Paolo Fresu & Omar Sosa: Food

il sodalizio artistico fra il trombettista sardo e il pianista cubano giunge al suo terzo disco, intriso di esotismo e misticismo. Ne parliamo con gli autori.

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Food» è il terzo capitolo discografico scaturito dal lungo sodalizio artistico fra Paolo Fresu e Omar Sosa. Sodalizio sulle cui origini sembra opportuno soffermarsi, ricapitolandone le tappe fondamentali, grazie alle informazioni fornite dallo stesso Fresu e da Vittorio Albani. «Ci siamo incontrati la prima volta a Tallinn in Estonia – rievoca il trombettista – circa una ventina di anni fa. Tutti e due suonavamo nello stesso festival; io ero lì con Dhafer Youssef e Eivind Aarset». Ma il primo approccio musicale tra loro avvenne il 14 agosto 2004 a Time in Jazz, quando, durante un concerto campestre del pianista, Fresu apparve inaspettatamente con la sua tromba fra i rami dell’olivastro che sovrastava il pianoforte. «Dopo quell’occasione – ricorda Albani – ci furono nel 2005 e nel 2006 alcune date in trio di Paolo con Omar e Trilok Gurtu». Successivamente, nel novembre 2008 a Sacile nell’ambito del festival organizzato da Controtempo, Omar era presente col suo trio e per l’occasione invitò Paolo a raggiungerlo sul palco. Quanto al primo vero e proprio concerto del duo, Fresu e Albani concordano che ebbe luogo il 24 luglio 2009 a Portoferraio, Isola d’Elba, in occasione del festival Oltremare. Questa successione di ricordi e di fatti dimostra come la crescita di una relazione d’amicizia e di un’empatica collaborazione musicale possa essere lenta ma inesorabile. L’avventura discografica ha invece inizio nel 2011, quando viene inciso «Alma», edito l’anno seguente dalla Tǔk Music. Il disco, che si avvale del contributo di Jaques Morelenbaum al violoncello, rappresenta un manifesto del loro incontro simbiotico e contiene alcuni brani che sono diventati dei riconoscibili capisaldi della loro visione, poi riproposti spesso dal vivo: S’Inguldu e Rimanere grande del trombettista sardo, Alma, Angustia e altri ancora del pianista cubano. Quattro anni dopo, sempre dalla Tǔk, viene pubblicato «Eros», che contiene episodi altrettanto significativi. Se dei tre dischi pubblicati «Alma» si può considerare in estrema sintesi il più melodico e nostalgico, «Eros» esprime situazioni più evocative ed evanescenti, anche grazie al contributo dei collaboratori che di volta in volta si aggiungono: oltre a Morelenbaum, la cantante belga Natacha Atlas e gli archi del Quartetto Alborada. A questa nostra personale e concisa valutazione, con cui si trova abbastanza d’accordo, Fresu ha aggiunto: «Uscivamo appunto da un periodo di sperimentazione libera e in “Alma” abbiamo depositato i primi brani scritti oltre a una versione di Under African Skies di Paul Simon. Piccole melodie semplici che, con l’ausilio dei samplers, diventavano basi e poi canzoni. Solo dopo abbiamo chiesto al comune amico Jaques Morelenbaum di aggiungere il violoncello che ha registrato a casa sua a Rio De Janeiro. Diciamo che, rispetto ad “Alma”, che era un disco più spontaneo ed improvvisato, in “Eros” ci siamo lasciati guidare dall’idea di un concept album come inteso negli anni Settanta, in quanto abbiamo scritto e pensato la musica ispirata al tema dell’erotismo». 

Solo sette anni dopo, nel maggio 2022 sempre negli studi di Stefano Amerio a Cavalicco, i due sodali giungono alla registrazione del materiale di «Food». Su come sia stato concepito questo passaggio concatenato dall’anima, all’eros, al cibo, intendendo ovviamente ogni termine nel senso più aperto e onnicomprensivo, interviene lo stesso trombettista: «Il passaggio dall’eros al cibo è naturale e consequenziale. Sono due concetti che rappresentano la vita e dei quali l’uomo non può fare a meno. Omar sostiene che gli ho insegnato a mangiare e a bere bene. Non so se sia vero, ma se così è ne sono felice. Di certo non avrebbe mai mangiato prima di un concerto, e invece l’ho traviato… Ma al di là di questo, il tema del cibo e la riflessione che ne consegue credo siano al centro delle nostre scelte di oggi. C’è troppa gente che non ha da mangiare e troppa gente che butta via il cibo. Ci sono popoli del mondo che non hanno acqua per le colture ed altri che la sprecano. Si parla di cibo transgenico ma allo stesso tempo di un ritorno al vino naturale. Il tema assume dunque delle connotazioni sociali e politiche che investono non solo le nostre vite ma soprattutto il futuro del pianeta. Di ciò si parla nei testi scritti dal rapper Kokayi e dalla cantante sudafricana Indwe, oltre che nella versione di A Çimma, il brano di Fabrizio De André interpretata magistralmente dal figlio Cristiano». 

