Uno degli appuntamenti più importanti della stagione concertistica del Vecchio Continente è senza dubbio l’EFG London Jazz Festival, un’imponente manifestazione organizzata da anni dall’agenzia Serious. Per dieci giorni la capitale britannica viene letteralmente invasa dalle sonorità jazz: in ogni angolo della città si susseguono proposte musicali diversissime, in un modello che ricorda da vicino quello adottato anche da JazzMi. Accanto agli eventi principali del cartellone – ospitati al Barbican (Dee Dee Bridgewater, The Evolution of UK Jazz – 20 Years On con Camila George e Shabaka, Anthony Joseph, per citarne alcuni) e alla Cadogan Hall (Kurt Elling & Yellowjackets, Gabrielle Cavassa, Taylor Eigsti Group feat. Becca Stevens) – si svolgono moltissimi concerti nei club che costituiscono il tessuto pulsante della scena live londinese: Ronnie Scott’s, The 606 Club, Vortex, Pizza Express, Bull’s Head e il pop-up store The Jazz Social, spazio temporaneo che ha ospitato dirette radiofoniche, interviste ed esibizioni, fra cui ricordiamo quelle di Hiromi e Aaron Parks.
La nostra scelta è ricaduta sulle venues più intime, dove accanto alle nuove generazioni si possono ammirare maestri assoluti di questa musica a pochi metri di distanza. Un’esperienza che immerge l’ascoltatore nel processo artistico e creativo dei musicisti con una profondità difficilmente replicabile in contesti più ampi.
Art Themen’s New Directions Quintet – Bull’s Head Barnes, 19 novembre
Mercoledì 19 novembre ci siamo recati al Bull’s Head Barnes, storico locale situato a pochi passi dalla riva meridionale del Tamigi, con una sala concerti da circa cento posti. Un pubblico numeroso e attento era presente per l’esibizione dell’Art Themen’s New Directions Quintet. Laureato in medicina a Cambridge e reduce da una carriera da chirurgo ortopedico, Themen è tornato a tempo pieno al suo amore originario: il sassofono. Fin da giovanissimo si era imposto nella scena inglese, diventando uno dei session men più richiesti tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta. Tra le collaborazioni più significative figurano Jack Bruce, Alexis Korner, Norma Winstone e Barbara Thompson; ma il nome al quale Themen viene immediatamente associato è quello di Stan Tracey, il padrino del jazz britannico, con cui inciderà decine di album con molteplici organici differenti.

Non esistono veri e propri dischi a nome di Themen, anche se fra il 79’ e l’82’ la britannica Spotlite pubblicò una serie di tre Lp in cui Themen condivideva la leadership del progetto con Al Haig, il leggendario pianista bop, ripreso in alcune delle sue ultime registrazioni (morì nel 1982 per attacco cardiaco). Le esibizioni dal vivo di Themen come leader sono state però numerosissime negli anni recenti, con formazioni variabili – dall’Organ Trio ai suoi diversi quintetti. Il doppio set del Bull’s Head ha confermato appieno l’ottima impressione ottenuta dai dischi: due set nei quali il quintetto è apparso coeso, brillante e perfettamente a proprio agio in un repertorio che spaziava tra originals, brani di Horace Silver e Kenny Dorham e altri pezzi dello stesso periodo.

I brani, lunghi e articolati, seguivano la classica impostazione hard-bop: temi ampi esposti dai due fiati, sviluppo degli assoli e ripresa conclusiva. La tromba di Steve Fishwick si intrecciava con eleganza alle linee di Themen, portando un contributo importante tanto negli unisoni quanto negli assoli, sempre calibrati e privi di artificiosità. Fondamentale il lavoro della sezione ritmica: Gareth Williams al piano si è distinto soprattutto nel brano dedicato a John Taylor, Mr. JT, offrendo lungo tutta la serata un accompagnamento solido, ricco e mai convenzionale. Arnie Somogyi ha ricordato ancora una volta perché sia uno dei contrabbassisti più richiesti della scena inglese: lirico nelle introduzioni in solo, sicuro nel tempo, impeccabile nell’interplay favorito dai tempi dilatati delle ballad in scaletta. Winston Clifford, motore instancabile alla batteria dal tocco deciso ed energico, ha saputo incantare anche con la delicatezza della propria voce nella conclusiva Bye Bye Blackbird. Un avvio di festival semplicemente impeccabile.

Eddie Henderson Quartet – Pizza Express Soho, 20 novembre
Giovedì 20 novembre ci siamo recati al Pizza Express di Soho per assistere al secondo set del quartetto di Eddie Henderson, completato da Matyas Gayer al piano, Arnie Somogyi al contrabbasso e Stephen Keogh alla batteria. È proprio grazie ai rapporti professionali e di amicizia intessuti da Keogh se da qualche anno musicisti americani di grande rilevanza come Charles McPherson o lo stesso Eddie Henderson si recano in Europa per i loro tour, permettendo al pubblico europeo di ammirare dal vivo alcuni protagonisti della scena Newyorchese di ieri e di oggi.

