«Out in the Street with You». Intervista ai Barbera Combo

E’ uscito il 5 dicembre per la Irma Records il nuovo album del trio formato da Christian Lisi, Maurizio Piancastelli e Roberto Rossi.

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Il vostro nuovo album, «Out in the Street with You», è finalmente fuori. Qual è stata la scintilla che ha dato origine a questo progetto?
«Out in the Street with You» è nato da una scintilla molto semplice: il bisogno di raccontare ciò che succede quando la musica smette di essere solo un lavoro da studio e torna a vivere in mezzo alle persone. Ci siamo accorti che alcune delle idee più forti nascono fuori, per strada, osservando la quotidianità, le dinamiche umane, le emozioni spontanee. Questo progetto è stato l’occasione per trasformare quella energia in un percorso musicale: suoni più diretti, atmosfere più vive, e una scrittura che non avesse paura di essere sincera. Volevamo un album che suonasse «in movimento».

Che cosa significa per voi questo album?
Per noi ha significato moltissimo, perché viviamo nello stesso paese, abbiamo suonato in tanti progetti diversi, ma paradossalmente mai in uno davvero nostro. Questo album è stato il nostro vero punto d’incontro: un momento in cui ci siamo finalmente fermati, guardati e abbiamo deciso di creare qualcosa che ci rappresentasse al 100%. Da quell’incontro è nato un movimento musicale che rispecchia esattamente ciò che amiamo fare: uscire dal nostro mondo, dal comfort dello studio, e lasciarci contaminare dall’energia vera

Dal punto di vista sonoro, quali sono le principali novità rispetto ai vostri lavori precedenti?
Dal punto di vista sonoro, la novità principale nasce proprio dal fatto che questo album segna l’esordio del trio. Abbiamo scelto un suono volutamente crudo e scarno, dovuto all’assenza di uno strumento armonico come chitarra o pianoforte. Questo lascia all’ascoltatore lo spazio per immaginare la propria tessitura armonica, un po’ come accade quando si legge la descrizione di un paesaggio e ognuno lo visualizza a modo suo. È un approccio che rende il nostro sound più personale e aperto.

Parliamo della composizione: come si sviluppano i brani del disco?
La composizione dei brani è partita da una ricerca approfondita del nostro bassista, Christian Lisi, che ha creato le idee portanti e l’impianto iniziale di ogni pezzo. Da lì il lavoro è diventato collettivo: abbiamo sviluppato insieme le strutture, le dinamiche e il carattere dei brani, lasciando che ogni membro del trio portasse la propria sensibilità.

Come nasce il Barbera Combo e cosa vi ha fatto capire che il trio era la vostra forma ideale?
Abbiamo capito che il trio era la nostra forma ideale perché è un tipo di progetto particolare: ti costringe a dare di più, ma allo stesso tempo a togliere il superfluo. Dal punto di vista musicale richiede grande compattezza, ascolto reciproco ed energia costante. Non puoi nasconderti dietro nulla, ogni gesto conta. Ed è proprio questo che ci ha affascinati: la possibilità di creare un suono essenziale ma potente, dove ognuno di noi ha lo spazio per esprimersi e allo stesso tempo per sostenere l’altro.

Il nome che avete scelto da dove nasce?
Il Barbera Combo nasce prima di tutto dalla nostra natura di buongustai… perché sì, il Barbera ci piace davvero! Scherzi a parte, da quell’ironia iniziale è nato un nome che rispecchia bene lo spirito del gruppo: genuino, diretto e con un carattere deciso.

Come definireste il vostro approccio al jazz?
Potremmo dire che è piuttosto spontaneo e dipende molto dai compagni di viaggio e dalle esperienze che ognuno di noi porta con sé. Più che approcciare il jazz come genere, abbiamo utilizzato gli elementi del jazz per approcciare la musica di questo progetto: l’improvvisazione, l’ascolto, la libertà di sviluppare idee armoniche e melodiche senza vincoli rigidi. Alla fine siamo tre «diversamente giovani», con percorsi musicali ampi e molto diversi: nel nostro suono c’è un po’ di tutto ciò che abbiamo fatto finora. Il jazz, per noi, è soprattutto un modo di stare nella musica, non un recinto stilistico.

