Irene, sei italiana ma vivi da anni in Francia. Come ha influenzato questa «doppia appartenenza» il tuo percorso artistico?
Prima di stabilirmi in Francia, ho vissuto in Spagna e in Germania; il mio compagno è franco-cileno; ho lanciato la mia carriera in Francia come interprete della musica brasiliana, cultura musicale che sento vicina e in cui mi sono immersa per quasi due decenni. Direi che la mia è una multi appartenenza, ed è di certo un elemento chiave della mia identità e quindi della mia ispirazione.
Quanto conta per te la geografia nella costruzione della tua sensibilità artistica? Ci sono luoghi — italiani o francesi — che ritieni decisivi nella tua formazione?
I luoghi che di getto mi vengono in mente come formativi sono di certo i luoghi dell’infanzia in Italia: i Castelli Romani dove sono cresciuta; la campagna nei pressi di Cassino in Ciociaria e la città di Sassari dove mi recavo per visitare la mia famiglia paterna e materna, rispettivamente; Roma e la sua bellezza totale. Dopo essere partita nel 2006 per la Germania, ho capito molto presto che la saudade di questi luoghi mi avrebbero accompagnata sempre. Questa nostalgia è un elemento importante di chi sono oggi e determina quindi la mia sensibilità artistica.
Qual è stato il primo momento in cui hai percepito che la musica sarebbe diventata il tuo linguaggio principale?
È stata una consapevolezza nata nel tempo. Durante i miei anni barcellonesi, tra il 2011 e il 2013, ho dato una serie di concerti di musica brasiliana: serata dopo serata mi rendevo conto che non potevo farne a meno, l’esperienza della scena e il contatto col pubblico diventavano una specie di droga dalla quale era difficilissimo separarmi.
Il tuo nuovo disco, «Sembianze», sembra giocare molto sul tema dell’identità e delle sfumature. Da dove nasce questo titolo?
«Sembianze» raccoglie brani che ho scritto tra il 2017 e il 2024, e in effetti riflette la mia crescita artistica, e il cambiamento, semplicemente, perché in sette anni si cambia eccome. Cercavo quindi una parola che parlasse di questa evoluzione e ricerca di me stessa all’interno di tutte le mie sfaccettature. Il titolo del brano Sembianze, contenuto nel disco, mi è sembrato perfetto a questo scopo.
Quali sono state le principali ispirazioni — musicali, poetiche o personali — che hanno nutrito la scrittura di «Sembianze»?
Ci sono varie tematiche, che rispecchiano momenti molti diversi, e sempre personalissimi. I brani non sono nati con un fine discografico, è una scrittura che nasce dal bisogno di una ricerca di un contatto con me stessa, mantenere o trovare un equilibrio in alcune fasi. Decidendo di tentare la strada musicale, mi sono rimessa a studiare, ho ripreso il pianoforte, e immergendomi nell’esplorazione sonora dello strumento ho trovato pian piano una chiave espressiva. Ci sono brani intrisi di nostalgia come Solo tu, in cui mi rivolgo a un «Tu» collettivo che sono i miei amici di sempre in Italia; tematiche familiari come la perdita e il lutto, come in Inizi, dedicato a mio padre Ermanno (scomparso nel 2016); canzoni come Coloriamo o Una vita del mare non sarebbero nate senza mia figlia Nora, che mi ha attivamente aiutato, più o meno volontariamente, a trovare l’ispirazione per i testi in questi due casi specifici.

Hai registrato il disco in Francia. Credi che l’ambiente creativo francese abbia influenzato le atmosfere del progetto?
