Cormòns, Teatro Comunale
Collio, varie sedi
Nova Gorica, Kulturni Dom
Vila Vipolže
La terza giornata di Jazz & Wine of Peace, sabato 24 ottobre, si è aperta con il proverbiale concerto mattutino alla Kulturni Dom di Nova Gorica, ospite la pianista greca Tania Giannouli in trio con Jean-Paul Estiévenart (tromba) e Kyriakos Tapakis (oud). Dalla ripetizione di arpeggi pianistici, dal soffiato della tromba e con il successivo ingresso dell’oud, il trio riesce a costruire delle raffinate cellule melodiche e delle progressioni attraverso l’attenta esplorazione ed intensificazione delle dinamiche. Giannouli opera spesso sul registro grave, accentuando la componente ritmica anche mediante degli ostinato, e costruisce delle intelaiature spesso basate su tempi dispari, logica conseguenza del retroterra culturale balcanico. Inoltre, arricchisce la gamma timbrica con efficaci preparazioni e cura meticolosamente la componente melodica, asciutta e incisiva. Tutti questi aspetti consentono a Estiévenart di ritagliarsi spazio per interventi in cui il fraseggio si espande e si libra, rompendo le gabbie ritmiche e armoniche. Per parte sua, Tapakis (che vanta collaborazioni con innumerevoli musicisti di varia estrazione, tra cui Sokratis Sinopoulos e Savina Yannatou) dispensa preziosi intarsi, sottolineando il legame tra Balcani e Medio Oriente.

Il concerto pomeridiano alla Villa Codelli di Mossa ha messo in luce la poetica della violinista Anaïs Drago in trio con Federico Calcagno (clarinetti) e Max Trabucco (batteria). In pratica la stessa formazione con cui la violinista piemontese ha inciso l’eccellente «Relevé» (We Start). Musica vibrante, caratterizzata da frequenti cambi metrici, uso efficace di tempi dispari, frammentazione ritmica, temi scattanti e incisivi, occasionali sconfinamenti in aree atonali, crescendo impetuosi. Tutti questi aspetti sono gestiti con grande controllo delle dinamiche e si coniugano con una palpabile gioia di suonare. Drago possiede un suono e un fraseggio nitidi, che certamente le derivano dalla formazione classica. Nei passaggi più avventurosi si colgono elementi ricollegabili al primo Jean-Luc Ponty e a Zbigniew Seifert. Tra parentesi, l’anno scorso Drago ha conseguito il prestigioso premio alla Seifert Competition di Cracovia, intitolato al grande e sfortunato violinista morto nel 1979 a trentatré anni. Per pulizia e rigore quasi cameristico il suo stile è apparentabile a quello di Dominique Pifarély e Mark Feldman. Altro musicista in prepotente ascesa, Calcagno sposa in pieno questa propensione a osare e, specie al clarinetto basso, si cimenta in percorsi spericolati. Così facendo, si colloca sulla scia di altri specialisti europei dello strumento, quali Michel Portal, Willem Breuker, Louis Sclavis e Michel Pilz. In questo contesto Trabucco si inserisce con disinvoltura grazie a una varietà di figurazioni, scomposizioni e soluzioni dinamiche.

Per un evento della rassegna Jazz and Taste presso l’azienda Kranjscek in località Ossario, Silvia Bolognesi ha dedicato una breve, ma sentita, performance solistica alla memoria di Mauro Bardusco che, in veste di direttore artistico del festival, l’aveva più volte invitata. La contrabbassista senese, da anni legata alla scena di Chicago anche come membro dell’Art Ensemble, ha tracciato un percorso ricco di riferimenti: al suo mentore e principale ispiratore William Parker, del quale ha riproposto Prayer; a Roscoe Mitchell; alla pratica della spoken word, tipica della cultura afroamericana e, nel caso specifico, ispirata ad Amiri Baraka. Il suono scuro, la potenza della cavata, il fraseggio scolpito e l’uso magistrale dell’arco fanno di Bolognesi la più «nera» tra gli specialisti europei dello strumento.

Dopo un nuovo sconfinamento in Slovenia a Vila Vipolže, altro appuntamento annuale del festival, il numeroso pubblico era curioso di assistere alla performance del quartetto Y-Otis, annunciato come esponente delle nuove istanze scaturite negli ultimi anni in seno al jazz europeo. Il gruppo è formato dal sassofonista tenore Otis Sandsjö, svedese ma residente a Berlino; dal pianista e tastierista inglese Dan Nicholls; dal bassista svedese Petter Eldh, autore di molte collaborazioni con il sassofonista norvegese Marius Neset e membro del trio Enemy; dal batterista Jamie Peet, attivo sulla scena olandese. Il quartetto incarna una tendenza ormai diffusa a incorporare nella propria proposta elementi desunti dalle musiche di consumo. Hip hop, jungle, funk, frammenti di indie rock creano una miscela pulsante in cui spicca il lavoro frastagliato, creativo e instancabile del batterista. Tuttavia, si genera un andamento circolare, senza sbocchi; una sorta di loop dettato dal sassofonista con frasi elementari, talvolta banali, che si annodano su sé stesse in un circolo vizioso. Nessuna apertura, nessuno spazio per l’improvvisazione. Ciò nonostante, la reazione di gran parte del pubblico è stata entusiastica.

