Tra le perle della programmazione di JazzMi 2025, il doppio set milanese di Dave Holland spiccava come uno degli appuntamenti imperdibili del festival. Da quasi sessant’anni, Holland rappresenta lo stato dell’arte del contrabbasso jazz: un maestro che unisce virtuosismo tecnico e profondità musicale, capace come pochi di far “cantare” lo strumento. Ma ciò che più lo distingue è la visione musicale, autentica e personale, mai compiaciuta e sempre proiettata verso nuove direzioni sonore.
Per l’occasione, il contrabbassista era affiancato da due partner di lungo corso: Jaleel Shaw al sax contralto e Nasheet Waits alla batteria. Un trio agile e compatto, perfettamente calibrato per esaltare la libertà e la precisione che contraddistinguono la musica di Holland. Il secondo set si è aperto con una commuovente versione estesa di Four Winds, brano simbolo tratto da «Conference of the Birds» (ECM, 1973), album cardine non solo nella carriera del musicista ma nella storia del jazz del Novecento. Le linee di basso, solide e insieme liriche, dialogavano con le incursioni taglienti di Shaw e con l’infaticabile tessitura ritmica di Waits, in un gioco continuo di scomposizione e ricomposizione tematica che ha conquistato la platea sin dalle prime battute.

Con tono cordiale, Holland ha anche ricordato dal palco i suoi trascorsi milanesi alla fine degli anni Settanta, quando suonava con il trio di Sam Rivers tra il Teatro Ciak e i club limitrofi al capoluogo meneghino. “Mi ricordo la nebbia e i rientri alle due di notte”, ha raccontato con un pizzico di nostalgia, in un momento di autentica connessione con il pubblico.
Il concerto è poi proseguito alternando brani originali di diverse epoche, in un equilibrio perfetto tra delicate ballad e deflagrazioni sonore dal groove irresistibile. La sezione ritmica, come sempre, era un motore di idee: Waits, tra i più sensibili e creativi batteristi della sua generazione, ha mostrato un controllo dinamico e timbrico magistrale. Shaw, spesso conosciuto soprattutto come sideman (in particolare per la sua militanza nel gruppo di Roy Haynes), ha offerto una performance di straordinaria intensità, cesellando ogni frase con lucidità e fervore inventivo.
Dopo quasi sessant’anni di carriera, Dave Holland continua a incarnare una rara forma di libertà musicale: quella che nasce dal rigore, dall’ascolto e dalla intesa telepatica con i propri compagni di viaggio. Il concerto al Blue Note non è stato solo un ritorno, ma l’ennesima riconferma (qualora ce ne fosse stato bisogno): il “leone” ha ruggito ancora, e con la stessa forza visionaria di sempre ha ricordato al pubblico perché il jazz, nelle mani dei suoi grandi interpreti, resta una musica di scoperta e di emozione pura.