«D-Segni». Intervista ai Guappecarto’

Nasce a Perugia nel 2004, ma si lascia adottare da Parigi. Il duo formato da Braga (al secolo Pierluigi D’Amore) e Mala (ovvero Marco Sica), pubblica un nuovo avvincente album, che è anche un libro. Ne parliamo con loro.

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Per iniziare, volete raccontarci brevemente le origini del nome Guappecarto’?
Braga: Guappecarto’ viene dal napoletano «Guapp ‘e cartone» ed indica una persona che si atteggia a guappo (che è una figura al limite del malavitoso, a volte proprio malavitoso, molto rispettato nel quartiere, e dunque desiderabile), non riuscendoci e risultando dunque goffo. È un modo per non prenderci troppo sul serio, perché in fondo nei confronti della vita, che resta sempre più grande di noi, siamo un po’ tutti Guappi di cartone.
Mala: È nato per scherzo nella Val Di Chiascio, quando stavamo lavorando alle musiche di «Uroboro» di Madeleine Fischer nel 2004. a Madeleine piacque moltissimo, ricordo che disse: «è fantastico! Nulla di più serio del ridicolo, nulla di più ridicolo del serio.».

Come e quando è iniziato il vostro progetto musicale? Quali sono state le prime tappe importanti?
Braga: Nel nostro ultimo lavoro, «D-Segni», raccontiamo, tra le altre cose, proprio questo: ogni brano è legato a una tappa fondamentale della nostra storia. Di sicuro c’è la partenza per Parigi, la prima notte al Casinò di Montecarlo, l’incontro col nostro produttore Stefano Piro.
Mala: È iniziato tutto dall’incontro con Madeleine che ci ha praticamente preso dalla strada e iniziato all’arte con la «A» maiuscola. Quando vivevamo nel suo castello, nei primi anni 2000, lei si prendeva cura di noi amorevolmente, ci trattava con grandissimo rispetto come se fossimo già dei grandi artisti. Era sempre festa e sembrava un sogno. La prima tappa fondamentale, dopo aver lasciato il «magico nido», sicuramente è stata il 59 Rue De Rivoli, uno squat, occupato da artisti di tutto il mondo, in cui abbiamo vissuto i primi tempi a Parigi. Li abbiamo scoperto che la vita d’artista era tutt’altro che facile. La famosa gavetta ci toccava e nonostante le mille difficoltà non ci siamo mai tirati in dietro.

Nel vostro percorso molti elementi «non convenzionali» hanno fatto parte della vostra identità (musica di strada, performance artistiche, collaborazioni interdisciplinari). Ci raccontate un episodio che vi rappresenta bene?
Braga: potrei citarne tanti… Un aneddoto curioso è l’acquisto rocambolesco del nostro primo furgone, ribattezzato Pasqualino, in onore del pittoresco personaggio che ce lo aveva venduto in provincia di Caserta. Un vecchio Ducato, che dopo una breve carriera come antisommossa della polizia era passato alla protezione civile e ora, chissà per quale motivo, giaceva in pensione nel giardino del signor Pasqualino, appunto. Andammo a vedere il mezzo con il nostro meccanico, per accertarci che fosse in buone condizioni, ma il signor Pasqualino, offeso terribilmente da quella che riteneva una mancanza di fiducia nei suoi confronti, si rifiutava di farlo visionare al meccanico. Temevamo a questo punto che il Ducato nascondesse dei problemi. Come se non bastasse, il tizio chiamò i suoi tre figli ad aiutarlo, molto muscolosi e minacciosi. Si stava mettendo male. Dopo estenuanti trattative durate ore ed ore, il signor Pasqualino concesse una rapida visita al furgone, ma solo al meccanico «scortato» da uno dei suoi inquietanti figli, e sorpresa! Il furgone era in buone condizioni. «Il motore è una bomba!» disse il meccanico. Peccato che tutto il resto fosse un po’ in decadenza, ma poco importava, avevamo un furgone tutto nostro. Diventammo anche amici col signor Pasqualino e i suoi tre figli!
Mala: Ahahahah e poi ci sarebbero anche altri episodi che ci rappresentano ma non si possono raccontare.