La serata conclusiva al Teatro Comunale di Cormòns è stata dedicata a un evento fuori dai consueti canoni del festival friulano: il concerto del quartetto Calibro 35. Composto da Enrico Gabrielli (tastiere, sax tenore, flauto), Massimo Martellotta (chitarra e sintetizzatori), Roberto Dragonetti (basso elettrico) e Fabio Rondanini (batteria), il gruppo è dedito alla rielaborazione e all’arrangiamento di temi tratti prevalentemente da celebri colonne sonore o sigle televisive. Nel repertorio spiccano Mission Impossible, scritto da Lalo Schifrin; Gassmann Blues di Piero Umiliani, tema guida de I soliti ignoti; la sigla di Lunedì cinema, in origine eseguita da Lucio Dalla con gli Stadio; una versione (per la verità un po’ stiracchiata) di Chameleon di Herbie Hancock. Accomunati da un affiatamento che consente loro di realizzare giochi ad incastro e di attingere a una certa varietà timbrica, i quattro esecutori danno il meglio in alcune progressioni contraddistinte da tempi vertiginosi. Un intrattenimento piacevole e divertente per una parte degli ascoltatori; fuori contesto e ripetitivo, per gli altri.

La giornata finale, domenica 25, è stata inaugurata dalla performance mattutina del trio svizzero Knobil alla Tenuta Villanova di Farra d’Isonzo. Questo giovane trio deve il proprio nome alla contrabbassista e cantante Louise Knobil ed è completato da Chloé Marsigny (clarinetto basso) e Vincent Andreae (batteria). Knobil possiede una cifra indubbiamente originale, animata dalla verve della contrabbassista che spesso abbina la voce – anche in chiave ritmica – allo strumento, cantando testi leggeri e divertenti, ricchi di musicalità a dispetto dell’esile tessitura vocale. Molto interessante risulta anche la contrapposizione tra voce e clarinetto basso. L’approccio al contrabbasso è agile e denso di swing, forte di un pizzicato ben tornito e fluido, ottimamente coadiuvato dalla batteria. Una bella sorpresa, dalla quale è lecito aspettarsi nuovi e succosi frutti.

Sulla scia del recente «Senseless Acts of Love», la bassista Rosa Brunello ha presentato il proprio quintetto nella cornice della Villa Attems di Lucinico. Con lei Enrico Terragnoli (chitarra ed elettronica), Marco Frattini (batteria), Tamar Osborn (sax baritono e flauto) e Yazz Ahmed (tromba). La prima parte del concerto, in cui Brunello ha utilizzato il basso elettrico, è stata contrassegnata da ritmi funk, con innesti afro, r&b e reggae, unisoni e impasti tra i fiati, alcune aperture prodotte da flauto e tromba, qualche vago eco del jazz sudafricano trapiantato in terra britannica. Nella seconda parte, quando la bassista ha imbracciato il contrabbasso, le esecuzioni si sono indirizzate su un terreno modale decisamente più dinamico, garantendo più libertà e spazio per l’improvvisazione, e valorizzando la perizia dei singoli.

La XXVIII edizione del festival friulano si è chiusa con un bilancio certamente positivo. Il nuovo direttore artistico Enrico Bettinello ha lavorato sodo per mantenere un’impostazione il più possibile aperta e attenta ai fermenti della contemporaneità. Sul piano strettamente numerico, i numerosi concerti ed eventi collaterali hanno totalizzato quattordici tutto esaurito e ben 7500 spettatori, buona parte dei quali – va sottolineato – provenienti dalla vicina Austria. Sul piano organizzativo ci sarebbero semmai alcuni correttivi da apportare. Talvolta, gli orari di alcuni eventi erano troppo ravvicinati. Il set elettronico di Maria Chiara Argirò avrebbe potuto essere collocato in un ambiente diverso (e più consono alle esigenze del pubblico giovanile) da quello della cantina dell’azienda Gradis’ciutta. Il progetto didattico Brulicare, diretto dal sassofonista Dan Kinzelman in collaborazione con il conservatorio «Tartini» di Trieste, è stato sacrificato in un orario, le 13:00, assolutamente sfavorevole. Tutti fattori di cui certamente la direzione artistica e il Circolo Controtempo di Cormòns, motore della manifestazione, terranno conto per il prossimo futuro.
Enzo Boddi