KAHIL EL’ZABAR’S ETHNIC HERITAGE ENSEMBLE «Open Me, a Higher Consciousness of Sound and Spirit»

di Aldo Gianolio

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AUTORE Kahil El’Zabar’s Ethnic Heritage Ensemble

TITOLO DEL DISCO

«Open Me, a Higher Consciousness of Sound and Spirit» ETICHETTA Spiritmuse Records
Il poliedrico percussionista, cantante e compositore Kahil El’Zabar (al secolo Clifton Blackburn, e a suo tempo anche presidente dell’AACM) festeggia qui i cinquant’anni del suo Ethnic Heritage Ensemble, che in principio era un quintetto e poi, negli anni Ottanta, si è stabilizzato come trio con due fiati ed eventuali ospiti. Infatti anche in «Open Me…» El’Zabar lo amplia aggiungendo ai collaboratori di lunga data Harding e Wilkes – il trombettista che prese il posto di Lester Bowie nell’Art Ensemble of Chicago – due string players: Sanders al violino e alla viola e Ali al violoncello. El’Zabar continua a celebrare ed espandere l’eredità della Great Black Music seguendo il motto dell’AACM «Ancient to the Future», tanto che tutti i dodici brani dell’album sono animati da tradizioni e proiezioni della cultura africana e in qualche caso, giusto per «influenzare il futuro», si rifanno direttamente ad alcuni maestri del passato: a Miles Davis, con il rifacimento di All Blues, preso a tempo più lento con somma intricata garbatezza (lo aveva già registrato in duo nel 1989 con il sassofonista David Murray); a McCoy Tyner, con l’arrangiamento funkeggiante di Passion Dance, mantenuto simile all’originale nell’esposizione iniziale e finale del tema, per poi essere trasformato in un happening free nella parte centrale; a Ornette Coleman con il brano Ornette a lui dedicato (anche questo del vecchio repertorio di El’Zabar); all’Art Ensemble of Chicago con Great Black Music (composta proprio da El’Zabar, non collettivamente dall’Art Ensemble come di solito si crede). Ci sono poi versioni africaneggianti dello spiritual The Whole World e della celeberrima canzone di protesta Compared to What di Eugene McDaniels, più altri brani vecchi e nuovi del leader (particolarmente riusciti il processionale Can You Find a Place e Hang Tuff, vetrina per assolo di tromba, violino e sax). L’Africa viene ricordata per l’importanza data ai tamburi e anche per come vengono strutturati i canti e i suoni che girano loro intorno, cioè in modo «danzante», compreso l’urlo fuori controllo da «possessione voodoo» cui arrivano a volte i solisti, soprattutto Harding. La batteria e le numerose percussioni suonate da El’Zabar (kalimba, tamburo di terra, bacchette clavé, campanaccio, campanellini legati alle gambe), che pure canta e suona fischietti da uccelli e ocarine, mantengono costanti l’approccio e la funzione, cioè sostenere l’insieme musicale con inesorabile precisione attraverso figure sempre uguali, iterate e scandite. Ciò conferisce più enfasi ai movimenti melodici, semplici ma dai lunghi metri, con il baritono che spesso fa da bordone (quando non lo fa, viene sostituito dal violoncello che prende il ruolo del contrabbasso) e contrasta il suo suono scuro con le note più alte e lucenti della tromba e del violino. Su tutto governa una speciale «grazia», che conferisce eleganza anche ai momenti più turbolenti, dove ogni movimento è frutto di equilibrio estremo e di controllata, costante energia. Gianolio

DISTRIBUTORE

Audioglobe FORMAZIONE
Kahil El’Zabar (batteria, percussioni varie, kalimba, voc.), Corey Wilkes (tr., perc.), Alex Harding (bar.), James Sanders (viol., viola) Ishmael Ali (cello). DATA REGISTRAZIONE Chicago, luglio 2023.
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Giornalista, critico musicale, collabora stabilmente con Musica Jazz, saggista, è anche responsabile del patrimonio artistico della Camera dei Deputati. In passato ha collaborato con Il Corriere della Sera, Huffington Post, l’Espresso, occupandosi di scuola, musica e culture. Ha pubblicato i romanzi La formica sghemba (2019), Quando cavalcavo i mammut (2021) e una raccolta di racconti, I rebbi molli (2023). Parliamo con lui del suo ultimo saggio (edito da Arcana).

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