A Bologna, in un Cinema Modernissimo strapieno, si capisce sin dalle prime battute che nella lunga rievocazione della figura di musicista di Paolo Zavallone c’è affetto, apprezzamento e sentita partecipazione. L’omaggio è infatti stato voluto, organizzato, messo a punto dalla figlia Cristina Zavalloni, che professionalmente ha seguito le orme del padre, pur mantenendo sempre una sua spiccata autonomia. Cristina Zavalloni è una delle più stimate cantanti jazz dell’odierno panorama italiano, e non solo di jazz, perché sconfina abitualmente verso la musica classica e il pop, sempre di raffinata qualità. Il padre ha iniziato, sì, immerso nel jazz, ma poi nel prosieguo della sua lunga carriera se n’è distaccato quasi completamente.
Ma perché il padre ha il nome Zavallone e la figlia Zavalloni? Il motivo viene spiegato nella storia biografica letta con sapienza drammaturgica dal music-teller Federico Sacchi, che ha aiutato Cristina nelle ricerche d’archivio, è co-autore dei testi e voce narrante dello spettacolo: il cognome vero è Zavalloni, ma alla fine degli anni Cinquanta venne scritto sbagliato in un bollettino d’ingaggio per la TV e dato che in quel periodo furoreggiavano Carosone e Buscaglione fu mantenuto l’errore facendo diventare Zavallone nome d’arte.

Seguire la sua biografia è come vedere in controluce il dipanarsi delle vicende della musica leggera e dello spettacolo italiani, dato che ne è stato protagonista, prima come Zavallone, poi come El Pasador, altro nome d’arte affibbiato a seguito di uno scambio di battute con l’amico e cantante Bruno Pallesi che, scherzando sui due prepotenti baffoni che si era fatto crescere e sulla sua provenienza romagnola (Zavallone era nato a Riccione nel 1932), tirò fuori la figura del ladro gentiluomo ravennate Passator Cortese, dalla cui storpiatura si materializzò El Pasador.
Sono particolari e aneddoti che, assieme a tanti altri, si ritrovano nella storia della sua carriera raccontata in quasi due ore di rappresentazione, con l’aiuto di belle immagini proiettate nello schermo gigante della sala e con il sistematico inframmezzo di brani musicali legati al racconto, spesso composizioni dello stesso Pasador rielaborate. I brani sono stati suonati da un gruppo di eminenti jazzisti guidati da Cristiano Arcelli (sax e direzione musicale), con Giancarlo Bianchetti (chitarra), Manuel Magrini (pianoforte e tastiere), Stefano Senni (contrabbasso) e Alessandro Paternesi (batteria), cantati da Vincenzo Vasi, che ha interpretato la voce profonda baritonale inconfondibile di El Pasador (naturalmente facendovi spicco l’interpretazione della celeberrima Amada mia, amore mio) e da un coro composto da Cristina Renzetti, Valeria Sturba e la stessa Cristina Zavalloni, che per tutto il tempo s’è limitata a questa parte secondaria, ma efficace (bellissima la versione di Madrugada, altro successo del padre, che si basa molto sull’efficacia della resa del coro).

La carriera del tastierista, compositore, arrangiatore, cantante e direttore d’orchestra Paolo Zavallone è stata divisa in tre parti. Una prima, che inizia negli anni Cinquanta in quel di Bologna attraverso esperienze jazzistiche con Henghel Gualdi e Chet Baker e prosegue nei Sessanta con la formazione di un’orchestra da ballo fra le migliori in circolazione, che sapeva accontentare tutti gusti, come ai tempi era necessario fare, con un repertorio amplissimo comprendente, oltre ai più recenti hit nazionali e internazionali, anche valzer viennesi, tanghi, balli moderni e lenti.
La seconda parte è quella corrispondente al grande successo popolare dovuto alle apparizioni televisive, iniziata con l’ingresso a Radio Rai, continuata con la direzione artistica della Polaris, label nata nel 1970 come sussidiaria dell’etichetta Cgd, e terminata con l’ affermazione nei programmi di Rai 1 La Sberla e Non Stop, andati in onda dal 1977 al 1979. In essi El Pasador dirigeva l’orchestra, scrivendone anche le sigle e diventando celebre soprattutto per il successo internazionale di Amada mia, amore mio. Il 45 giri della canzone, che ricalca l’allora in voga Carioca di Tito Puente e che aveva scritto assieme a Celso Valli, una delle sue tante scoperte di talent scout, arrivò a vendere oltre venticinque milioni di copie.
Assieme al più giovane Mauro Malavasi, trombettista e compositore, fondò nella metà degli anni Ottanta la Paloma Records che si specializzò in quella che veniva definita “musica di servizio” o, per dirla all’inglese, library music, ovverosia sottofondi per sonorizzazioni filmiche e televisive. Erano dischi fuori commercio, ad uso esclusivamente dei programmatori radio-tv, e quindi risulta benvenuta la ristampa in LP di dodici tracce selezionate dal catalogo dell’etichetta sotto il titolo «Paloma Supersound» (Four Flyes Records). A suonare sono musicisti giovani scoperti da El Pasador che in seguito si sarebbero distinti fra le eccellenze del panorama della musica pop italiana: oltre a Malavasi, il sassofonista Rudy Trevisi, il chitarrista Paolo Gianolio, il bassista Davide Romani e il batterista Lele Melotti.
La terza e ultima parte della carriera del Pasador (che sarebbe morto a Bologna nel 2023, novantenne) lo vede collaborare per una ventina d’anni dal 1996 con lo Zecchino d’oro, componendo canzoni di divertita ironia e diventando l’arrangiatore dei cori affidati al Piccolo Coro del festival, mentre Mariele Ventre gestiva i bambini cantanti solisti. Nel finale del riuscitissimo spettacolo musicale a lui dedicato è stato affidato all’esecuzione delle Verdi Note dell’Antoniano, formato da cantanti del Piccolo Coro andati fuori età, la sua suggestiva composizione Gloria.
Aldo Gianolio