Prato, Teatro Metastasio
10 marzo
Evento di spicco della XXX edizione di MetJazz, il concerto del pianista Gonzalo Rubalcaba era stato inserito nel cartellone in sostituzione del previsto duo Dave Holland-Lionel Loueke, cancellato per i problemi di salute del contrabbassista. Tutt’altro che un rimpiazzo, data la statura artistica del pianista cubano, classe 1963, impegnato nel sempre arduo cimento del piano solo. Borrowed Roses era il titolo del programma, peraltro mutuato da quello del disco eponimo pubblicato due anni fa. Con il passar degli anni Rubalcaba ha affinato e arricchito il proprio stile, frenando lo straripante virtuosismo che contraddistingueva i suoi anni giovanili e sfrondandone, almeno in parte, alcuni tratti della componente afrocubana ad appannaggio di un linguaggio jazzistico articolato e pienamente consapevole della tradizione.
Questo approccio è caratterizzato da una visione armonica in cui confluiscono l’eredità dell’Impressionismo (ovviamente filtrato attraverso la conoscenza del linguaggio di Bill Evans), l’analisi approfondita di impianti modali, gustosi slittamenti di tonalità e sottili dissonanze. Queste caratteristiche sono accompagnate e valorizzate da un inusitato senso dell’economia, dalla concentrazione maniacale con cui vengono distillare le cellule di ogni singola frase, tra l’altro con grande cura per la nitidezza del tocco e per le dinamiche. Lo dimostra appieno il trattamento riservato a Chelsea Bridge di Billy Strayhorn e – tanto per rimanere nell’ambito del repertorio di Ellington) di uno standard frequentatissimo come In A Sentimental Mood. Due piccole gemme di un’indagine introspettiva in cui ogni singola nota, ogni singola pausa, assumono un peso e una valenza specifici.
Questa prassi esecutiva porta Rubalcaba a valorizzare la melodia, centellinando goccia a goccia i frammenti e le cellule di una linea tematica, come conferma pienamente anche la sua riproposizione di Shape Of My Heart di Sting: valido esempio di approfondimento dell’impianto armonico di un brano prelevato dal repertorio del pop, da includere nel novero dei nuovi standard. La capacità di scavare a fondo nel tessuto armonico, traendone spunto per aprire nuovi percorsi, emerge poi prepotentemente dalla rielaborazione di Night And Day e Take Five. Il celebre e battutissimo standard di Cole Porter, il cui tema affiora qua e là sotto forma di brandelli melodici, vien sottoposto a un’accurata analisi delle implicazioni armoniche e rivoltato come un calzino. Alle prese con il noto tema di Dave Brubeck, Rubalcaba allude sottilmente alla figura ritmica in 5/4 grazie all’abile gioco della mano sinistra sul registro grave. Questo rappresenta un semplice punto di partenza per sviluppare incalzanti progressioni ritmiche e – anche in virtù della mirabile interazione fra le due mani – per un sensibile ampliamento della prospettiva armonica ed efficaci invenzioni. Specialmente da questa esecuzione, una vera e propria trasformazione della pagina originale, scaturisce in tutta la sua pienezza l’impronta del retaggio afrocubano. In sostanza, ne risulta – come in tutto il concerto – una prova di integrità e sincerità artistica.
Enzo Boddi
Foto di Marco Benvenuti