BAM: Revive music, Supreme Sonacy

Non tanto un'etichetta, quanto una scuderia di musicisti che vogliono fondere gli aspetti dell'estetiva nero-americana del nuovo millennio

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Brandee Younger, molto attiva per riportare l'arpa al centro della musica afro-americana

Da un po’ di tempo, ovvero da quando i rappers della West Coast e i loro seguaci hanno iniziato a manifestare un nuovo interesse verso la Nation Of Islam e l’r&b è diventato la colonna sonora della middle class nera, l’afroamericano del nuovo millennio sta cercando una musica in cui identificarsi. Così, se nell’ottobre del 1995 Louis Farrakhan riesce a organizzare la Million Men March, la più grande manifestazione afroamericana di tutti i tempi, per spingere i giovani neri ad iscriversi nelle liste elettorali ed esercitare il proprio diritto di scelta, sul versante musicale le «veneri di ebano» come Erykah Badu, Lauryn Hill e Mary J. Blige, iniziano a mietere vittime e a vendere milioni di dischi. BAM, in effetti, è solo il tentativo di fabbricare una miscela che sappia raccogliere tutto ciò che la cultura afroamericana ha prodotto fino a oggi e dove quello che siamo abituati a chiamare jazz riveste solo uno dei tanti ruoli. Sarebbe però sbagliato pensare che tutto questo avvenga spontaneamente. Se, nella seconda metà del secolo scorso, i grossi sommovimenti socio-culturali riuscivano ad influenzare la musica (che si adeguava a quelle trasformazioni diventandone la colonna sonora), oggi è il marketing – e gli uomini che lo governano – a decidere le direzioni in cui la musica deve muoversi. Non che tutto venga deciso a tavolino, ma ci manca poco.

Artisti della Revive Music

Il cosiddetto neo-soul con i suoi D’Angelo e le sue Angie Stone risulterebbe molto meno efficace, almeno in termini di richiamo presso il pubblico dei bianchi, se un imprenditore come Kedar Massenburg, un brillante afroamericano con una piccola esperienza di management nella Pepsi Cola, non avesse deciso di occuparsi di musica per poi diventare, dal 1994 al 2007, il nuovo presidente della Motown. All’inizio del 2012 anche la leggendaria Blue Note decide di svecchiare la propria immagine e un po’ anche la propria musica affidando la presidenza a Don Was, che prende il posto di Bruce Lundvall. Was (vero nome Donald Fagenson) è nato a Detroit nel 1952, è il co-leader dei Was (Not Was), gruppo di art-funk in attività dal 1979, e ha una grossa esperienza di bassista e di produttore. Grazie a lui Robert Glasper ha saputo concretizzare con un’adeguata visibilità la sua parallela carriera R&B, così come Otis Brown III, Derrick Hodge o Marc Cary sono emersi dall’underground jazzistico incidendo lavori fortemente contaminati. Molti di questi artisti sono stati reclutati per la prima volta dalla Revive: non tanto un’etichetta quanto una scuderia di musicisti che vogliono fondere gli aspetti dell’estetica nero-americana del nuovo millennio. Ed ecco apparire sul mercato, come per incanto, questa compilation che riunisce tutti gli artisti della Revive sotto il patrocinio della Blue Note.

Un album importante, una sintesi molto ben fatta della direzione intrapresa dalla musica afroamericana in questo momento. Musicisti come Marcus Strickland, Jaleel Shaw, Casey Benjamin, il trombettista Keyon Harrold (una forza della natura, di cui sentiremo parlare sempre più), il contrabbassista Vicente Archer (presenza fissa nel trio di Nicholas Payton), il pianista Kris Bowers interagiscono con dj come Raydar Ellis (un diplomato della Berklee che si è visto reclutare da Kanye West per il remix di un pezzo inciso dalla Okayplayer e celebrare il suo trentottesimo compleanno) o compositori come Raymond Angry (ovvero Mister Goldfinger, già alla corte dei Roots e D’Angelo). Un lavoro, quindi, che segna un punto di svolta nella produzione di una scena che finora era rimasta sotterranea, e così importante da meritare un’analisi dettagliata.

Dopo una presentazione iniziale di Raydar Ellis il disco si apre con un omaggio a Coltrane e Wayne Shorter (Trane Thang/Pinocchio) in cui Marcus Strickland al tenore e Igmar Thomas alla tromba richiamano il tema di «A Love Supreme», per poi sfociare in un groove incalzante sullo sfondo della shorteriana Pinocchio. All Aboard ha uno scenario quasi drum’n’bass in cui il treno della metropolitana di Harlem si muove freneticamente mentre la gente si accalca per entrare: tutto accade sulla piattaforma (all aboard, per l’appunto) della stazione. Segue la cover di un brano di Janet Jackson del 1986 (Let’s Wait Awhile) con la voce di Christie Dashiell e il remix di Ellis ispirato alle serate brasiliane del NuBlu ad Alphabet City. Vi sono persino i Jeux d’eau di Ravel (Water Games Ravel Re-imagined) ad ispirare Terry Slingbaum, che organizza una sezione d’archi per sorreggere gli assolo di Casey Benjamin e Troy Roberts, sax alto e tenore, mentre Eldar Djangirov al piano e il tastierista Masayuki Hirano (in arte Bigyuki) ricamano la melodia. Il brano è remixato dal solito Ellis in chiave urban soul. The Procrastinator è un classico di Lee Morgan rivisitato da una line up micidiale che vede alle trombe Maurice Brown e Keyon Harrold , più Jaleel Shaw al sax alto con una ritmica di tutto rispetto (Kris Bowers piano, Ben Williams basso, Justin Brown batteria); il remix si intitola Playing Catch Up. Dorothy Jeanne è forse il brano più suggestivo, ricamato dall’arpa di Brandee Younger e remixato da Ellis in chiave drum’n’bass col titolo 1 For My DJ. Chiudono due composizioni di Raymond Angry (Celebration Of Life Suite in due versioni, una sottolineata dal sax di Chris Potter e dalla voce di Nadia Washington, l’altra dal coro The Council Of Goldfinger e Drop Confetti Then We Jetti un downtempo funkeggiante) e Wally’s Good Night, un breve cenno dedicato al Wally’s Cafè di Boston dove i tre fondatori della Revive (Igmar Thomas, Raydar Ellis e Meghan Stabile) si sono incontrati per la prima volta.

Nicola Gaeta