In uno degli eventi di spicco della XXVIII edizione, il Festival Una striscia di terra feconda ha presentato Barry Guy e Maya Homburger, in un concerto suddiviso tra parti per solo contrabbasso ed esibizione in duo. Nel programma, un viaggio tra stili e periodi, costitutivi di una vera e propria storia della musica europea, inframmezzati da spunti improvvisati, a realizzare quella fusione così tipica per i due artisti.
Guy, del resto – musicista passionale ed erudito, in grado di di stratificare spunti e frammenti e di fondere linguaggi, sfidando la crisi di senso della contemporaneità – è per costituzione e storia personale una figura artistica di frontiera, che ben sintetizza un approccio schiettamente europeo, ponendosi a cavallo tra pagina scritta e libera improvvisazione, tradizione classica e nuove forme accademiche, camerismo e musica per organici estesi.

Definire «duo barocco» il sodalizio formato con la Homburger, sua compagna anche nella vita, potrebbe sembrare riduttivo, ma, in realtà, permette di evidenziare al meglio quale sia l’obiettivo tenuto di vista, che è quello di garantire la coesistenza tra libera improvvisazione e canone barocco, ma senza proporsi di «jazzificare» materiali estranei.
Anzi, l’interazione col mondo espressivo classico è assai forte, se non prevalente, ed è valorizzata proprio dal rigore espressivo della violinista, austera nel gesto perfetto, ma assai facile ad assecondare la passione, talora fiammeggiante, del partner, che sa esprimersi anche attraverso un modo performativo aggressivo, sollecitando emozioni violente.
I momenti riservati al duo sono quelli che si lasciano preferire, sia nella semplicità raffinata, che lascia a volte attoniti per la purezza del suono, sia negli intricati passaggi di estrema complessità, che pure non mancano, in un percorso sonoro che procede come una linea spezzata, aperta e intrecciata, trovando nell’interplay e nel dialogo il modo di ricongiungersi perfettamente al mondo dell’improvvisazione.

Ne deriva un passo a due senza soluzione di continuità che, alfine, non propone soluzioni, bensì continui rompicapi, intrecciando insieme Biber e Bach, Veni Creator Spiritus e le composizioni dello stesso Guy (Five for Anja, Peace Piece e Five Fizzles). Si compie, in questo modo, sul fondale della Storia, una dolente riflessione sulla stessa condizione umana, che è il punto cruciale, da sempre, nella poetica di Guy.
L’altro suo grande interesse, che si invera nella passione per la parola, ha modo di concretizzarsi nel finale, con il bis che presenta Art, di Steve Lacy, e consente a Guy di leggere la poesia omonima di Melville, che ha ispirato il pezzo:
In placid hours well-pleased we dream
Of many a brave unbodied scheme.
But form to lend, pulsed life create,
What unlike things must meet and mate:
A flame to melt—a wind to freeze;
Sad patience—joyous energies;
Humility—yet pride and scorn;
Instinct and study; love and hate;
Audacity—reverence. These must mate,
And fuse with Jacob’s mystic heart,
To wrestle with the angel—Art.
Una grande serata di musica, per un evento culturale prezioso, da preservare soprattutto in momenti così difficili, del quale dobbiamo ringraziare Paolo Damiani, Armand Meignan e tutti gli organizzatori.