Buongiorno Laura, prima di parlare di te, vorrei iniziare a parlare del tuo ultimo disco, freschissimo di stampa: «Flowers are Blowing in Antarctica», e partire subito dal titolo di questo disco e dal suo significato. Ce lo vorresti spiegare? Qual è la tua fonte d’ispirazione per questo disco?
Il titolo nasce da una frase che ho letto per la prima volta su un post Instagram di Extinction Rebellion, facendo poi una ricerca ho trovato articoli di divulgazione scientifica che spiegano come specie floreali siano sempre esistite in Antartica, ma siano adesso in forte crescita a causa del surriscaldamento globale. E’ un’immagine che ho trovato fortemente poetica, mi sembra racchiudere un senso di fine con un senso di inizio. Le fonti di ispirazioni sono di varia natura, per sintetizzare potremmo dire che si tratta di un concept che immagina una musica proveniente un’ Italia oramai tropicalizzata, idealmente collocata nel 2087.
Chi c’è al tuo fianco?
E’ un disco molto corale, che vive di uno scambio intenso con molti musicisti. In primis Giacomo Bertocchi (sax alto, flauto, clarinetto) Edoardo Grisogani (percussioni, drum pad) e Giulio Stermieri (farfisa, synths, assistente alla produzione) con i quali ho inciso 4 brani su 8 in presa diretta in una formazione a quartetto dove prima di entrare in studio c’è stato un gran lavoro di squadra che li ha visti partecipare in vario modo anche al processo compositivo. Un’altra metà del disco ha avuto invece una genesi meno live, più da produzione in studio, e vede comparire anche Ramon Moro alla tromba, Giovanni Minguzzi alla batteria e Teguh Permana al tarawangsa.
Mi sembra che in questo disco tu abbia pensato ancor di più – rispetto al tuo precedente lavoro – in termini jazzistici. Mi sbaglio?
E’ sicuramente un disco più arrangiato e con molto più interplay dei miei lavori precedenti, le sezioni di fiati sono spesso protagoniste e la propulsione ritmica è più presente, quindi sì, questi due aspetti possono risultare più “jazzistici”.
Come hai agito in fase compositiva? Quanto c’è di scritto e quanto di improvvisato?
I temi, quando presenti, sono scritti, così come (quasi tutte) le bass line e i beat, siano essi suonati o elettronici. Ma non solo, anche le strutture non sono lasciate al caso. Di improvvisato ci sono i momenti solistici e le parti elettroniche più strutturali che nascono da sperimentazioni libere dalle quali poi ho successivamente selezionato gli estratti che mi erano più funzionali per essere integrati con altri elementi in fase di sovraincisione.
Laura, ti senti una sperimentatrice?
Sì, mi piace pensare alla mia musica come sperimentale nel senso più letterale del termine: settare delle condizioni, innescare dei processi senza aver un preciso risultato in mente, ma cercando di mantenere il rigore dei presupposti per osservare il risultato finale e trarre conclusioni per gli esperimenti successivi.
Quali sono le tue fonti di ricerca in ambito musicale?
La mia è una ricerca prevalentemente timbrica, ma non solo. In questo disco ho cercato di far un lavoro anche sulla struttura dei brani, sul loro evolversi.
Quanto incide la tua formazione accademica nel tuo modo di concepire la musica?
Dipende dal progetto a cui sto lavorando. In questo disco non mi sembra ci siano influenze accademiche, emergono molto di più degli ascolti che ho coltivato al di là del mio percorso di studio. Ma magari mi sbaglio! Per altri progetti, come ad esempio il mio lavoro site specific «UBI CONSISTAM», riesco a sentire molto di più l’influenza dei miei studi all’Institute of Sonology, nelle metodologie messe in campo ad esempio.
Sai disegnare magistralmente dei paesaggi sonori. Qual è il tuo paesaggio ideale?
Se parliamo di paesaggio sonoro, non ne ho uno ideale, è una questione di framing, come per la fotografia. Non è il cosa fotografo, ma è come inquadro e scatto. In maniera analoga è per l’ascolto, non penso sia questione di cosa ascolto, ma di come decido di ascoltare in un dato momento.

La tua musica ha corredato anche i lavori coreografici di Annamaria Ajmone. In questo caso, hai dovuto modificare il tuo abituale modo di comporre?