Qualcuno ha paragonato il drumming di Keogh a quello di Joe Farnsworth, ma ci troviamo in disaccordo: Keogh rinuncia alla spettacolarizzazione del gesto e predilige un accompagnamento misurato, calibrato con cura per non sovrastare il leader – una qualità sempre più rara in un’epoca in cui molti batteristi tendono a coprire il suono degli altri musicisti.
Ascoltare dal vivo Eddie Henderson è come cenare in una trattoria storica: semplice ma di qualità, con piatti della tradizione saggiamente rivisitati ma non troppo, perché questo è il gusto del cuoco e della clientela. Il menu prevede sostanziose porzioni di standards e ballads, condite da gustosi aneddoti vissuti in prima persona, con una versione di Cantaloupe Island a impreziosire ulteriormente la serata. Lo chef ha 85 anni ma nessuna intenzione di abbandonare i fornelli: dopo decenni passati a perfezionare la propria ricetta musicale, ogni sua performance lascia gli avventori del tutto soddisfatti. Lo avevamo ascoltato in grande forma quest’estate a Barga Jazz con un altro quartetto, e anche al Pizza Express non ha deluso le attese. Dopo Themen, un altro medico prestato al jazz – Henderson è stato infatti psichiatra – ci ha regalato la sua personale definizione di cosa sia il jazz oggi.

Gerry Hemingway & Izumi Kimura feat. Fred Thomas – Sands Film Music Room, 21 novembre
Il giorno seguente ci siamo recati alla Sands Film Music Room di Rotherhithe, pittoresco spazio polivalente, per assistere al concerto del duo formato da Gerry Hemingway e Izumi Kimura, con il polistrumentista ECM Fred Thomas come ospite speciale. Thomas aveva già suonato con Hemingway, ma era la prima volta con la pianista giapponese. Il duo Hemingway–Kimura è attivo da alcuni anni e ha pubblicato di recente «How the Dust Falls», ottimo disco di musica creativa che restituisce con rigore il frutto della loro ricerca sonora.

Il repertorio presentato a Londra era basato prevalentemente sulla scaletta di questo disco, con la presenza di Fred Thomas che aggiungeva colori e sfumature ad un quadro già ricco di particolari e situazioni diverse. Hemingway ha fatto ricorso, come di consuetudine, a tecniche strumentali estese, per esempio usando l’archetto da contrabbasso sul charleston nel primo brano, ma anche ricorrendo all’uso del vibrafono e dell’armonica a bocca e della voce. Il set si è aperto con una sequenza di brani dall’andamento molto cinematografico, creando una perfetta colonna sonora “neo-noir”. Non stiamo pensando di certo ad Ascensore per il Patibolo di Louis Malle ma piuttosto ad un thriller post-apocalittico, rigorosamente ripreso nelle ore notturne.

Le atmosfere rarefatte e dilatate iniziali lasciavano presto spazio ad esplosioni di tensione provocate dal drumming intenso e poliforme di Hemingway e dall’ingresso in scena di Fred Thomas, impegnato in quel momento al basso. Izumi Kimura ha portato il proprio contributo con un approccio allo strumento molto percussivo, con il quale piazzava accordi funzionali alla creazione di momenti di tensione emotiva, pizzicando le corde del pianoforte verticale della Sands Film Music Room quando necessario.

Da musicista militante, Hemingway non ha mancato di evocare, come nelle sue recenti produzioni discografiche, i temi delle grandi ingiustizie sociali che attraversano il nostro tempo. Ne è scaturito un concerto colto, multiforme e sorprendente disponibile da pochi giorni sul canale Youtube di Gerry Hemingway

Tommy Campbell Trio – Pizza Express Soho, 22 novembre
Sabato 22, ultimo giorno del nostro itinerario festivaliero, ci siamo concessi un’ultima tappa: il concerto del trio di Tommy Campbell con Barry Green e Joris Teepe, in programma all’ora di pranzo al Pizza Express di Soho. Nipote di Jimmy Smith e batterista di lunghissimo corso, Campbell ha ridotto le sue apparizioni europee negli ultimi anni, mentre negli Stati Uniti è personaggio imprescindibile della scena dei club.

Le aspettative erano alte e non sono state tradite. La musica non cercava tratti di particolare originalità: la formazione era il classico trio pianoforte–contrabbasso–batteria. Tuttavia, tutti e tre i musicisti hanno offerto una prova autorevole: Green, con un pianismo raffinato ed elegante; Teepe, con linee scolpite e agili; e Campbell, autentico valore aggiunto del gruppo. Un istrione capace di guidare la musica con autorevolezza, controllo e un’irresistibile vis comica: “È un piacere suonare qui al Pizza Express, il miglior jazz club del mondo! Ieri eravamo in Olanda, in quello che posso tranquillamente definire il secondo miglior jazz club del mondo!” scherza dal palco.

Fra un brano e l’altro Campbell ha raccontato una serie di aneddoti – come il suo primo viaggio a Londra nel 1980 con l’orchestra di Dizzy Gillespie – e ha divertito il pubblico con espressioni facciali volutamente ammiccanti, suonando i bicchieri dei tavoli limitrofi o utilizzando un’intera famiglia di maialini giocattolo come elementi del proprio drumkit. Scene esilaranti ma sempre funzionali a mantenere lo spettacolo vivo, fluido e imprevedibile. Da ricordare, verso la fine dello show, una delicatissima versione di Poinciana, scritta da Nat Simon nel 1936 e resa immortale da Ahmad Jamal.


Un trionfo musicale che chiude in bellezza un festival che si conferma ai vertici assoluti del panorama europeo.