Fano Jazz By The Sea
XXXIII Edizione
23Luglio – 03 Agosto 2025
Quelle del titolo di questo nostro diario di note e quelle del virgolettato che segue sono le parole di Adriano Pedini, direttore artistico di Fano Jazz By The Sea, la cui XXXIII edizione è stata orchestrata come «un evento capace di connettere musica, arte, territorio e impegno sociale. […] Un’esperienza immersiva e musicale diffusa». Le mutuiamo perché rispecchiano vividamente ciò che abbiamo toccato con mano in questi giorni di permanenza in quel di Fano, nonostante un meteo a dir poco inclemente che ha messo i bastoni tra le ruote, ma non è stato in grado di arrestare la virtuosa macchina organizzativa che sottende ad un’intera settimana di festival, costituita da 43 concerti realizzati da 150 musicisti ospiti, arricchiti da numerosi eventi collaterali.

Partendo dal palco della suggestiva Rocca Malatestiana, cuore pulsante della programmazione, diamo il benvenuto (domenica 27 luglio) a Isaiah Collier! Se trovato sotto un cavolo, o sceso dall’Olimpo poco importa, il jazz (e non solo) aveva bisogno di lui! Perché? Il giovane polistrumentista, compositore, attivista ed educatore chicagoano ha inventato qualcosa di nuovo? Assolutamente no. Siamo nell’ambito di quello Spiritual Jazz tornato in auge negli ultimi anni, ma la performance fanese di Collier, insieme ai suoi Chosen Few, non lascia dubbi: il sax corre come il vento, è un turbine di note dal suono brillante, vigoroso, avvolgente e travolgente. Stupisce e allieta (poiché non c’è aria di “fuffa”) l’assoluta padronanza di linguaggio che affonda le radici nella storia del jazz e la attualizza con la fluidità di chi ha interiorizzato questo vasto universo sonoro. Passato e presente convivono gioiosamente e i compagni John Coltrane, Roland Kirk, Albert Ayler, Pharoah Sanders, tra altri (mettiamoci pure un pizzico di Gato Barbieri), ringraziano sentitamente. Spazio creativo è stato lasciato anche ai componenti di una band che si è dimostrata assolutamente all’altezza e di supporto al leader. Una sciarpa con la bandiera della Palestina, prima levata al cielo e poi adagiata sull’asta del microfono, ha accompagnato tutti i brani originali che hanno caratterizzato la scaletta del concerto, chiusa dalle parole ripetute ad libitum da una platea rapita: peace and love. Questi brani costituiscono il doppio LP dal titolo «The World Is On Fire» (Division 81 Records, 2024).

Se «il cantare è proprio di chi ama», di pari intensità e coinvolgimento è stata la performance di Dee Dee Brigdewater (martedì 29 luglio) con il suo quartetto tutto al femminile We Exist! che rappresenta di per sé un manifesto. Con lei Carmen Staaf al pianoforte, Shirazette Tinnin alla batteria e percussioni e Rosa Brunello al contrabbasso e basso elettrico. È straniante, e francamente inquietante, che nel 2025 non si sia ancora consolidata una parità identitaria di genere, pertanto di diritti, opportunità e risorse, come del resto angoscia che non si riesca a raggiungere una pace globale, anzi… La Bridgewater, all’età di settantacinque anni, combattiva più che mai, non intende rassegnarsi e lo di urla forte a partire proprio dal progetto We Exist!: Noi esistiamo (se non ve ne siete ancora accorti…sigh!), imbastendo un repertorio di brani di protesta che spaziano da Mississippi Goddam di Nina Simone a Serve Somebody di Bob Dylan, passando per una potente, quanto struggente versione di Strange Fruits di Billy Holiday che strapazza i cuori di una Rocca sold-out. Sul palco Dee Dee è una tigre che ruggisce e una dea che commuove al contempo. Ha voce e grinta da vendere, tanto che a show concluso quell’aura resta cucita addosso.

Di tutt’altra trama sonora, ma altrettanto densa di significato, è la musica di Melisa Yildirim al kamancha anatolico, esibitasi nella stessa giornata alla Pinacoteca San Domenico nell’ambito di Exodus – Gli echi della migrazione. L’artista di Istanbul ha dato vita ad una performance raccolta e meditativa, predisponendo il pubblico all’ascolto attraverso una breve meditazione e sottolineando che infondo «siamo tutti migranti dell’universo, fatti di polvere di stelle»; se non ci fosse scambio, non ci sarebbe conoscenza.

La nostra lente di ingrandimento si sposta, infine, sui concerti della sezione Young Stage dove abbiamo potuto apprezzare i Gogoducks, ovvero: Luca Zennaro alla chitarra, elettronica e composizione; Nazareno Caputo al vibrafono e composizione e Francesca Remigi alla batteria e composizione. Può l’architettura palladiana ispirare un progetto musicale? Le sofisticate traiettorie sonore di Palladio a Palla! ne sono la prova tangibile. I musicisti si sono avventurati personalmente alla scoperta delle numerose ville dislocate in territorio veneto e sono pervenuti alla realizzazione di un progetto che accorpa composizioni originali dei tre, dai titoli curiosi.

Altrettanto degno di nota il live del gruppo capitanato dal trombonista marchigiano Matteo Paggi. Non nuovo a Musica Jazz, in quanto da noi eletto Nuovo Talento ai Top Jazz 2024, Paggi colpisce nel segno con il nuovo «Giraffe» (Jam/UnJam, 2025): un dinamico mosaico di composizioni originali in cui convivono audacia e pragmatismo, melodie ed autentiche esplosioni sonore, ben orchestrate da un organico coeso che ha agevolato la libertà espressiva del leader oltre a quella del pregevole sax alto di Lorenzo Simoni.
Eleonora Sole Travagli