La vostra musica è una fusione di tanti generi: tzigano, mediterraneo, valzer, tango, elementi classici, elettronica e contaminazioni moderne. Quali influenze (artisti, generi, esperienze personali) vi hanno formato di più?
Braga: penso che in ogni momento della nostra vita sia stata caratterizzata da un’influenza dominante, ma un punto di svolta è stato vivere Parigi, che ci ha messo in contatto con musiche provenienti da ogni parte del mondo, coi suoi ritmi e le sue sonorità: tutta roba che abbiamo filtrato e riproposto a nostro modo, fondendola col bagaglio culturale che ci portiamo dietro…
Mala: Potremmo citare alcuni artisti famosi che ascoltavamo in furgone: Schönberg, Syd Barrett, Baden Powell, Vivaldi, Bregovic, Beethoven, The Exploited, Astor Piazzola, Eric Satie, Franco Califano, Nick Cave, Godspeed You! Black Emperor, David Bowie, Ennio Morricone, Philip Glass, Keith Jarrett, Jimi Hendrix, Lucio Battisti… Mi fermo?

Quando scrivete un brano, come nasce il processo creativo?
Braga: la genesi di un’intuizione musicale è a volte un processo molto intimo, il risultato di energie di segno opposto che infuriano dentro e che a un certo punto trovano sfogo e soluzione in un’espressione musicale. Quando queste idee primordiali vengono condivise in gruppo si trasformano, si ordinano e prendono vie inattese. Non abbiamo un unico metodo, comunque: per esempio, in «D-Segni», alcuni brani sono il frutto di un lavoro fatto su idee precedenti, ma in altri abbiamo sperimentato anche la scrittura estemporanea lasciandoci guidare da immagini.
Mala: Ogni brano è una creatura per noi con la sua personalità e la sua storia.

C’è una canzone del vostro repertorio che pensate racchiuda l’anima di Guappecarto’? Se sì, quale e perché?
Braga: non saprei… l’anima di Guappecarto’ è per me la libertà, e ogni brano rappresenta un grado di questa libertà.
Mala: per me il grado più alto di libertà lo raggiungiamo con Delicate Infiorescenze. Emotivamente è un brano molto impegnativo da suonare, lo facciamo solo quando ce la sentiamo veramente ed è ogni volta è un momento di grandissima commozione.

Parliamo del vostro ultimo album «D-Segni». Un lavoro articolato, visto che è sì un disco, ma anche un libro. Qual è la genesi di questo progetto?
Mala: Dopo la morte di Madeleine, scavando fra i ricordi, ho ritrovato questo libro che lei aveva scritto, Segni, e che mi aveva regalato nel 2004. Ho avuto l’idea di farci guidare dal materiale del libro per la scrittura di quello che sarebbe diventato «D-Segni».
Braga: Quando ci siamo resi conto che il libro di Madeleine aveva come concetto di fondo la circolarità dell’esperienza umana, fatta di cicli, ci siamo resi conto che parlava anche di noi, poiché eravamo arrivati alla fine di un ciclo e dovevamo decidere se aprirne un altro o meno: abbiamo dunque cercato di esprimere questo tema attraverso la nostra storia. Il libro che accompagna «D-Segni» nasce proprio dall’esigenza di aiutare l’ascoltatore a orientarsi all’interno delle molteplici chiavi di lettura dell’album.

«D-Segni» è descritto come un concept album che nasce da un’eredità artistica – il libro Segni di Madeleine Fischer. Potete raccontare come questo libro vi ha guidati nella scrittura e nella costruzione dell’album?
Braga: abbiamo aperto le 80 tavole di immagini ed aforismi sul pavimento e ci siamo lasciati guidare da esse: ne è nato un processo creativo che ci ha portato ad accumulare molto materiale, su cui abbiamo poi lavorato legandolo alla narrazione della nostra storia. Alla fine abbiamo scelto 32 tavole, ed ogni brano è ispirato ad alcune di esse.

In che misura la morte di Madeleine Fischer ha influenzato la direzione di questo album?
Braga: come dicevamo prima, la morte di Madeleine ha totalmente generato l’album: sei lei non fosse venuta a mancare avremmo fatto un altro album.
Mala: Poco prima di morire eravamo andati a trovarla, stava già molto male ed era consapevole che la sua situazione non sarebbe migliorata ma nonostante questo, con estrema lucidità, ci propose di realizzare un nuovo ambizioso progetto. Se ci pensi alla fine questo «D-Segni» lo abbiamo fatto insieme a lei anche se non c’è più

L’album è stato anticipato dal singolo Requiem per Alieni. Quale ruolo ha questo brano nella narrazione dell’album?
Braga: rappresenta la partenza per Parigi: alla scoperta del mondo con la lucida incoscienza del sognatore allo sbaraglio.
Mala: L’inizio del viaggio con le sue prime esperienze…

Avete fatto uso di nuovi strumenti o tecniche (synth, elettronica, suoni non convenzionali) per questo album? Quali e come li avete integrati?
Braga: è stato tutto molto naturale: ognuno ha portato in studio tutti gli strumenti in suo possesso, e con essi abbiamo giocato, anche usandoli in modi non canonici, cercando di far uscire dei suoni da ogni oggetto che ci capitasse a tiro, o da parti di strumenti in genere non considerate suonabili…
Mala: É stata un’esperienza unica, non avevamo freni, un salto nel vuoto in caduta libera.