Si può senz’altro affermare che in «Food» le innovazioni rispetto ai due cd precedenti non sono poche, innanzitutto per quanto riguarda l’aspetto compositivo dei brani: escludendo la già citata canzone di De André-Fossati, tutti i temi sono a firma congiunta Fresu-Sosa, ai quali in tre casi si affiancano due collaboratori: Karl Walker oppure Nomawethu Dineo Pule, alias la cantante sudafricana Indwe che interviene in due brani. Si moltiplicano inoltre i multi-effects, a volte con esiti concretamente percussivi a volte più insinuanti e alonati. Di brano in brano si aggiungono poi le voci, che caratterizzano in modo significativo tutto il cd: non solo di cantanti (Indwe, Kokayi e Cristiano De André, per chi scrive sorprendente), ma anche, in sottofondo, di cuochi nelle cucine di famosi ristoranti o di altri operatori del mondo della gastronomia. «È esattamente così. Non solo i suoni dei ristoranti, ma anche quelli del ciclo della lavorazione della vigna e del vino, oltre a persone che declamano ricette in giro per il mondo: uno di questi è di Berchidda e racconta la ricetta della zuppa berchiddese…».

In tutti questi cd si può riconoscere una componente esotica, brani intrisi di un esotismo un po’ misterioso e sospeso, mai dall’impronta esplicita e ammiccante; ma se alle nostre orecchie di europei le inflessioni sonore e la voce di Sosa, oltre che il suo atteggiamento scenico, appaiono già una naturale espressione di esotismo, c’è da domandarsi che significato abbia questo concetto per la sua cultura, per la sua sensibilità, per la sua esperienza personale. «Penso che l’esotismo – afferma il pianista – sia qualcosa d’inusuale per gli altri, qualcosa che vada oltre i propri parametri stabiliti o gli schemi già precostituiti, qualcosa che può essere strano e molte volte anche sconcertante. La verità è che la mia cultura è un misto di Africa ed Europa, ma la mia educazione è stata più europea che africana, poiché il sistema di educazione musicale a Cuba aveva, e penso abbia ancora, una base preponderante nelle tecniche d’insegnamento russe. Forse il mio comportamento estroverso sul palco può sembrare esotico, ma è qualcosa che appartiene alla mia personalità più che un’intenzione di ostentare esotismo». Al di là di quello che può rappresentare la cultura di Sosa ai nostri occhi, è il caso di approfondire quale sia, nelle intenzioni e nei risultati, la reale volontà di esprimere tematiche esotiche da parte del duo nel suo insieme. «Se due artisti condividono il palco per tutto questo tempo – puntualizza il trombettista – non possono non condividere le loro vite. Di certo c’è una parte più esotica nel mondo sonoro, culturale e religioso di Omar che viene da Cuba, ma c’è una parte esotica anche nella cultura sarda che, per certi versi, è simile per i caratteri derivanti dall’insularità. La cultura di Omar e i principi filosofici e religiosi della santería profumano di Africa, ma la Sardegna non è così lontana da quel continente. Ognuno dei due porta nella musica connotati di vita vissuta e sentita; ciò che facciamo è semplicemente metterli assieme e farli convivere».

Paolo Fresu Omar Sosa

Riteniamo che un’altra componente ricorrente in questo cd e nell’impostazione complessiva del duo sia un certo misticismo, o se si preferisce spiritualismo, a volte dalle pieghe un po’ esoteriche, che prende forme ed espressioni diverse derivanti dall’esperienza e dalla cultura originaria di ognuno dei due. Sosa ammette: «Per me la spiritualità è senza dubbio la base della mia vita, non solo professionale ma anche privata. La sento come una forza e un’àncora che m’ispira a creare e a godere delle piccole cose che solo lo spirito è in grado di cogliere; bisogna essere aperti per sentire quelle informazioni e quelle energie. Quello che dico può sembrare strano, ma io percepisco la spiritualità come un’energia saggia, bella e luminosa, e quando mi abbraccia e mi coinvolge con messaggi e informazioni, nel mio caso tutto ciò si trasferisce nella musica». Per Fresu si potrebbe parlare invece di un «misticismo sardo», che a livello artistico viene espresso per esempio dalla memoria ancestrale, mitica e fantastica elaborata da scrittori come Sergio Atzeni e tanti altri, o come concretizzato in un rapporto intimo e simbiotico con la materia, la natura e l’ambiente in artisti come Maria Lai o Pinuccio Sciola. Ammesso che questa mia percezione venga condivisa da Fresu, gli chiediamo come intenda elaborare e veicolare contenuti mistici nella sua musica, in particolare nel duo con il pianista cubano. «La parola “misticismo” mi piace perché esula dai canoni tradizionali del sacro che, in molti casi, può essere sinonimo di chiusura. È mistico tutto ciò che appartiene a noi e che si relaziona con l’universo e con gli altri. Pertanto non esiste una geografia del misticismo, ma ognuno la cerca dentro sé stesso. Ciò che facciamo Omar e io è cercare, trovare e condividere tutto ciò che abbiamo; soprattutto le nostre diversità che sono la parte più preziosa non solo della musica, ma delle nostre vite… Questo si chiama libertà e rispetto». 

