Open Music Festival, X edizione

Un esempio di coerenza e resistenza

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Forlì, Sala Sangiorgi della Fondazione Masini

1-2 novembre

Come sempre promosso e organizzato dall’associazione Area Sismica, Open Music ha raggiunto il traguardo del decimo anno. Note al presente, il titolo scelto quest’anno dall’instancabile direttore artistico Ariele Monti, confermava la consueta rigorosa impostazione volta a documentare i molteplici linguaggi che caratterizzano la ricerca: elettronica, classico-contemporanea, improvvisazione di stampo jazzistico e non. Abbandonata la sede storica di Ravaldino in Monte, quest’anno la manifestazione si è svolta all’interno della Sala Sangiorgi della Fondazione Masini, nel centro storico di Forlì. I concerti sono stati preceduti da attività didattiche condotte, il 30 e 31 ottobre, da Franco Masotti, Maddalena Novati e Marco Colonna, protagonista di una conduction. Gli eventi sono stati distribuiti tra la tarda mattinata e il tardo pomeriggio, ottemperando all’indicazione di contenere le esecuzioni in un arco di tempo limitato, da un minimo di mezz’ora a un massimo di cinquanta minuti.

Il concerto di apertura della rassegna è stato affidato a Ludus Gravis, quartetto di contrabbassi guidato da Daniele Roccato, che insieme a Stefano Scodanibbio (scomparso nel 2012) aveva fondato questa formazione ad assetto variabile, dedita a un repertorio contemporaneo. Nella circostanza Roccato era brillantemente coadiuvato da Giacomo Piermatti, Rocco Castellani e Yvonne Scarpellini. Esemplarmente affiatato e alle prese con composizioni di John Cage, Louis Andriessen e dello stesso Roccato, il quartetto ha affrontato con rigorosa precisione i diversi approcci e processi esecutivi. Prima, linee melodiche dettate da Roccato, che si aggregano lentamente e si ripropongono ciclicamente, generando un’atmosfera solenne, quasi mistica. Quindi, un’approfondita esplorazione timbrica fatta di pizzicato strappati, colpi d’arco sulle corde, tocchi percussivi sulla cassa armonica degli strumenti, timbri stridenti ottenuti mediante la frizione dell’arco sulle corde, anche in prossimità del ponticello. Infine, una traccia eminentemente percussiva basata su pattern ritmici scanditi sulle casse armoniche, corde percosse con archi, bacchette e mazze felpate, arcate dai timbri raschianti, ricavati grazie all’applicazione di grappette sulla base delle corde.

Ludus Gravis – Foto di Luciano Rossetti

Formato da Edoardo Marraffa (sax tenore e sopranino) e Daniela Cattivelli (elettronica), il duo Beaks concentra la propria indagine sul suono e le sue possibilità estreme e più recondite. Marraffa sfrutta gli impulsi dettati dalla collega per produrre frammenti e segmenti spigolosi, a volte acuminati, fatti di suoni stoppati nell’ancia e sovracuti taglienti come lame. In altri frangenti, oppone e/o sovrappone sequenze di respirazione circolare alla massa materica scaturita dall’elettronica, fino a sviluppare un crescendo fragoroso in cui le timbriche si fanno lancinanti. Solo per brevi tratti l’esecuzione approda in aree statiche in cui il fraseggio è più meditato. Da una parte, la poetica di Marraffa è riconducibile all’avanguardia europea degli anni Settanta, con Peter Brötzmann come possibile riferimento. Dall’altro, l’interazione con Cattivelli ricorda, almeno in alcuni passaggi, l’esperienza di Anthony Braxton con Richard Teitelbaum.

Beaks – Foto di Lucino Rossetti

Nella sezione tardo pomeridiana si è potuta apprezzare la poetica della pianista Margaux Oswald, di origine franco-filippina, ma residente a Copenaghen. Improvvisatrice intraprendente, Oswald inizia il proprio set scandendo cellule rarefatte che evocano il rapporto col silenzio esplorato da Cage e Morton Feldman. Seguono accordi sul registro grave, alternati a interventi sulla cordiera. La pianista costruisce poi un impianto basato su accordi ossessivi, arpeggi torrenziali e block chords martellanti. Ne consegue un flusso continuo caratterizzato sia da variazioni e slittamenti, che da un forte crescendo dinamico. Oswald vi aggiunge clusters, linee guizzanti, figure ritmiche sul registro grave, inserendovi dissonanze che indirizzano l’esecuzione in aree atonali. Ne risulta una massa sonora dal prepotente impatto, una sorta di maelstrom che poi defluisce lasciando che si ritorni all’interlocuzione col silenzio.

Margaux Oswald – Foto di Luciano Rossetti

Del tutto atipica per i criteri di Open Music – ma non per questo meno meritevole di attenzione – l’iniziativa del trio Spazio Musica, che ha proposto una sonorizzazione di Nosferatu di Friedrich Murnau. Il connubio tra musica e la storica pellicola, realizzata nel 1922 e recentemente restaurata, rifugge dai canoni tradizionale del commento dal vivo. Fabrizio Casti (elettronica), Sandro Mungianu (clarinetto aumentato ed elettronica) e Sergio Sorrentino (chitarra ed elettronica) costruiscono dunque una narrazione credibile, concepita come una sequenza a sé stante, composta da cellule che si aggregano per lento e progressivo accumulo. Nella parte elettronica emergono anche frammenti della colonna sonora originale di Hans Erdmann, dalle forti tinte espressioniste. L’insieme è del tutto connaturato alla potenza delle immagini. Dal punto di vista timbrico gioca un ruolo determinante l’impiego del clarinetto aumentato, collegato tramite una sonda al computer, che ne riprocessa il suono.

