Buongiorno Ivan, benvenuto a Musica Jazz. Parliamo di «Penuka», l’album che hai realizzato su commissione della Global Oslo Music e che è stato finanziato dal Consiglio delle Arti Norvegese. La commissione ti ha imposto temi e regole o eri libero di comporre come preferivi?
La commissione della Global Oslo Music, sostenuta dal Consiglio Norvegese delle Arti, mi ha dato piena libertà artistica. L’unica aspettativa era quella di esplorare il dialogo musicale interculturale, che era perfettamente in linea con la mia visione. Ero libero di immergermi nelle connessioni storiche e spirituali tra le culture africana, araba e indiana attraverso il jazz.
Ti va di parlarci dei musicisti che hanno suonato con te e di come e perché li hai scelti?
Ho collaborato con artisti provenienti da Cuba, Norvegia, Mali, India, Pakistan, Marocco, Senegal, Gambia e Zimbabwe. Ognuno ha portato il proprio linguaggio culturale: i groove gnawa, le tabla indiane, i vocalizzi wolof. Molti di loro hanno una lunga esperienza di collaborazione con artisti di altre culture. Molti sono miei collaboratori di lunga data, come Per Mathisen (basso), Raciel Torres (batteria) e Olav Torget (chitarra/ngoni). La loro versatilità e la loro profonda empatia musicale li hanno resi ideali per questo progetto.
Hai proceduto a mettere insieme ritmi e strutture armoniche appartenenti a mondi musicali diversi. Come hai agito in fase di composizione per ottenere suoni chiari e coerenti come quelli del tuo album?
Comincio con l’ascolto, un ascolto profondo. Studio i cicli ritmici del tala indiano, i sistemi modali del maqam arabo e i poliritmi africani. Poi abbozzo strutture armoniche che permettono a questi elementi di coesistere. L’improvvisazione jazzistica aiuta a collegarli, creando coerenza senza perdere autenticità.
Qual è il tuo background culturale e quando hai iniziato a suonare?Sono nato a Maputo, in Mozambico, durante la guerra civile. Mio padre mi ha regalato una piccola tastiera per incanalare la mia energia. Ho studiato pianoforte classico, poi strumenti a fiato e successivamente jazz all’Università di Città del Capo. Le mie radici affondano nella marrabenta, nella bossa e nella samba, nello zouk, nel fado e nei ritmi tradizionali mozambicani.
Alceste Ayroldi