Quali sono i musicisti che vi hanno influenzato maggiormente?
Le nostre influenze arrivano da un percorso musicale molto vario. Siamo cresciuti ascoltando i grandi del rock come David Bowie, Led Zeppelin, Jethro Tull e Pink Floyd, per poi lasciarci travolgere dall’R’n’B di Al Jarreau, Marvin Gaye, Stevie Wonder e dalla forza dei gruppi funk. Il jazz, in tutte le sue sfumature, è sempre stato una sorta di filo conduttore, un riferimento continuo. E allo stesso tempo ci hanno influenzato tantissimi musicisti di strumenti diversi, dai grandi trombettisti come Miles Davis fino ai bassisti come Miroslav Vitous e Dave Holland. Per noi la musica è un grande mix da cui assorbire idee e trasformarle in qualcosa di personale e autentico.

Com’è il vostro rapporto con il pubblico durante i live?
Il rapporto con il pubblico durante i live è un vero e proprio dialogo invisibile: ogni serata è diversa e speciale. A volte sentiamo subito una sintonia incredibile, e l’energia che arriva dalla sala ci spinge a suonare in modo più spontaneo e vibrante; altre volte partiamo più tranquilli, ma basta un attimo sul palco per far scattare la magia. Ci piace pensare al pubblico come a dei compagni di viaggio: più siamo sinceri e presenti nella nostra musica, più la risposta degli ascoltatori diventa parte integrante dello spettacolo. Gli applausi, gli sguardi, l’attenzione di chi ci ascolta ci raccontano storie ed emozioni; e trasformano ogni concerto in un’esperienza unica, viva e condivisa.

Quali sono le vostre considerazione sul sistema jazzistico italiano, dal punto di vista organizzativo, economico, politico e giuridico?
Il sistema jazzistico italiano, in realtà, riflette molto le dinamiche della musica in generale. Ci sono sfide legate alla professione del musicista, che riguardano aspetti economici, organizzativi e normativi, ma questo non toglie il valore e la vitalità del settore. In Italia esiste una rete davvero ricca di festival, anche a livello locale, che offrono spazi importanti per far ascoltare e vivere la musica dal vivo. Ci sono poi numerose scuole e percorsi formativi che permettono di trasmettere conoscenze e passioni, creando nuove generazioni di musicisti.
Da questo punto di vista, il sistema è positivo e pieno di opportunità: con passione, impegno e collaborazione tra artisti, organizzatori e istituzioni, si può continuare a crescere, innovare e portare avanti la cultura musicale italiana, incluso il jazz, in modo sempre più professionale e creativo.

Invece, qual è il vostro rapporto con le tecnologie e con i social media?
Siamo sempre curiosi di scoprire come funzionano le nuove tecnologie. Per quanto riguarda i social media è chiaro che bisogna stare al passo con i tempi e capire come usarli per promuovere la musica. Diciamolo: non è proprio il nostro mondo naturale – siamo un po’ «vecchietti», per scherzare –, ma fa parte della realtà attuale e offre strumenti preziosi per far conoscere il nostro lavoro. Se usati bene, i social possono davvero amplificare la musica, creare connessioni con chi ci ascolta e permetterci di condividere ciò che facciamo in modo efficace e creativo.

Quali sono i vostri progetti futuri come trio?
Ci piacerebbe fare una tournée nei locali e nelle osterie, giusto per assaggiare il Barbera! Scherzi a parte, vogliamo portare la nostra musica dal vivo e partecipare ai festival, perché il jazz prende vita sul palco. Oggi fare progetti a medio-lunga scadenza nel jazz è coraggioso, ma ognuno di noi ha idee che potrebbero diventare un prossimo album. Per ora il nostro obiettivo è far crescere il trio dal vivo: il feedback del pubblico ci aiuta a migliorare l’intesa e a rendere le performance sempre più vive ed emozionanti.

Invece, singolarmente, per ognuno di voi?
Singolarmente, ciascuno di noi ha diversi progetti in ballo. Passiamo molto tempo in studio di registrazione, dove ci rinchiudiamo per creare le prime bozze dei brani, e allo stesso tempo continuiamo a suonare live con altri progetti personali. È un equilibrio tra la concentrazione sul trio e le esperienze musicali che ciascuno porta avanti.
Alceste Ayroldi

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