Spazio Musica Nosferatu – Foto di Luciano Rossetti

A Canto Trio è toccato il compito di aprire gli eventi domenicali. Lucian Ban e Mat Maneri sono legati da una lunga e consolidata collaborazione, alimentata dall’interesse del pianista rumeno per la rielaborazione di materiali tratti dal monumentale corpus di brani tradizionali della Transilvania raccolti e trascritti da Bela Bartók. In anni recenti Ban e Maneri hanno ampliato lo spettro dell’indagine coinvolgendo John Surman in imprese documentate da «Transylvanian Folk Songs», «Cantica Profana» e «The Athenaeum Concert». Grazie al contributo di Marco Colonna, Canto Trio costituisce un ulteriore e credibile sviluppo di quell’esperienza. Il canto come ricerca della melodia, insita sia nel repertorio tradizionale che nei brani composti da Maneri e Colonna. Ne risultano insiemi di stampo quasi cameristico, in cui spiccano la dialettica interna e gli interessanti impasti timbrici tra viola e clarinetto basso. In altri frangenti prevale invece la matrice balcanica attraverso l’esplorazione di scale e modi, e l’adozione di metriche dispari. Ban costruisce e sviluppa potenti e incalzanti figure ritmico-armoniche sfruttando il registro grave e operando sulla cordiera del piano, con esiti timbrici talvolta contrapposti al pizzicato della viola. Da questi intrecci scaturiscono poi impetuosi crescendo collettivi. Il trio lascia intravedere ampi margini di crescita della propria proposta.

Canto Trio – Foto di Luciano Rossetti

Tutt’altro clima si respira all’ascolto del trio She’s Analog, formato da Stefano Calderano (chitarra), Luca Sguera (sintetizzatori) e Giovanni Iacovella (batterie ed elettronica). Questa formazione si colloca in un’area sperimentale che – secondo certe etichette oggi in voga – si potrebbe definire avant rock o post rock, arricchita dall’elettronica e da porzioni di improvvisazione. Le lunghe e pulsanti sequenze elettroniche, che spesso si avvitano su sé stesse, creano un andamento circolare, inizialmente contrastato dalle figurazioni spezzate della batteria, che poi concorre alla realizzazione di un impianto ritmico iterativo, ossessivo. Nel contributo della chitarra si colgono riferimenti e richiami, seppur vaghi, alla poetica di Fred Frith, Elliott Sharp, Marc Ducret e anche del Bill Frisell più sperimentale. L’azione compatta dei tre pur bravi musicisti trasmette però la sensazione di un che di irrisolto, di incompiuto.

She’s Analog – Foto di Luciano Rossetti

Attivo sia nel campo dell’improvvisazione jazzistica che in ambito classico-contemporaneo, il versatile vibrafonista Sergio Armaroli ha presentato un inedito duo con il polistrumentista inglese David Toop, sulla scorta della recente pubblicazione di «And I Entered Into Sleep» (Die Schachtel). Su una base elettronica preregistrata si aggregano delle cellule in un lento e graduale processo che privilegia le risorse timbriche anche più recondite. Dal vibrafono, sempre usato con parsimonia, Armaroli ricava sonorità insolite collocando oggetti metallici sulla tastiera, facendovi risuonare una catenella o disponendovi un telo di plastica per attutirne il suono. Per parte sua, Toop punteggia il percorso di frammenti, alternando un vasto campionario strumentale: flautini etnici, un flauto dolce basso tipico della musica rinascimentale, piccole percussioni e oggettistica varia. Un campionario che però a tratti appare più come un catalogo di effetti che un sostanziale e coerente apporto coloristico all’esplorazione condotta dal collega.

Sergio Armaroli e david Toop – Foto di Luciano Rossetti

Dulcis in fundo, la manifestazione si è chiusa con l’attesissimo concerto del trio Frelosa, comprendente Fred Frith (chitarra), Lotte Anker (sax alto e soprano) e Samuel Dühsler (batteria). Un set impostato all’insegna dell’improvvisazione totale, con inevitabili richiami al free, ma sempre e comunque contrassegnata da una rigorosa disciplina interna e una feconda interazione tra i protagonisti. Tutto questo si potrebbe condensare in un’unica formulazione, che in fin dei conti rappresenta un’efficace chiave di lettura: elevato grado di ascolto reciproco. La capacità di recepire, rielaborare e ritrasmettere segnali, spunti e suggerimenti fa sì che anche da schegge sonore acuminate e spezzoni di frasi possa prendere forma un discorso compiuto. Ne risulta poi una vasta gamma timbrica. Basti considerare l’azione instancabile di Frith, che spesso corica lo strumento sulle ginocchia, piazzando sulle corde un dico metallico sfregato con un archetto, percuotendole con una bacchetta o sollecitandole con una catena, una spazzola o un pennello. Il fraseggio di Anker all’alto è sfaccettato, aspro e corrosivo, mentre al soprano assume timbri ancor più ispidi e taglienti. Dühsler contrappone senza posa figurazioni frastagliate e cangianti, aggiungendovi soluzioni timbriche variegate con l’ausilio di oggettistica.

Frelosa – Foto di Luciano Rossetti

Un esempio di rigore e libertà espressiva del tutto consono all’impostazione di un festival a cui, al compimento del decimo anno di vita, non si può che augurare di proseguire a lungo il proprio coraggioso percorso.

Enzo Boddi

Foto di Luciano Rossetti

 

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