Empoli Jazz Summer: Bobby Watson Quartet

La forza delle radici

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Empoli, Giardini del Torrione di Santa Brigida

22 luglio

Da ormai tre lustri Empoli Jazz – sotto la direzione artistica di Filippo D’Urzo – rappresenta una realtà radicata nel territorio. Evento di punta della XVI edizione dell’Empoli Jazz Summer Festival, anche grazie al sostegno e al patrocinio di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Città Metropolitana di Firenze, Comune di Empoli e Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, il concerto del quartetto di Bobby Watson ha riportato l’attenzione su un sassofonista e compositore giustamente annoverato tra quei maestri contemporanei che hanno saputo fungere da tramite fra tradizione e attualità del linguaggio jazzistico.

Esemplare in tal senso il suo percorso: dall’apprendimento sul campo con i Jazz Messengers di Art Blakey negli anni Settanta alla definitiva maturazione nel decennio successivo attraverso molteplici esperienze. Tra queste, le più significative furono senz’altro il contributo al 29th Street Saxophone Quartet e la titolarità di vari quartetti e del gruppo (di dimensioni variabili) Horizon. A Empoli Watson si è presentato con un consolidato quartetto completato dal giovane, interessantissimo pianista Jordan Williams e da una ritmica rodata e di lunga militanza: Curtis Lundy (contrabbasso) e Victor Jones (batteria).

Bobby Watson e Curtis Lundy – Foto di Sanzio Fusconi

Nonostante i 71 anni da compire il prossimo agosto e una condizione fisica apparentemente non brillantissima, Watson non ha perso quasi nulla del suo antico smalto. Anzi, pare ancora animato da un vivido fuoco espressivo. Questo si evince già dalla lunga introduzione solistica con cui apre il concerto. Vi confluiscono le molteplici sfumature linguistiche e timbriche del suo fraseggio al sax alto, un genuino senso del blues, improvvise impennate e frammenti o citazioni di noti standards. Ad esempio, il tema di Misterioso di Thelonious Monk viene prima accennato con sottili allusioni e rimandi, poi enunciato cellula per cellula per mezzo di una variegata gamma di colori, accenti e cambi di tonalità. In simbiosi con i colleghi Watson sviluppa poi progressioni infuocate sui tempi medi e veloci con fraseggio sanguigno e riccamente articolato, il cui timbro tende a sgranarsi e strozzarsi sugli acuti. Oppure, sui tempi lenti e medio-lenti (come nella ballad di Ellington In a Sentimental Mood) cesella e centellina frasi squisite, grondanti melodia. Comunque sia, sono sempre le radici del blues a prevalere nella sua voce strumentale.

Bobby Watson – Foto di Sanzio Fusconi

Lundy e Jones costituiscono una coppia ritmica affiatata. Sulla scia di Art Blakey, Jones garantisce una propulsione animata da uno swing implacabile, da efficaci accenti e controtempo sul bordo del rullante, da varietà di figurazioni. Lundy possiede un fraseggio sontuoso, caratterizzato da un pizzicato fluido e corposo al tempo stesso, arricchito da glissando e continue invenzioni melodiche che emergono prepotentemente e trovano piena valorizzazione in un magistrale assolo e in un gustoso duetto con il piano.

Watson e Lundy – Foto di Sanzio Fusconi

Originario di Philadelphia, città che ha partorito numerose figure cardine per la storia del jazz, Williams è un pianista moderno che riassume nel proprio stile l’impronta di alcuni illustri predecessori. Dal concittadino McCoy Tyner ha ereditato i potenti, martellanti appoggi ritmici sulle ottave basse e le scorrevoli, indiavolate digressioni della mano destra; da Herbie Hancock una certa propensione per la costruzione di fraseggi trasversali; da un altro filadelfiano, Bobby Timmons, quel tocco e quel portato densi di blues e gospel.

Bobby Watson – Foto di Sanzio Fusconi

Non a caso, Watson e compagni hanno ripescato Moanin’, composizione di Timmons e cavallo di battaglia dei Jazz Messengers, con quell’inconfondibile tema introdotto da un gioco di chiamata e risposta mutuato dal gospel. Altra piccola gemma di un concerto verace, coinvolgente e godibile, all’insegna di quello che ancor oggi ci ostiniamo – con pieno diritto – a chiamare jazz.

Jacopo Ferrazza – Foto di Sanzio Fusconi

Vale anche la pena di ricordare l’evento di apertura, reso possibile dalla collaborazione di Empoli Jazz con I-Jazz e Nuova Generazione Jazz. Sul palco si è presentato il contrabbassista Jacopo Ferrazza, recentemente molto attivo con il quartetto del trombettista Fabrizio Bosso. Autore nel 2021 di un pregevole lavoro per contrabbasso solo, «Wood Tales», per l’occasione Ferrazza ha riproposto alcuni brani tratti da quel disco. Si apprezzano il senso della struttura, l’unità formale, il fraseggio sciolto, il pizzicato corposo e la capacità di esprimere asciutti valori melodici anche nei passaggi più serrati. In altre parole, la predilezione per la narrazione di brevi storie.

Enzo Boddi

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