Che ruolo ha la memoria in questo lavoro? E lo spazio del «vuoto» (segni e spazi bianchi) come lo avete inteso?
Braga: la memoria ha dato forma e ordine alle nostre idee e ci ha permesso di esprimere al meglio il concetto di fondo di Segni di Madeleine. Spesso ignoriamo i segni che ci si presentano davanti, noi questa volta li abbiamo seguiti e abbiamo occupato lo spazio bianco nel modo migliore che conosciamo, la musica.
Mala: La memoria è il lavoro di ricerca dei segni scritti dentro di noi, che ci guidano profondamente ad occuparsi del vuoto come opportunità di ricreare, a nostra volta, dei nuovi segni.

Se doveste indicare uno sviluppo possibile o un “dove” del prossimo progetto dopo «D-Segni», quale direzione esplorerete?
Braga: andremo dove ci porterà la curiosità e il bisogno di libertà, non possiamo sceglierlo a priori.
Mala: «D-Segni» è la nostra nuova identità, sarà lei ad indicare la direzione, noi la seguiremo.

Guappecarto’
Foto di Danilo Sama

Siete stati spesso «migranti per scelta»: avete suonato in strada, vivete anche a Parigi, vi siete confrontati con contesti diversi. Come queste esperienze vi hanno plasmato come persone e come musicisti?
Braga: viaggiare tanto ti permette di allontanarti da te stesso, dai tuoi piccoli e a volte meschini egocentrismi, per riconoscere che ovunque e in tutti c’è una ricchezza, e dallo scambio disinteressato può nascere della bellezza.
Mala: ben detto! Penso che i viaggi servano proprio a ricercare quella bellezza, in ogni dove, nella gioia e nel dolore, in ogni incontro e anche in ogni scontro. Poi la musica è già un viaggio di suo, è una storia infinita e ti porta verso l’infinito

Nel disco Sambol – Amore Migrante avete reso omaggio a Vladimir Sambol, raccontando la sua migrazione e il peso del ricordo. Come avete scoperto questa storia e come l’avete tradotta in musica?
Braga: dopo un concerto in Liguria sua figlia Mirjam ci consegna un plico di spartiti di Vladimir, chiedendoci di farlo riviere (era deceduto) attraverso la musica: capimmo che non cercava dei semplici esecutori o arrangiatori, e infatti riscrivemmo praticamente il materiale lasciandoci ispirare da esso. È molto emozionante comparire come co-autori insieme a Vlado, perché ciò testimonia che la musica va ben oltre la nostra breve permanenza in questo mondo.
Mala: anche quella volta in un certo senso si trattava di segni, che riuscimmo a cogliere nel desiderio di Mirjam. Ricordo con grande emozione i giorni che trascorremmo insieme a lei e suo marito tra i ricordi, gli strumenti, le foto e gli spartiti di Vlado.

Il legame con il cinema, il teatro e le arti visive è forte: avete collaborato a colonne sonore e a spettacoli multidisciplinari. Che vantaggi e sfide avete incontrato nel lavorare su progetti che uniscono immagini e musica?
Braga: apparentemente sembra un lavoro diverso dal solito, in quanto si mette la musica al servizio delle immagini: in realtà poi ti rendi conto che è quello che facciamo normalmente quando cerchiamo di trasformare emozioni, ricordi e sensazioni in suoni…
Mala: infatti ma è anche sorprendente scoprire che la tua musica può diventare tutt’altro… Un brano triste con delle immagini allegre crea una cosa nuova, diversa, oppure una composizione sfrenata con una danza lentissima qualcosa di inaspettato… Ripenso a quella volta in cui suonammo alla Philarmonie di Parigi con i detenuti del carcere di Meaux. Per quelle persone la nostra musica significava libertà. Il senso profondo del fare musica lo si trova nella condivisione con l’umano.
Alceste Ayroldi

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