Quello con Annamaria è un progetto in cui abbiamo cercato di scardinare i ruoli classici di musicista e danzatrice, quindi in questo senso non penso si possa dire che la mia musica “correda” le sue coreografie, anzi il processo è stato completamente orizzontale, tant’è che il progetto porta entrambi i nomi, come avviene per un duo in musica. La performance che portiamo in giro si chiama BLEAH!!! ed è stata concepita prendendo ad ispirazione l’opera della poetessa visiva fiorentina Lucia Marcucci. Lavorare con Annamaria è stato molto stimolante, mi ha spinta a mettermi tantissimo in gioco a livello performativo, spingendomi in territori per me inesplorati.
Laura, perché sei andata a studiare in Olanda? Cosa c’è qui in Italia che non va?
Sono inizialmente partita per far un corso di un anno all’Institute of Sonology, ad esso si accede solo sulla base di un portfolio, senza bisogno di esami d’ingresso: avevo già 26 anni e due lauree (prese in Italia!) e ai tempi non trovavo tipologie analoghe di corsi in Italia. Poi, mi son fermata e ho preso anche un master. Il tutto con una retta poco più alta di quella italiana, ma con un’offerta di attrezzature e di varietà didattica molto più ampia.
Visto che la tua musica è molto visiva, cinematografica, quale sarebbe il plot del film che ti piacerebbe musicare?
Sicuramente mi piacerebbe musicare film di fantascienza, ancor meglio se si trattasse di un film cli-fi, termine che ho recentemente scoperto, che unisce il sci-fi a climate, quindi una sorta di climate-fiction, in fondo questo disco è un po’ una colonna sonora immaginaria per il 2087, come emerge dal testo che trovate sul vinile.
Qual è la tua opinione sulle piattaforme streaming?
E’ un discorso molto complesso. Sono certamente un sistema di commercio della musica profondamente non etico, perché non tutelano in primis i creatori, chi la musica la fa e senza i quali non esisterebbe il prodotto stesso che viene venduto. Spotify ha poi l’aggravante di reinvestire i propri utili in tecnologia militare, motivo ulteriore per non essere utenti. Tuttavia è innegabile che viviamo nell’era della musica liquida e soluzioni più etiche su larga scala non sono così facili da concepire e portare avanti. Detto ciò: nel mondo in cui viviamo comprare un disco di un’artista indipendente, edito da un’etichetta indipendente, è un gesto politico di grande significato e la mia eterna gratitudine va a chi compie gesti di questo tipo; una cosa è certa: con le visualizzazioni e gli stream non riusciamo sicuramente a finanziare il disco successivo e a creare nuova musica.

E, visto che ci siamo, qual è il tuo rapporto con i social media?
Sono molto noiosi, ma non mi sottraggo dall’ usarli perché so che è lì che posso comunicare molte informazioni vitali per diffondere il mio lavoro su larga scala. Se potessi, non li userei e ammetto di non esser molto fantasiosa nel cercar soluzioni, ci ho provato solo creando una newsletter, che però aggiorno raramente. In ogni caso ci si può iscrivere a questo link: eepurl.com/g3NhQf
Parlando di rapporti, qual è il tuo rapporto con il jazz?
Ecco la domanda scottante che temevo! Devo ammettere che ho un rapporto decisamente controverso con questa parola… Non ho una formazione jazz, e se devo collocare i miei ascolti e riferimenti preferisco usare il termine “musica afroamericana”, più omnicomprensivo di cose che mi interessano. Inoltre il circuito jazz non è quello in cui mi esibisco di solito (con qualche rara eccezione) né quello da cui traggo la maggior parte delle mie collaborazioni… eppure eccomi qua, intervistata su Musica Jazz!!
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Mi piacerebbe tanto aver occasione di suonare fuori dall’Europa, ad oggi non mi è mai capitato.
E quali sono i tuoi prossimi impegni?
Ad oggi con il trio con cui sto portando in giro il disco, composto da me (sax tenore, elettronica), Edoardo Grisogani (percussioni, synth) e Jacopo Buda (tromba, synth), abbiamo due date in programma per Aprile (Bologna, Firenze) e a alcuni festival a giugno (Ferrara sotto le Stelle, Handmade, Jazz is Dead). Ne arriveranno sicuramente altre nei prossimi mesi.
Alceste Ayroldi