David Krakauer Acoustic Klezmer Quartet al Firenze Jazz Festival

Un legame indissolubile con le radici

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Firenze, Villa Bardini

7 settembre

Quasi sparito dall’Europa orientale a causa della Shoah, caduto nell’oblio anche negli Stati Uniti dov’era stato importato all’inizio del Novecento dagli immigrati ebrei provenienti da Russia, Bielorussia, Ucraina, Polonia e Romania, dagli anni Ottanta in poi il klezmer ha conosciuto una vera e propria rinascita. Prima negli Stati Uniti, grazie a musicisti di estrazione prevalentemente jazzistica e di origine ebraica come John Zorn, Jamie Saft, Ben Perowsky, Anthony Coleman, Klezmatics e Klezmer Conservatory Band, che hanno avuto anche il merito di integrarne scale e metriche nella propria poetica. Quindi, anche in Europa, in virtù della ricerca condotta da numerose formazioni di differenti nazionalità, composte anche da musicisti non ebrei.

Musicista di formazione e frequentazioni classiche, il clarinettista americano David Krakauer ha deciso di esplorare le proprie radici culturali già in età matura, soprattutto attraverso un gruppo di impostazione moderna come Klezmer Madness! e Ancestral Groove. Ospite del Firenze Jazz Festival con il suo Acoustic Klezmer Quartet, Krakauer ha fornito un’ulteriore prova del suo magistero strumentale e compositivo. Affiancato da William Holshouser (fisarmonica), Jerome Harris (basso elettrico) e Michael Sarin (batteria), Krakauer ha proposto un repertorio variegato, oscillante tra tradizione e contemporaneità.

David Krakauer – Foto di Alessandro Botticelli

Per la sua stessa composizione trasversale e la matrice jazzistica di Harris e Sarin, il quartetto è in grado di affrontare con piglio incisivo, varietà di soluzioni e meticolosa attenzione alle dinamiche anche le forme più tradizionali quali il terkish e il bulgar. Entrambi di origine rumena, legati alle danze chassidiche eseguite in occasioni di matrimoni e altre celebrazioni, terkish e bulgar rivelano influenze turche in conseguenza dell’espansione dell’Impero Ottomano nei Balcani. Sono articolati su ritmi binari e sincopati, assumono una cadenza crescente, a tratti vertiginosa, e possiedono un impianto modale su cui si può sviluppare l’improvvisazione.

In questo contesto – tra l’altro comprendente un bulgar scritto dal compositore e suonatore di cymbalom Joseph Moskowitz, nato in Romania e trapiantato a New York – Krakauer sfoggia il suo fraseggio nitido, riccamente articolato, costellato di ornamentazioni, trilli ed escursioni sugli acuti. Così facendo, ravviva la memoria di due grandi clarinettisti emigrati negli Stati Uniti rispettivamente nel 1909 e 1921: Naftule Brandwein, da un’area della Polonia austro-ungarica; Dave Tarras, dall’Ucraina sotto l’Impero zarista.

Jerome Harris e William Holshouser – Foto di Alessandro Botticelli

A questi materiali tradizionali corrispondono poi composizioni originali di quello che si potrebbe definire il nuovo klezmer, aggiornato con moderne soluzioni ritmiche, armoniche e timbriche. È il caso di Klezmer à la Bechet, con cui Krakauer rende omaggio al creolo Sidney Bechet, protagonista del jazz di New Orleans (e in un certo senso suo maestro spirituale), clarinettista e sassofonista soprano noto per l’uso inconfondibile del vibrato. Nell’esecuzione spicca anche un assolo di Harris, dalle tinte lievemente funk. Una traccia ritmica, un groove decisamente funky alimentano Tribe n. 13, in cui Krakauer scompone e stravolge la scala klezmer, normalmente basata sul modo minore e provvista di un quarto grado aumentato e di un sesto diminuito. Rimarchevole anche un medley nella tonalità di Si bemolle, piuttosto insolita per il klezmer.

Michael Sarin e David Krakauer – Foto di Alessandro Botticelli

Love Song From Lemberg/Lvov racchiude un valore sentimentale, essendo stata ispirata dalla città di provenienza di uno dei nonni: Lemberg durante il dominio austro-ungarico, Lwów nella Polonia prebellica, l’odierna Lviv in Ucraina (per noi Leopoli). La melodia struggente viene enunciata, a tratti sussurrata, dal clarinetto con varietà di sfumature per poi raggiungere con improvvise impennate picchi di intensa drammaticità. Anche Dusky Bulgar, composto da Holshouser, presenta un’interessante varietà di atmosfere, sia in virtù delle sempre sagaci soluzioni ritmiche e timbriche architettate da Sarin, che grazie al ruolo della fisarmonica, ponte tra tradizione e improvvisazione.

Acoustic Klezmer Quartet – Foto di Alessandro Botticelli

Un legame – quello tra tradizione e innovazione, pagina scritta e improvvisazione – che Krakauer e compagni interpretano in modo impeccabile, coinvolgendo i sensi, la mente e il cuore.

Enzo Boddi

Foto di Alessandro Botticelli

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