XXVIII Jazz & Wine of Peace (prima parte)

Le molteplici coniugazioni del jazz contemporaneo

- Advertisement -

Cormòns, Teatro Comunale

Collio, varie sedi

23-24 ottobre

La ventottesima edizione di Jazz & Wine of Peace – la prima dopo la scomparsa dello storico direttore artistico Mauro Bardusco – ha confermato il carattere aperto e multiculturale del festival friulano. Il nuovo direttore artistico Enrico Bettinello ha cercato di mantenerne le linee essenziali, ispirate alla pluralità dei linguaggi, introducendovi alcuni esempi di nuove tendenze. Come tradizione, gli eventi (oltre una ventina, se si includono quelli della rassegna Jazz & Taste) sono stati distribuiti nell’arco di quattro giornate, collocati in varie località del Collio e frequentati da un numeroso pubblico composto almeno per il 50% da spettatori austriaci.

La manifestazione ha preso il via nella mattinata di giovedì 23, presso la Cantina Jermann di Ruttars, con l’esibizione della flautista siriana Naïssam Jalal accompagnata dal contrabbassista Claude Tchamitchian, evento che purtroppo non possiamo documentare.

Lilamors :Ana Čop: voce – Thilo Seevers: piano – Jaka Arh: electronics – Foto di Luciano Rossetti

Il concerto pomeridiano al Castello di Spessa ha visto esibirsi Lilamors, formato dagli sloveni Ana Čop (voce) e Jaka Arh (elettronica), e dal pianista austriaco Thilo Seevers. Il trio opera in base a un’unità formale impeccabile, forte di una poetica coerente e coesa, dando vita a una gamma di soffuse dinamiche e combinazioni timbriche. Nel quadro complessivo spiccano l’uso misurato e sempre funzionale dell’elettronica, impiegata per arricchire la varietà timbrica; linee melodiche ampie ed avvolgenti; una vocalità raffinata ed eterea che a tratti evoca vagamente Norma Winstone e trova un fertile terreno in testi tratti Emily Brontë, James Joyce e Christina Rossetti.

William Parker Heart Trio – Foto di Luca D’Agostino

La Villa Attems di Lucinico ha ospitato il William Parker Heart Trio, completato da Cooper-Moore e Hamid Drake. Insignito del Premio Mauro Bardusco, intitolato alla memoria dell’ideatore del festival, Parker non si è presentato in veste di superbo contrabbassista qual è. Invece, si è concentrato sulle possibilità timbriche offerte dagli strumenti etnici che ama impiegare da anni in alcuni suoi progetti: liuti africani come kamale ngoni e xalam; strumenti ad ancia come il ney turco, la zurna mediorientale e il duduk armeno; il frula, flauto serbo in Fa diesis. Utilizza i cordofoni per costruire tracce iterative, ipnotiche, dense di richiami a un’Africa ancestrale, mentre con le ance sviluppa percorsi pregni di echi mediorientali e balcanici. In questi frangenti aleggia lo spirito di Don Cherry. Per parte sua, Cooper-Moore contribuisce al processo con i suoi strumenti autocostruiti. Con l’ashimba, sorta di balafon o xilofono a undici note, elabora vivaci intrecci ritmici. Con il twanger, costituito da due corde montate su un asse orizzontale e percosse con bacchette, produce sonorità simili a un basso elettrico. Con il diddley-bow, una specie di banjo a tre corde dal corpo molto affilato, imbastisce un fitto dialogo con il xalam di Parker esplorando le radici africane del blues (e facendo riaffiorare alla mente l’incontro tra Ali Farka Toure e Ry Cooder in «Talking Timbuktu»). In un tale contesto para-etnico Drake agisce in funzione di equilibratore con il suo drumming frastagliato, poliritmico, ricco di dinamiche e a tratti perfino melodico. Nel blues si esibisce addirittura alla voce cantando in una lingua dell’Africa subsahariana, probabilmente wolof, per suggellare al meglio il legame tra Delta blues e radici africane.

James Brandon Lewis – Foto di Luciano Rossetti

Il concerto serale al Teatro Comunale di Cormòns ha messo in luce la compiuta cifra artistica raggiunta da James Brandon Lewis, alla testa del suo quartetto, sia come tenorista che come compositore. Fin dalle prime battute, con una dedica rivolta a Bardusco che lo invitò all’edizione 2014 del festival, Brandon Lewis ha esibito un suono sanguigno e un fraseggio riccamente articolato, che occasionalmente si spinge sui sovracuti, strozzandosi. Complice anche l’impianto modale dei brani, si colgono riferimenti al Coltrane del periodo 1964-1967, specie nell’ossessiva ricerca dell’esplorazione dei nuclei melodici e delle cellule tematiche. La poetica strumentale e compositiva trae linfa vitale dalle esperienze di David Murray e David S.Ware, cui è dedicata For Ware, in particolar modo in certe progressioni infuocate e negli occasionali sconfinamenti in aree atonali. Il quartetto opera con ferrea coesione e feconda interazione. Al piano Aruan Ortíz applica efficaci dissonanze nella tessitura armonica, effettua spericolate deviazioni di percorso negli spazi a lui riservati, innestando elementi della poetica di Herbie Hancock in un linguaggio personale e maturo. Formidabile e fertile risulta la dialettica tra il contrabbassista Brad Jones e il batterista Chad Taylor, capaci di recepire e ritrasmettere continuamente impulsi ai colleghi. Taylor impiega un’amplissima varietà di figurazioni e soluzioni dinamiche. Jones fornisce il fulcro, il cuore pulsante della materia ritmica con cavata possente, tocco asciutto e linee fluide.

