituisce il repertorio di «Fera», album di debutto della giovane e promettente artista pugliese.
Eleonora Sole Travagli

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