Pietro, vuoi provare a raccontare il tuo percorso artistico ai lettori?
Credo che il percorso sia iniziato in realtà con il primo disco di jazz che ho avuto la fortuna di ascoltare: si trattava di «Tokyo ‘96» del trio di Keith Jarrett e ancora ho una netta fotografia in mente di quel momento. Ero nel pieno dell’adolescenza, suonavo già il basso elettrico ed ero molto appassionato di funk, r’n’b e di blues. Sono rimasto letteralmente folgorato da quella musica. Da lì in poi il contrabbasso è diventato una specie di esigenza che non mi ha mai più abbandonato. La trasformazione di questa urgenza in una vera e propria disciplina consapevole la devo a Siena Jazz (con la quale ho il piacere tuttora di collaborare) che mi ha dato la possibilità di poter studiare con quelli che sono diventati poi dei veri e propri mentori e di incontrare molte di quelle persone con cui sto esplorando questo percorso. Ho capito quasi subito di avere un legame forte con le musiche di improvvisazione in tutte le loro forme e un amore profondissimo per «quello che comunemente chiamiamo jazz» in tutte le sue sfaccettature, dal post bop, al free, passando per il jazz europeo. Con la maturità si è manifestata la consapevolezza che interpretare il mio ruolo di contrabbassista mi stava spingendo sempre di più verso una vera e propria regia, così ho cominciato a scrivere la mia musica e a mettere insieme le prime band. Da queste esperienze sono usciti tre dischi a mio nome che sono «Underneath» (2021), «Trinta» (registrato durante una residenza artistica a Lisbona, 2023) e «Folk Traffic».
Come puoi presentare l’idea di fondo che sostiene «Folk Traffic»?
L’idea musicale dietro questo disco è una risposta, piuttosto inconscia sulle prime ma poi sempre più chiara, ad alcune domande che mi stavo ponendo. Ho cominciato a cercare nella musica che scrivevo e soprattutto nel modo in cui invitavo i musicisti a suonarla, un rapporto nuovo con l’autenticità piuttosto che con un rigore stilistico, un gioco virtuosistico o una sofisticazione fine a se stessa. L’idea è stata quella di suonare qualcosa di così tanto vicino a noi stessi, riorganizzando del materiale rubato dalle nostre suggestioni, dai nostri ricordi, dai nostri incontri tanto da poter raccontare qualcosa di veramente nostro all’ascoltare. Questa suggestione dell’intimo, del privato, dell’autentico è un pensiero che da qualche anno mi rincorre ed è diventata una chiave di lettura molto personale per capire perché alcuni dischi, alcune opere, alcuni testi mi abbiano particolarmente colpito e siano rimasti impressi nella mia esperienza. Volevo avere la possibilità a mia volta (e nel mio piccolo) di poter provare ad entrare in una connessione così profonda con chi sta dall’altra parte.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
In questo momento sto continuando a scrivere per Folk Traffic. C’è materiale ed energie per un secondo capitolo e non escludiamo che possa arrivare prima del previsto. Stiamo pianificando le riprese di una live session che molto probabilmente riguarderà almeno un brano inedito tratto da una commissione che abbiamo ricevuto riguardante un progetto su David Lynch. Morning Routine è un duo che condivido con il pianista Manuel Magrini e prossimamente dovrebbe uscire il primo Ep che racconta questa collaborazione. Nel frattempo la mia vita da sideman è piuttosto stimolante: ho la fortuna di collaborare con musicisti meravigliosi, nel prossimo anno dovrebbero uscire alcuni lavori a cui tengo particolarmente e non vedo l’ora di poterli vedere pubblicati. Inoltre, sono impegnato con una associazione di promozione sociale che si chiama Hat and Beard, di cui sono socio fondatore e vicepresidente: in questi anni ci siamo occupati di promuovere la cultura musicale attraverso l’organizzazione di eventi, incontri di ascolto, jam session, concerti. Ultimamente abbiamo ricevuto una menzione di cui andiamo piuttosto fieri: siamo stati citati nel libro Storia del Jazz di Stefano Zenni, per la nostra opera sul territorio perugino e questo per noi vuol dire davvero moltissimo.
Qui la recensione del disco «Folk Traffic».
(Anticipazione dell’intervista di prossima pubblicazione sulla rivista)
