Lana Meets Jazz, Lana, dal 10 al 15 giugno 2025

di Giuseppe Segala

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Come affermato con passione nella consuetudine delle sue tredici edizioni, Lana Meets Jazz ribadisce la propria attenzione alla pluralità generazionale, comunicativa e stilistica. Il cartellone di quest’anno evidenziava due appuntamenti di alto richiamo, rivolti ai conoscitori della grande tradizione, ma anche a tutto il pubblico più attento, con protagonisti il trio di Avishai Cohen e il quintetto di Stefano Di Battista. Si rimarcava poi l’investimento sulle giovanissime leve provenienti dalla locale Scuola Musicale, spronate dalla competenza e dall’entusiasmo degli stessi direttori artistici e ideatori della rassegna, Helga Plankensteiner e Michael Lösch. Si proponeva inoltre un ampio ventaglio di altri appuntamenti, coinvolgendo la sia la Scuola Elementare che una Scuola di Danza; poi un locale del centro, con l’energia e la miscela stilistica del rodato trio trentino Connected di Stefano Giordani. Ecco ancora un affollato ballo swing aperto a tutti nella piazza della cittadina, con la musica della locale Big Band Blanco Y Tinto e la voce di Damiana Dellantonio, oppure la rivisitazione del repertorio di Lennon e McCartney, proposto in alta quota. E un’interpretazione di poesie in chiave musicale da parte del trio Random Control, con la vocalist Fola Dada, molto apprezzata in area germanica.

Stefano Di Battista
foto Danilo Codazzi

Dunque, i giovanissimi Little Groovers della Scuola Musicale (di età media sugli undici anni) hanno introdotto la mostra fotografica collettiva che apriva questa edizione del festival, per poi dare fuoco alle polveri del concerto di Stefano Di Battista, che ha trasformato la Biblioteca Civica in un Jazz Club infocato, con la proposta in chiave jazz di musiche inossidabili del repertorio italiano dagli anni Cinquanta in poi: da Renato Carosone a Piero Umiliani, Lucio Dalla, Ennio Morricone, Paolo Conte, Nino Rota, Nicola Piovani. Di Battista e i suoi comprimari, tre giovani provenienti dalla scena napoletana e il talentuoso trombettista siciliano Matteo Cutello, hanno mostrato grande scioltezza e sintonia nell’interpretare brani quali Sentirsi solo, La vita è bella, La dolce vita, Caruso e naturalmente Tu vuo’ fa’ l’americano come autentici classici del Real Book. Stimolanti le scaramucce dei due fiati, spinte dalla tempra sempre vivace e comunicativa del leader.

David Helbock al Galanthus
foto di Danilo Codazzi

Ma di nuovo, la verve dei giovanissimi Little Groovers, tre sax contralti e un trombone formidabile, compariva nella Big Band della Scuola Musicale, che ha aperto con un repertorio classico e moderno il concerto di Random Control, più Fola Dada alla voce. Il lavoro portato da questi è ambizioso, con la proposta di interpretazioni musicate tratte da vari brani poetici, tra l’altro di William Blake ed Emily Dickinson. Il risultato, pur molto apprezzato dal pubblico, ci è apparso discontinuo: il rapporto tra la voce e i tre musicisti guidati dal pianoforte di David Helbock non sempre riusciva a decollare, pur spinto dall’energia straripante dell’istrionico Johannes Bär. Troppo poco emergeva la componente ironica e dissacrante tipica del trio, quando viaggia nella propria dimensione ideale. Comunque interessante è il trattamento vocale di Fola, soprattutto quando esce dagli schemi, per addentrarsi nelle sperimentazioni di un soul dalle sfumature astratte e surreali.

Eviatar Slivnik
Foto di Edoardo Tomasi

Nel cuore della rassegna, il pulsare del contrabbasso di Avishai Cohen, alla seconda uscita di un nuovo trio che gli affianca i due giovanissimi Itay Simhovich al pianoforte e Eviatar Slivnik alla batteria. Insieme da poco, ma già perfettamente sintonizzati sulla musica del leader, il cui suono potente e sinuoso stimola, pungola, sostiene, indirizza. I due ragazzi non assumono il ruolo di gregari, ma con tutta scioltezza si inseriscono e arricchiscono il discorso. Simhovich, con i suoi ventun anni, si mostra maturo ed esperto nel tratteggiare sfondi armonici, nella costruzione di tessuti ritmici, di contrasti dinamici e di strepitosi unisoni con il contrabbasso. Nel repertorio, quasi interamente dovuto al leader, con qualche discreta pennellata klezmer e temi robusti, screziati, si incontrano pure il Chick Corea del celebre Eternal Children, il Coltrane meno visitato di Central Park West, fino a un singolare Summertime scandito su metro in cinque, cantato con eleganza dallo stesso contrabbassista.

Longo, Seggi, Vignato
Foto di Edoardo Tomasi

Alcuni temporali incombenti non hanno ostacolato il concerto di chiusura del festival, in programma nella terrazza del Vigilius Resort, a 1500 metri di altitudine, aperta sulla corona di montagne circostanti. Proposta accurata, ricca di dettagli e di sfumature espressive, incentrata sul repertorio leggendario dei Quattro di Liverpool. Un Mistery Tour condotto dalla vocalist di origini toscane Sara Longo insieme al violoncellista veneziano Alvise Seggi, autore di pregevoli arrangiamenti, con il contributo speciale del trombone di Filippo Vignato, ben sintonizzato negli impasti e ricco di spunti nei soli e nelle introduzioni. Particolarmente apprezzabile l’interpretazione vocale nei brani dove emergeva un approccio intimo e delicato, come Across The Universe, Eleanor Rigby, All That Matters Is Today di Seggi e Napule è, luminosa perlina di Pino Daniele.
Giuseppe Segala

 

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