L’ambiente musicale in Francia è stato ed è fondamentale per la mia crescita musicale. Ho avuto la fortuna e l’onore di suonare, formarmi, fare concerti, o semplici sessioni con tantissimi musicisti di gran talento; di orizzonti e di culture diversissime. Questa è la bellezza della Francia, la sua ricchezza interculturale che si riflette direttamente nella sua attualità musicale. Direi quindi che questo fermento, e il fatto di farne umilmente parte, abbia influenzato la mia scrittura dandomi la sicurezza di potermi esprimere senza compromessi, con onestà (in primo luogo verso me stessa), con la mia peculiarità (come italiana in Francia), e appartenente a questa cultura variegata. Del resto è un po’ la chiave di cosa significhi fare jazz, in generale.
In «Sembianze» convivono delicatezza e intensità. Come lavori per mantenere questo equilibrio?
Nei miei brani ci sono io. Sono proprio io senza filtri, penso. Quindi ci sono dentro tante sfumature. Come tanti contrasti. Non so se abbia una risposta esaustiva a questa domanda, che mi fa riflettere. L’unica cosa che mi viene in mente riguarda l’aspetto esecutivo. I grandi musicisti che mi accompagnano (Fady Farah al piano, JB Perraudin alla batteria e Maurizio Congiu al contrabbasso) hanno da subito saputo rispettare e allo stesso tempo e mettere in rilievo, esaltare ogni sfumatura della mia scrittura, quindi anche i suddetti contrasti. La prima sessione coi miei brani risale al 2019 o forse la fine del 2018. Sono musicisti estremamente sensibili, e credo che questa intesa si senta nella registrazione.
«Sembianze» sembra quasi un viaggio. Come hai costruito l’ordine dei brani? C’è una narrativa interna?
È un viaggio di scrittura musicale lungo sette anni, non lo posso negare. Ma l’ordine dei brani non rispetta necessariamente quello temporale, è più il frutto di una scelta sonora, un’alternanza di tematiche e ritmi per mettere in valore ciascuno dei pezzi; ho voluto però chiudere il disco con l’ultimo brano scritto, Una vita nel mare.
C’è un brano del disco che senti particolarmente vicino al tuo percorso umano in questo momento?
Coloriamo. Un mio allievo francese di canto quando ha ascoltato il brano, pur non capendo le parole ed non essendo assolutamente un ascoltatore abituale di jazz, mi ha detto che gli dava l’impressione fosse un monito a fare qualcosa tutti insieme, di grande e maestoso. Questa sua interpretazione del brano, e solo sul piano musicale! – mi ha colpito molto, e ogni tanto ci ripenso. Rifare il mondo da capo alla maniera dei bambini, riappropriarci dei gesti del gioco, del corpo, saltare, inventare, gridare, ballare, come gesto quasi rivoluzionario, oggi, in questo presente sempre piu’ drammaticamente difficile da interpretare, spiegare ai piccoli (e cambiare…!).
Chi ha collaborato con te nella realizzazione del disco? Che tipo di dialogo creativo si è instaurato?
La scrittura è stata un atto creativo molto solitario, per ogni brano, fatta eccezione di Coloriamo e la Vita nel mare, i cui titoli e testi sono frutto di uno scambio fertile, a volte giocoso, con mia figlia. Poi, gli arrangiamenti che ho scritto sono cresciuti e hanno preso corso negli anni, sempre con Fady, JB e Maurizio, con i live; sono arrangiamenti vivi, li vedo cosi’, che sono cambiati e ancora cambieranno nei concerti futuri ! È un lavoro discografico che riflette un percorso di maturazione del repertorio dal vivo, e che è molto vicino all’esperienza del concerto. I miei musicisti sono assolutamente parte fondamentale di questa dinamica.
Per quanto riguarda la registrazione e mixing di «Sembianze», sicuramente con l’ingegnere del suono Ernesto Ranieri, grande amico e co-direttore artistico di questo lavoro, si è creato un dialogo indispensabile e fertile sugli arrangiamenti finali e il suono, dialogo che ha dato luogo al risultato definitivo, di cui sono molto felice.
Guardando al futuro: quali progetti, collaborazioni o sperimentazioni ti piacerebbe intraprendere dopo «Sembianze»?