Valentina Fin Cohors – Foto di Luciano Rossetti

La giornata di 24 ottobre si è aperta, com’è ormai tradizione, nel suggestivo scenario dell’abbazia romanica di Rosazzo con un evento del tutto consono al luogo: il progetto Cohors della cantante Valentina Fin, affiancata da Federico Pierantoni (trombone) e Marcello Abate (chitarra ed elettronica). L’operazione verte sulla rielaborazione di temi di musica medievale, rinascimentale e barocca. Dall’etereo e mistico mondo di Hildegard von Bingen, rivisitato con sapiente uso dell’elettronica, si passa al Rinascimento di John Dowland e a un madrigale di Maddalena Casulana, che mettono in evidenza una vocalità raffinata e gli efficaci incroci contrappuntistici del trombone. Naturale e inevitabile si rivela quindi l’approdo a Monteverdi con un estratto dal Combattimento di Tancredi e Clorinda e a Frescobaldi, terreno fertile per le ornamentazioni di voce e trombone. Il Barocco di Giovanni Felice Sances, responsabile dell’introduzione della cantata, e di Henry Purcell costituisce un altro valido banco di prova, mentre un brano originale basato su una poesia di Quasimodo e una breve digressione sperimentale indicano possibili e auspicabili margini di sviluppo per questo progetto.

Federico Calcagno: – Foto di Luca Valente

Ospite di un appuntamento di Jazz and Taste presso l’azienda Polje di Novali, Federico Calcagno ha fornito in una breve performance solistica ulteriore dimostrazione della sua creatività. Impegnato al clarinetto in Mi bemolle, Calcagno utilizza anche campanellini, piccole percussioni e flautini per un’improvvisazione totale fatta anche di suoni parassiti e stoppati, sulla scia di Roscoe Mitchell e Anthony Braxton. Quindi, al clarinetto basso, di cui espande il suono tramite una pedaliera, esegue un brano di Guinga dedicato a Gaza generando spirali dall’effetto drammatico.

Simona Severini Fedra – Foto di Luca Valente

Presso la Villa Nachini Cabassi di Corno di Rosazzo Simona Severini ha presentato «Fedra», in trio con Daniele Richiedei al violino e Giulio Corini al contrabbasso. L’intenzione della cantante è quella di provare a tracciare un collegamento tra diverse forme di canzone. Impresa non facile, soprattutto se si tratta di gettare un ponte tra Sì dolce è ‘l tormento di Monteverdi un estratto da Dido and Æneas di Purcell da una parte, e Angelica e Azure di Duke Ellington, dall’altra. La vocalità aggraziata e il timbro esile, ma uniforme, di Severini si rivelano più adeguati al clima intimista di Place to Be di Nick Drake.

The Necks – Foto di Luciano Rossetti

Il Nuovo Teatro Comunale di Gradisca d’Isonzo ha accolto un trio di culto come gli australiani The Necks. Chris Abrahams rompe il silenzio disegnando al piano una scarna cellula tematica; Lloyd Swanton la punteggia con singole note isolate di contrabbasso; alla batteria Tony Buck si limita a sottolineare con tocchi timbricamente appena percettibili. Sembra quasi un’affermazione della poetica di John Cage o Morton Feldman. Invece, è solo l’abbrivio di un lungo percorso. Attraverso l’iterazione dei suddetti elementi, sottoposti a una serie di microvariazioni, si genera un processo di stratificazione che conduce a successive costruzioni di cellule. I tre procedono senza posa nella loro azione con concentrazione implacabile, fino a giungere – sempre per gradi – a un crescendo vibrante. Ne scaturisce una massa sonora che poi, altrettanto gradualmente, decresce e si assottiglia, fino a ricongiungersi col silenzio. Un lavoro minuzioso, certosino, che può evocare musiche rituali finalizzate alla trance, rimandare a tratti al minimalismo (benché non ne possieda i crismi) e riportare per certi versi alla mente il monumentale For Cornelius, composto da Alvin Curran in omaggio allo scomparso Cornelius Cardew.

Nubya Garcia – Foto di Luca Valente

Protagonista del concerto serale al Teatro Comunale di Cormòns con il proprio quartetto, la sassofonista Nubya Garcia (già ospite del festival nel 2019) è una tipica rappresentante di quella nuova scena inglese che cerca di recuperare l’eredità di una florida stagione – quella appunto del jazz britannico – innestandovi elementi desunti da altre tendenze del nostro tempo. Sostenuta dai barvi james Beckwith (paino e tastiere), Max Luthert (contrabbasso) e Sam Barrell Jones (batteria), Garcia dimostra di aver sviluppato un suono corposo e un fraseggio ben articolato al sax tenore, valorizzati al meglio in alcune impetuose progressioni. Tuttavia, la proposta musicale manca di un’identità ben definita, a cavallo com’è tra stilemi jazzistici post-coltraniani e post-rollinsiani, elementi r&b, funk e qualche suggestione latina riconducibile alle origini famigliari (il padre è di Trinidad, la madre della Guyana).

Enzo Boddi

(continua)

 

 

- Advertisement -

Iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti subito alla nostra newsletter per ricevere le ultime notizie sul JAZZ internazionale

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali (ai sensi dell'art. 7 del GDPR 2016/679 e della normativa nazionale vigente).

Articoli correlati

Italia Jazz Club Music Contest: 14 e 15 novembre

I nomi degli otto finalisti che si esibiranno ad Acquaviva delle Fonti.

Time Out: festival e concerti dal 28 ottobre al 4 novembre

Time Out dal 14 al 21 ottobre: programmi di festival e concerti della settimana.

Jack DeJohnette, 1942-2025

Appena qualche mese fa, sulla sua pagina Facebook, Jack DeJohnette ricordava come uno dei momenti determinanti della sua crescita musicale fosse stato l’ascolto dal...