Julian Lage Trio

La prima serata di un trittico chitarristico alla Casa del Jazz

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Roma, Casa del Jazz
10 luglio 2023

Una settimana rovente, non soltanto per le temperature, ma anche per le presenze concertistiche della rassegna Summer Time, ha offerto al pubblico della Casa del Jazz un focus di tipo chitarristico, in tre serate, aperto dal trio di Julian Lage (e successivamente proseguito dai Ceramic Dog di Marc Ribot e dal Four di Bill Frisell). Il tutto in quattro giorni!
Lage si sarebbe dovuto esibire con il suo attuale trio, composto da Jorge Roeder al contrabbasso e da Dave King alla batteria, che poi è quello fisso degli ultimi anni, fatti salvi gli eventuali impegni di King durante le tournée, e soprattutto è quello dei dischi Blue Note («Squint», del 2021, «View With A Room», del 2022 e il recente «The Layers», di quest’anno). Invece una prima sorpresa ha riguardato la presenza alla batteria di un altro fuoriclasse, Rudy Royston, al suo primo concerto con il gruppo.
Verificando all’ascolto una certa omogeneità dei tre album citati, potrebbe sorgere il dubbio che la carriera del giovane chitarrista sia in una fase di sostanziale stabilizzazione. Durante il concerto, al contrario, si è potuto verificare come tale pensiero sarebbe del tutto ingeneroso. Intanto i set dal vivo di Lage sono sempre contrassegnati da una schietta vivacità; inoltre egli si sta cimentando, in parallelo alla propria carriera, nel contesto del New Masada Quartet di John Zorn (e in altre esperienze con il geniale sassofonista) – ove è affiancato anche da Roeder – e che si sta rivelando non una semplice esperienza di passaggio, per lui; infine proprio «The Layers», che sarebbe sbagliato considerare un album di completamento, ha dimostrato una certa inquietudine del musicista.

Julian Lage e Jorge Roeder

Tutti questi segnali sono stati pienamente confermati dall’esibizione del trio, nella quale la musica è sempre stata innervata da una energia positiva, elettrizzante e robusta, più frenetica di qualche tempo fa, che pur presentando tutte le caratteristiche della autorialità di Lage (il versante più propriamente jazzistico, il mood dell’«Americana music», i sottotesti blues, talora una maggiore rilassatezza di impianto «cinematografico»), è sembrata caricarsi di significati nuovi. Non è casuale, in questo contesto, che il chitarrista abbia annunciato l’uscita di un nuovo disco in sestetto, per la prossima primavera, prodotto da Joe Henry.
E proprio da questo nuovo disco che sarà, sono stati tratti i due brani di apertura del concerto, Two And One e Road Song di Wes Montgomery. Il resto della scaletta ha presentato in buona parte pezzi di  «View With A Room» (Tributary, Word For Word, Auditorium, Castle Park, Chavez) e del «vecchio» «Love Hurts» (In Heaven, Love Hurts, Crying – presa a un tempo così lento da lasciare con il fiato sospeso -, Trudgin’, di Jimmy Giuffre)  e anche una intensissima versione di Emily (da «Squint»). Ma quelle inquietudini di cui dicevamo hanno preso corpo in particolare nel fitto reticolo, anche in dimensione del tutto solitaria, di due brani di «The Layers», Missing Voices e This World, usati come pezzi di raccordo.
Sulla caratura dei singoli componenti del trio crediamo che non ci sia molto da osservare: Lage, archiviati definitivamente gli stereotipi dell’enfant prodige e del guitar hero si dimostra un musicista capace, a trentacinque anni, di trarre profitto da ogni influenza e incontro (Frisell, naturalmente, ma anche Lloyd, Zorn, la Halvorson e Miles Okazaki), capace ancora di tanti e tali progressi da rendere banale un vaticinio sul ruolo di protagonista e riferimento assoluto che gli sarà di certo riservato nel prossimo futuro; Roeder si è confermato un partner superlativo, sia in termini di tecnica che di rocciosa solidità, sia per gli aspetti di forbita inventiva, inoltre la sintonia con Lage è ormai ai limiti del soprannaturale; Royston è stato al pari dei due compagni e di certo questo non può stupire chi lo ha sempre seguito, trattandosi di un musicista fuori dall’ordinario, per capacità tecniche, musicalità e tempra da intellettuale.

Julian Lage, Jorge Roeder e Rudy Royston

Un concerto da ricordare, che il pubblico, quello delle grandi occasioni chitarristiche e con la presenza di moltissimi musicisti, ha mostrato di aver pienamente gustato e gradito.
Sandro Cerini