Indubbiamente, come avviene sempre più spesso nelle produzioni discografiche, «Food» è frutto di un mirato montaggio, di una post-produzione che assembla gli interventi dei vari interpreti, registrati in tempi e luoghi diversi. Si tratta di una modalità operativa che non solo in certe condizioni rende possibile il concepimento e la confezione del disco, ma che influisce necessariamente sui suoi risultati musicali, qualificandoli come coerenti, unici e irripetibili. Nel caso specifico, chiediamo al trombettista come è stata programmata, affrontata e risolta questa modalità di produzione. «Non è stato facile; nel tempo della post-pandemia un progetto del genere può risultare ambizioso oltre che oneroso dal punto di vista produttivo. Ma lo abbiamo fatto divertendoci per la musica ancora prima che per le esigenze di un mercato che oggi è totalmente imploso in sé stesso. Del resto credo sia l’unica maniera per uscire indenni da uno dei momenti più complessi degli ultimi decenni. «Food» è pertanto frutto di una lunga gestazione: prima le registrazioni sul campo per i suoni, poi quelle del duo registrato ad Udine da Stefano Amerio, in seguito le aggiunte di tutti gli ospiti, incise tra New York, Rio de Janeiro, Johannesburg, Castelsardo e Parigi. Per finire con la costruzione e la scelta dei samples mixati poi a Parigi con il produttore e batterista Steve Argüelles. Il tutto è stato editato a Berlino».

Ovviamente le differenze fra la musica incisa su disco e la stessa eseguita in concerto sono enormi, provocando percezioni anche molto diverse. I fattori che nell’esibizione dal vivo intervengono e influiscono nel risultato sono molteplici: la pastosità alonata del suono, conseguenza delle caratteristiche ambientali e dell’amplificazione, l’estensione moderatamente variabile dei brani, la foga interpretativa e la più o meno empatica relazione fra musicisti e pubblico, gli espedienti scenici adottati e gli atteggiamenti comportamentali, le piccole deviazioni armoniche e le forbite, estemporanee invenzioni improvvisative… 

Di tutto questo abbiamo potuto avere conferma anche recentemente, in occasione del concerto che Fresu e Sosa, affiancati da Morelenbaum, hanno tenuto al Teatro Comunale di Carpi il 15 marzo, in una delle apparizioni per anticipare appunto l’uscita del cd. In quell’apparizione è risultata innanzi tutto lampante la consolidata, amichevole, istantanea sintonia che lega i musicisti, nonché l’immediata e coinvolgente comunicativa che essi riescono a stabilire con il pubblico. Per ottenere questo gli autori hanno fatto ricorso a brani ormai noti e ben connotati recuperati dai due cd precedenti, ma hanno anche presentato nuove composizioni tratte da «Food», utilizzando anche le voci registrate di Kokayi e Cristiano De André. Riguardo a ciò Fresu è estremamente chiaro: «Per noi il concerto è sempre altro rispetto ai dischi che abbiamo fatto. Non pensiamo come nel pop e non suoniamo esattamente e solo ciò che abbiamo depositato nel disco. Tant’è che continuiamo ad eseguire brani che appartengono agli album precedenti, dando però uno spot speciale al nuovo materiale; in questo caso per esempio appaiono le voci degli ospiti anche se questi non sono presenti sul palco».

Anche il parere di Sosa, in merito al rapporto fra la musica su disco e quella eseguita in concerto, è molto personale: «…la forza dell’energia del pubblico è capace di far prendere alla tua adrenalina un livello interessante, tale da tradursi in un concerto di quelli che si ricordano per l’energia magica e la complicità tra tutti i presenti. D’altra parte in studio senti di dover trascorrere un momento piacevole che verrà registrato ed è lì che entra in gioco l’energia che abbiamo in quel momento, perché poi si ascolterà in continuazione ciò che è stato registrato. Penso anche che sia un processo cerimoniale in cui ciò che suoni la prima volta ha il suo peso; sono uno di quelli che preferiscono sempre le prime takes se ce ne sono altre… Adoro quando si registrano concerti dal vivo perché la forza di tutta l’energia influenza il suono della musica. Nelle registrazioni dei concerti succedono cose inaspettate e interessanti che possono anche sorprenderci. È la magia del momento, la comunione con gli spettatori e le loro energie».

Per presentare il disco appena uscito sono previsti molti appuntamenti concertistici estivi, proposti dal solo duo, anche integrati da alcuni accorgimenti scenici, come anticipa Fresu: «Inaugureremo il progetto live il 20 giugno al Teatro Romano di Verona; lo spettacolo prevede sul palco alcuni elementi scenici che rimandano al tema del cibo e il concerto sarà impreziosito dalle luci di Luca Devito e dal suono di Marco Melchior. Avremo poi due tour estivi che toccheranno molte città italiane ed europee. Tra queste Benevento, Ancona, Noto, Roma, Avignone e altre in via di definizione».

 

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