Dall’interno: Jonathan Coe & Artchipel Orchestra

Il nuovo cd di Artchipel Orchestra, allegato al numero di novembre di Musica Jazz, vedrà un ospite d'eccezione: Jonathan Coe, uno dei più significativi romanzieri contemporanei e, in questo caso, anche compositore di pregio

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Artchipel Orchestra è una formazione orchestrale piuttosto singolare nel panorama jazzistico italiano. La scelta del suo direttore Ferdinando Faraò di ridare vita a un repertorio poco frequentato, e spesso dimenticato, le composizioni scritte negli anni Settanta, Ottanta e Novanta da quel gruppo di musicisti, compositori e improvvisatori del filone del rock progressivo britannico della scena di Canterbury, Mike Westbrook, Alan Gowen, Fred Frith, Dave Stewart, Hugh Hopper, si è rivelata felice e, nel tempo, ha spesso preso direzioni inaspettate.

Partecipo al progetto dal 2013 in veste di musicista, per i primi anni al sax tenore e adesso al sax baritono, e fin dal mio arrivo, ho percepito la speciale vibrazione che ruota attorno ad Artchipel Orchestra. Ogni volta è come se lo spirito di quei geniali compositori e il potere evocativo di quella musica si materializzasse, attraverso il maestro di cerimonie Faraò, in uno speciale campo magnetico. È come se trascinasse ognuno di noi musicisti al di fuori dalla dimensione individuale, dalla nostra zona di comfort, per imbarcarci su un’astronave diretta a tutta velocità verso destinazioni sconosciute. E come accade a chi racconta di aver avuto incontri ravvicinati del terzo tipo dopo il ritorno a terra, ogni volta l’esperienza Artchipel ci lascia straniti e trasformati.

Lo scrittore Jonathan Coe da tempo gravita attorno all’orbita Artchipel Orchestra. Nell’autunno 2012 scrisse le note di copertina del primo album di Artchipel «Never Odd Or Even», con ospite Phil Miller, e descrisse con parole quanto mai precise l’essenza della musica della scena di Canterbury: «Ho sempre pensato che l’aspetto più radicale e interessante di quella musica fosse l’inosservanza delle linee di demarcazione: era sperimentale eppure melodiosa; ti catturava il cervello ma anche il corpo; era complessa ma anche affabile e accessibile (…). I musicisti che la facevano erano geniali compositori e improvvisatori, musicisti di prim’ordine, pieni di talento eppure (…) assolutamente modesti e alla mano». Nel corso degli anni, Coe ha più volte assistito ai concerti di Artchipel in veste di spettatore. E ogni volta ho avuto la sensazione, osservandolo timido e schivo nel suo stare in disparte, che fosse profondamente coinvolto dalle performances di Artchipel.

Coe nasce come musicista. Negli anni Ottanta fu il tastierista dei Wanda and the Willy Warmers, gruppo femminile di cabaret. La musica e la composizione, per sua stessa ammissione, sono un hobby che ben si relaziona alla sua vocazione di scrittore. La musica è spesso protagonista dei suoi romanzi, come accade in La banda dei brocchi e la sua scrittura tradisce una certa vicinanza alle composizioni progressive da lui amate. Le sue trame complesse sono, allo stesso tempo, «affabili e accessibili» e i guizzi di improvvisazione, in forma di leggerezza e umorismo, si incardinano alla meticolosa architettura dell’intreccio. Senza considerare il suo straordinario talento letterario, che si accompagna all’essere assolutamente modesto e alla mano.

Walter Miglio foto

Coe mi ha rivelato di avere nel suo studio di scrittore un pianoforte di fianco alla scrivania, e nelle pause tra un paragrafo e l’altro si rilassa suonando. Accadde un giorno, qualche tempo fa, che Coe decise di far uscire le sue composizioni dal suo studio. E chiese un parere sulla sua musica a una mailing list di appassionati, rimandando a un link su una pagina Bandcamp. I titoli primi due album, «Unnecessary Music» e «Invisible Music», la dicevano lunga sulle sue aspirazioni. Di quella mailing list faceva parte anche Ferdinando Faraò, e di conseguenza Jonathan Coe, che da tempo era sparito dai radar, rientrò nell’orbita di Artchipel Orchestra.

«Abbiamo scelto nel mucchio i brani che abbiamo iniziato ad arrangiare e a suonare in concerto» racconta Faraò. La musica non necessaria, invisibile, di Coe, all’improvviso era diventata visibile. E necessaria. In un perfetto paradosso che sembrava uscito da un suo romanzo. E di conseguenza, l’esperienza dell’astronave Artchipel lo riportò, questa volta da musicista, al centro di un palcoscenico.

Coe, durante i concerti con Artchipel, sembra incredulo. Tiene gli occhi bassi sulla tastiera ma mantiene un costante accenno di sorriso. Poi si lascia trasportare dal flusso. Ascolta i solisti, applaude, improvvisa a sua volta, si diverte, si lascia andare. L’ultima volta, al festival jazz di Torino, alla fine del concerto, dietro le quinte, ha abbracciato il direttore. Un abbraccio unnecessary, che, a me, è sembrato di incontenibile felicità.

A cura di Rosarita Crisafi