Colin Stetson chiude Fabbrica Europa

La cortina del suono

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Firenze, Teatro Cantiere Florida

15 ottobre

Appuntamento conclusivo della sezione musicale di Fabbrica Europa, rassegna multidisciplinare giunta alla XXXI edizione, il concerto di Colin Stetson da un lato ha suscitato l’entusiasmo di gran parte di un numeroso e composito pubblico. Dall’altro, ha posto anche alcuni inevitabili interrogativi.

Il 49enne sassofonista americano occupa infatti un ruolo singolare nel panorama musicale contemporaneo. Musicista in origine di formazione essenzialmente jazzistica, Stetson ha poi ampliato lo spettro dei suoi interessi espandendo la propria attività in molteplici direzioni. Lo testimoniano le sue collaborazioni con Tom Waits e Laurie Anderson, così come i contributi a gruppi di indie rock (tra i quali Arcade Fire e The National) o più orientati verso il recupero del folk, come Bon Iver.

La tecnica esecutiva che Stetson ha elaborato sia al sax alto che, soprattutto, all’imponente sax basso è del tutto singolare ed emerge in particolar modo nei dischi in solo e nelle performance dal vivo come quella in questione. Al sax alto Stetson costruisce linee spigolose, fatte di segmenti e frammenti acuminati, dilatate dall’elettronica, che finiscono per creare un processo concentrico e iterativo.

Al sax basso, invece, mediante l’uso della respirazione circolare produce un impressionante muro sonoro fatto di spirali vorticose: ne risulta un loop massiccio nel suo andamento ciclico, ipnotico. Vi sovrappone poi inserti vocali che quasi snaturano il suono dello strumento (già di per sé convertito in un bordone ossessivo che ricorda il didjeridoo degli aborigeni australiani), tanto da fargli assumere connotati inconsueti. Una sorta di trasformismo timbrico, anche qui sostenuto e integrato dall’elettronica, impiegata non solo per dilatare il suono nello spazio, ma anche per costruire tracce ritmiche incalzanti (a dire il vero, a tratti invadenti.

Siamo lontani sia dalle sperimentazioni lungimiranti di Anthony Braxton o Roscoe Mitchell (senz’altro fra i punti di riferimenti di Stetson in ambito jazzistico), che dalle improvvisazioni – senza rete e senza misericordia – dello stesso Stetson in duo con il collega svedese Mats Gustafsson in «Stones».

Sorge dunque un dubbio: al di là del lavoro sul suono, e dell’innegabile sforzo fisico che la respirazione circolare comporta, cosa rimane? In fin dei conti, da questo turbinio sonoro privo di spunti improvvisativi e denso di procedimenti iterativi affiora spesso una certa monotonia, in cui le stesse cellule sembrano rincorrersi all’infinito in un meccanismo solipsistico. Un gioco di specchi in alcuni momenti anche suggestivo, ma alla lunga ripetitivo e perfino stucchevole, che le immagini proiettate sullo schermo retrostante non contribuiscono certo a diversificare o arricchire.

Senz’altro, come dimostra la risposta di un pubblico variegato, questa proposta ha l’effetto (e, perché no?, anche il merito) di intercettare una fascia di ascoltatori di differenti generazioni e vari orientamenti musicali. Specchio e riflesso dei nostri tempi.

 

Enzo Boddi                                                             Foto di Monia Pavoni

 

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