In Francia ho altri due progetti attualmente in corso. Un trio di musica brasiliana con Julio Gonçalves (percussioni) e Caio Marcio Santos (chitarra). Portiamo avanti un repertorio omaggio alle composizioni e interpretazioni di Chico Buarque de Hollanda, repertorio che rappresenta una grande sfida (è musica di notevole ricchezza armonica e melodica), e in cui sia io che Caio ci alterniamo in improvvisazioni. Un progetto col pianista calabrese Nicola Sergio, anche lui trapiantato in Francia, che abbiamo chiamato Italian Standards, in cui sviluppiamo una selezione eterogenea della canzone italiana (da Pino Daniele a Tenco, passando per Paoli e De André), riarrangiate in chiave jazz, in modo estremamente personale e intimista.
Hai un background musicale molto personale. Ci sono persone, maestri, ascolti o momenti che consideri fondativi nella tua storia?
Assolutamente sì. È vero che ho un percorso atipico, e ho messo molto tempo a intraprendere una carriera artistica, dopo aver fatto studi scientifici e aver anche lavorato come ricercatrice. Di certo ci sono stati incontri chiave, fondamentali. Ce ne sarebbe per scrivere un’intervista a parte! Andando in ordine sparso: incontrare e conoscere Flora Gil su un aereo da Rio de Janeiro a Salvador de Bahia; passare tempo dopo una serata intera con Gilberto Gil durante una festa di compleanno di sua moglie Flora a Rio. Il suo consiglio preziosissimo, anzitempo, molto prima che intraprendessi la carriera musicale come professionista: ad ogni concerto, devi suonare almeno un brano tuo.
Laura Littardi, cantante jazz italiana trapiantata in Francia e scomparsa nel 2024: è stata la mia prima maestra di improvvisazione jazz, una persona generosissima. Mi ha incoraggiata moltissimo a fare il «grande salto», e diventare professionista.
Riguardo gli ascolti: la musica brasiliana. Mi ci sono immersa come Obelix nel calderone di pozione magica. L’ho ascoltata quasi in modo esclusivo per anni, senza mai stancarmene ed è stata una scuola musicale, ritmica ed espressiva, complementare ai miei studi di pianoforte classico per esempio, e una porta d’accesso naturale al jazz. Il primo disco di una lunghissima serie è stato «Joao Gilberto live at Umbria Jazz». Per poi scoprire Buarque, Gil, Nascimento, Cartola, Pixinguinha etc etc.
Riguardo i momenti chiave: il mio primo concerto integrale a Parigi, con Roberto Stimoli e il nostro progetto Sambuca (mio gruppo di esordio a Parigi), nel 2018 o 2019, al 38Riv Jazz Club, dopo il quale una grand parte del pubblico era venuto a salutarmi, dopo il concerto; mi avevano trasmesso in modo molto spontaneo una commozione e un’emozione fortissime, e ci avevo messo un paio di giorni a riprendermi…
E infine il concerto di lancio di «Sembianze» al New Morning a Parigi: suonare in questo tempio della musica è stato semplicemente fantastico, felicità pura.

Stai già lavorando a nuovi progetti — musicali, performativi, visivi — o preferisci prenderti un tempo di assestamento esclusivamente dedicandoti alla promozione del disco?
Impossibile fermarmi da un punto di vista creativo e ho già cominciato a comporre nuova musica. Porto avanti i progetti di cui sopra, Italian standard con Nicola Sergio e l’attività live con i brasiliani Caio Marcio Santos e Julio Gonçalves; ma senz’altro in questo momento una gran fetta di energie è dedicata a continuare a lavorare perché «Sembianze» viaggi il più lontano possibile. Il mio scopo adesso è riuscire a portare Sembianze in Tour, sperando – non lo posso negare! – di riuscire a suonarlo anche in Italia. Del resto, i miei testi sono per lo più in italiano, è scontato che veda nel mio paese natale il mio pubblico naturale.
Alceste Ayroldi