David Murray Quartet – Roma Jazz Festival – 2.11.2025

Il grande ritorno di un musicista-icona

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Nel secondo dei concerti in cartellone per il Roma Jazz Festival 2025, David Murray ha presentato, in una Sala Petrassi assai foltamente popolata, il suo nuovo quartetto, col quale ha gia pubblicato due dischi, «Francesca» del 2024, per Intakt, e il più recente «Birdly Serenade» – del quale Francesco Spezia ci ha parlato nel numero di Maggio (qui l’articolo) – che ha segnato il suo ingresso nella scuderia Impulse! Records.

Del gruppo all’opera negli album fanno parte Marta Sanchez al pianoforte, Luke Stewart al contrabbasso, e Russell Carter alla batteria, sostituito per questo tour da Chris Beck. Si tratta di un quartetto di oggettivo e spiccato valore (Sanchez, per quanto giovane, è già leader in proprio, così come Stewart, sia rispetto all’ Exposure Quintet, sia come parte attiva degli Irreversible Entanglements), che, in qualche modo, ha permesso allo stesso Murray di segnare una netta fase di rinascita.

Così il sassofonista è tornato a quei livelli che schiettamente gli appartengono e che erano rimasti sempre possibili, ma che talvolta non sono stati raggiunti, soprattutto in anni recenti, determinando forse, per questo complesso di circostanze, non disgiunte da un certo parossismo produttivo, un effetto di dimenticanza, di certo ingiusto.

David Murray

Murray, infatti, ha rappresentato una torreggiante figura di transizione, nella temperie del post-free, insuperabile nella fusione tra l’avanguardia e il ritorno alle forme della tradizione, capace di dominare, con il suo eclettismo e il proverbiale controllo strumentale, tutti gli stili (e i ritmi) della musiche diasporiche di matrice africana.

Non stupisce, dunque, l’accoglienza fortemente positiva che questo quartetto ha saputo subito raccogliere, nella critica e nel pubblico, poiché esso, con la sua duttilità, fresca e vitale negli spunti, ma già matura negli esiti, sa accordarsi perfettamente con alcune tendenze del leader.

Di certo quella a farsi mattatore sulla scena, accettandone un comando a volte ferreo; ma anche riuscendo a controbilanciare, con un solido ancoraggio, una sua certa calcolata instabilità (la costante sfida al tempo, alcuni effetti aggressivi o sporchi). Infine accompagnandolo, con la robustezza encomiabile della sezione ritmica, nel tipico approccio che tiene insieme dissonanze e spiccato senso melodico, a volte sghembo, che rimane uno dei suoi più tipici strumenti espressivi.

Saremmo, infine, incompleti se non sottolineassimo che in questa rinascita da settantenne ha un peso decisivo l’amore per Francesca Cinelli, sua moglie e musa ispiratrice, che Murray ha presentato al pubblico, leggendo prima una sua poesia, poi esibendosi accanto a lei in Oiseau de Paradis, brano dal nuovo disco accompagnato da un recitativo, e nel bis, tra parti declamate e citazioni di Leroi Jones.

David Murray, Francesca Cinelli

Per il resto, nella scaletta si sono alternati brani equamente suddivisi tra i due lavori discografici, tutti contrassegnati da una certa omogeneità compositiva, che prevede strutture solide entro le quali le parti solistiche – e soprattutto quelle del leader – possono liberarsi con forza: Francesca, Ninno, Come And Go e Free Mingus tratti dal primo; Bald Ego, Black Bird’s Gonna Light Up The Night, Bird’s The World e Birdly Serenade da quello più recente.

Un ritorno giustamente acclamato, per un musicista-icona.

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